Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.9447 del 22/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12888/2013 R.G. proposto da:

Prim Promozione Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, dall’Avv. Manca Giuseppe e domiciliata presso lo studio di questi in Sassari, viale Umberto 42;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/08/13 della Commissione Tributaria regionale della Sardegna-sezione staccata di Sassari, depositata il 25 gennaio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2020 dal consigliere Dott. Cataldi Michele.

RILEVATO

che:

1.L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti della Prim Promozione Immobiliare s.r.l., l’accertamento RL7 3000 123, notificato alla contribuente in data 16 dicembre 2000, in materia di Irpeg e Ilor dell’anno d’imposta 1994, recuperando a tassazione un maggiore imponibile.

Successivamente, l’ufficio ha notificato alla stessa contribuente, in data 20 dicembre 2000, l’accertamento RL7 3100 140, relativo al medesimo anno d’imposta, integrativo del precedente.

Avverso tale secondo accertamento la contribuente ha proposto ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale, che ha accolto il ricorso.

2. L’Ufficio ha quindi proposto appello avverso la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale della Sardegna sezione staccata di Sassari, lo ha rigettato.

3.Avverso tale sentenza d’appello ha proposto ricorso per la cassazione l’Amministrazione, per vizio di omessa motivazione ed omessa pronuncia, e questa Corte, con l’ordinanza 11/02/2011, n. 3518, ha così deciso:

” (…) Vista e condivisa la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. nella quale si legge: “L’Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza specificata in epigrafe, con la quale la CTR ha rigettato l’appello dell’ufficio sul rilievo che “i primi giudici hanno ampiamente motivato le loro decisioni sulla base delle leggi esistenti e della documentazione in loro possesso”, denunciando omessa pronuncia ed omessa motivazione.

Le censure appaiono manifestamente fondate. La formula utilizzata dalla CTR non motiva alcunchè, è un tipico esempio di motivazione apparente che non consente di ricostruire il percorso argomentativo seguito dai giudici, nè le ragioni per le quali non sono stati accolti gli argomenti dell’ufficio appellante. Inoltre, nella specie, era stato prospettato un quesito specifico e determinante, relativo alla qualificazione dell’atto impugnato (accertamento parziale sostitutivo di altro precedente avviso, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis, ovvero accertamento notificato sulla base di nuovi elementi D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 3) in relazione al quale la CTR non si è pronunciata.”; Considerato che la relazione è stata notificata ai sensi dell’art. 308 bis c.p.c., comma 3, che la discussione in camera di consiglio non ha apportato nuovi elementi di valutazione e che, pertanto, il ricorso, manifestamente fondato, deve essere accolto, con rinvio alla CTR della Sardegna, che provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità; P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR della Sardegna.”.

4.L’Agenzia delle Entrate ha quindi riassunto il giudizio instaurando il contraddittorio con la contribuente, e la Commissione Tributaria regionale della Sardegna-sezione staccata di Sassari, quale giudice del rinvio, con la sentenza n. 5/08/13, depositata il 25 gennaio 2013, ha accolto l’appello dell’ufficio, riformando la sentenza di primo grado e quindi rigettando il ricorso introduttivo della contribuente, ovvero accertando “che il secondo avviso di accertamento integrativo del precedente sia da considerarsi pienamente legittimo” (così, in motivazione, la sentenza qui impugnata, a pag. 4).

5.Avverso la sentenza d’appello emessa dal giudice del rinvio ha proposto ricorso per la cassazione, affidato a tre motivi, la contribuente.

6. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente contribuente lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; vizio di omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omessa pronuncia di inammissibilità del ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53”.

Sostiene infatti la ricorrente di aver eccepito, dinnanzi alla CTR, l’inammissibilità del ricorso in riassunzione notificatole dall’Ufficio dopo la predetta ordinanza di cassazione con rinvio di questa Corte, lamentando in quella sede che l’Agenzia:

– aveva omesso di indicare i motivi per i quali aveva originariamente appellato la sentenza di primo grado;

– aveva rassegnato un’esposizione dei fatti solo sommaria, tale da non consentire alla contribuente alcuna difesa;

– non aveva riprodotto i motivi e le conclusioni del ricorso per cassazione che aveva condotto all’annullamento con rinvio della precedente sentenza della CTR.

Tuttavia, a fronte di tale specifica eccezione dell’appellata in riassunzione, il giudice di rinvio, nella sentenza impugnata, avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione.

1.1. Il motivo non è fondato.

Infatti, come affermato da costante giurisprudenza “Il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali.” (Cass. 26/09/2013, n. 22083. Conformi, ex plurimis, Cass. 25/01/2018, n. 1876; Cass. 11/10/2018, n. 25154; Cass. 15/04/2019, n. 10422).

Inoltre, nel caso di specie, la stessa omessa pronuncia deve escludersi, ravvisandosi, piuttosto, una pronuncia, necessariamente implicita, di rigetto di ogni questione preclusiva del merito, sul quale invece si è pronunciato espressamente il giudice a quo.

Infatti, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (cfr. ex multis, Cass. 13/10/2017, n. 24155).

Peraltro, il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità formulata dalla contribuente risulta comunque conforme ai principi che disciplinano i requisiti formali della riassunzione del giudizio dinnanzi alle Commissioni tributarie regionali, interpretati dalla giurisprudenza di legittimità alla luce della funzione, prosecutoria del giudizio, che l’ordinamento processuale attribuisce a tale atto. Infatti, questa Corte ha già precisato che l’atto di riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio, poichè non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma ad una prosecuzione dei precedenti gradi di merito, non deve contenere, ai fini della sua validità, la specifica riproposizione di tutte le domande, eccezioni e conclusioni originariamente formulate, essendo sufficiente che siano richiamati l’atto introduttivo del giudizio ed il contenuto del provvedimento in base a cui avviene tale riassunzione. Ne consegue che il giudice innanzi al quale sia stato riassunto il processo non incorre nel vizio di ultrapetizione qualora pronunci su tutta la domanda proposta nel giudizio ove fu emessa la sentenza annullata e non sulle sole diverse conclusioni formulate con il suddetto atto di riassunzione (Cass. 19/12/2017, n. 30529).

