Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.17380 del 17/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 8444 del 2018) proposto da:

D.M.F., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso ed ammesso al gratuito patrocinio, dall’Avv. Giuseppe Gioia ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Antonino Barletta, in Roma, piazza Margana, n. 29;

– ricorrente –

contro

P.M.E., (C.F.: *****), quale unica erede del genitore P.G., rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Mario Mangiapane e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, piazza Cavour;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta n. 204/2017 (depositata il 10 agosto 2017 e non notificata);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata dal difensore del ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza depositata il 20 aprile 2010, il Tribunale di Enna, nella ritenuta contumacia del convenuto P.G., dichiarava legittimo il recesso esercitato da D.M.F. dal contratto preliminare dell’11 luglio 2006 alla stregua del ravvisato grave inadempimento imputabile al convenuto rispetto alle obbligazioni assunte con detto contratto e, in accoglimento della domanda attorea, condannava il P. al pagamento, in favore dello stesso D.M., della somma di Euro 44.000,00, oltre interessi legali dal 19 novembre 2007 e fino al deposito della sentenza, nonchè alla rifusione delle spese processuali.

Sul piano dello svolgimento del giudizio l’adito Tribunale rilevava che il convenuto, non essendosi costituito anteriormente alla fissata udienza di precisazione delle conclusioni della causa da definirsi nelle forme di cui all’art. 281 quinquies c.p.c., era stato legittimamente dichiarato contumace.

2. Decidendo sull’appello proposto da P.M.E., nella qualità di unica erede del genitore P.G. (originario convenuto, deceduto il 6 ottobre 2009) e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza n. 204/2017 (depositata il 10 agosto 2017), accoglieva per quanto di ragione il gravame e compensava per intero tra le parti le spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte nissena confermava, innanzitutto, la statuizione, da ritenersi corretta, del primo giudice con la quale era stata dichiarata la contumacia del convenuto P.G., in quanto la sua costituzione era avvenuta oltre la fissata udienza di precisazione delle conclusioni, considerando irrilevante, ai fini dell’interruzione del giudizio, la dichiarazione della sopravvenuta morte di detto convenuto operata dall’erede P.M.E. con la sua comparsa di costituzione intervenuta solo successivamente all’indicata udienza. Rilevava, perciò, la Corte di appello che, per tale ragione, non avrebbero potuto trovare ingresso in secondo grado le eccezioni, contestazioni e richieste avanzate dall’appellante, precluse per effetto dell’avvenuto svolgimento del giudizio di prime cure.

La Corte territoriale, tuttavia, considerava fondato il motivo formulato dall’appellante in ordine