Ed è stato altresì evidenziato che in tema di processo tributario, ai fini della validità dell’atto di riassunzione in sede di rinvio, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, nel dettare una disciplina speciale e pertanto prevalente rispetto a quella generale di cui all’art. 392 c.p.c., non richiede una specifica indicazione del petitum, essendo sufficiente che siano richiamati il ricorso introduttivo del giudizio ed il contenuto del provvedimento in base al quale avviene la riassunzione (Cass. 11/04/2018, n. 8936: nella specie è stata annullata la decisione impugnata, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso in riassunzione nelle conclusioni del quale la ricorrente si era limitata a chiedere l’accoglimento del motivo difensivo illustrato, senza specificare l’oggetto della domanda, ritenendo dette conclusioni esaurienti ed idonee ad estrinsecare la volontà della parte di riattivare il giudizio, avente natura prosecutoria a seguito della pronuncia di legittimità).

Infine, in ordine alla possibilità di valutare, ai fini della declaratoria o meno dell’inammissibilità del ricorso di riassunzione del giudizio tributario dinnanzi al giudice del rinvio, anche il raggiungimento dello scopo, al fine di emendare l’errore che (come nel caso di specie) non abbia determinato una compressione del diritto difensivo della controparte, si veda, da ultimo, Cass. 14/01/2020, n. 442, in motivazione, con riguardo all’ipotesi di mancata indicazione degli estremi della sentenza.

2.Con il secondo motivo, da intendersi formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la contribuente lamenta la pretesa violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per essere la pronuncia della CTR, quale giudice del rinvio, “non conforme all’ordinanza della Corte per omessa decisione ed omessa motivazione”; nonchè la pretesa violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice a quo reso una “pronuncia oltre i limiti della domanda”.

In particolare, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non rispetti il disposto dell’ordinanza di cassazione con rinvio emessa da questa Corte e motivi esclusivamente sulla legittimità dell’accertamento integrativo, allorquando le difese dell’Ufficio in entrambi i gradi di giudizio hanno sostenuto la natura sostitutiva dell’accertamento impugnato.

2.1. Il motivo non è fondato.

Deve, innanzitutto, rammentarsi che ” il ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di rinvio, diretto a denunciare la mancata osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento, od il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione” (Cass. 24/10/2019, n. 27337, in motivazione, e giurisprudenza ivi citata: Cass.n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006).

Tanto premesso, come questa Corte ha anche recentemente ribadito, ” I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse.” (Cass. 24/10/2019, n. 27337. Cfr. altresì Cass. 07/08/2014, n. 17790 e Cass. 07/02/2006, n. 2605).

Nel caso di specie, con l’ordinanza 11/02/2011, n. 3518, questa Corte, riscontrata la natura solo apparente della motivazione della sentenza cassata con rinvio, ne ha pure evidenziato, in particolare, la conseguente omissione della qualificazione dell’atto impugnato – in termini di accertamento parziale sostitutivo di altro precedente avviso, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis, ovvero di accertamento notificato sulla base di nuovi elementi D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 3, della stessa fonte- sulla quale la CTR non si era pronunciata.

La sentenza del giudice del rinvio ha assolto a tale indicazione, qualificando il primo accertamento come parziale ex art. 41 bis D.P.R. n. 600 del 1973 ed il secondo – ovvero l’atto impugnato nella controversia sub iudice- come accertamento integrativo emesso sulla base di nuovi elementi D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 3,, come si ricava inequivocabilmente non solo dall’espressa affermazione, in tal senso, contenuta nella motivazione della sentenza impugnata (pag. 4, ultimo periodo), ma anche da tutto il contesto della stessa motivazione.

Ciò posto, la censura della ricorrente, prospettata nel motivo in questione come una pretesa distonia tra l’ordinanza di cassazione con rinvio e la sentenza del giudice del rinvio, cela piuttosto un’inammissibile mera insoddisfazione (generica ed immotivata) della contribuente per la mancata prevalenza, nel giudizio di merito riassunto, della sua tesi difensiva.

3.Con il terzo motivo la contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione del fatto che l’avviso integrativo notificato alla contribuente non sarebbe fondato su elementi nuovi, successivi al primo accertamento, in quanto “nessun fatto nuovo è intervenuto e nessun fatto nuovo è nemmeno stato denunciato e nessun fatto nuovo poteva intervenire stante il lasso di tempo intervenuto tra l’atto integrato ed integrativo.”.

3.1. Il motivo è inammissibile, giacchè non attinge quella ratio decidendi della sentenza impugnata espressamente basata sull’esistenza, in fatto ed in diritto, di un elemento diverso ed ulteriore rispetto a quelli su cui era fondato il primo accertamento, ovvero su nuovi controlli della Guardia di Finanza, pervenuti alla conoscenza dell’Ufficio erariale competente in data posteriore a quella di emissione del precedente atto impositivo. La generica ed apodittica affermazione della ricorrente, in ordine all’assoluta inesistenza di possibili nuovi elementi, non misurandosi con le conclusioni in fatto ed in diritto della CTR sul punto, si risolve in una petizione di principio, piuttosto che nella denuncia ammissibile di un errore di diritto.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 22 maggio 2020

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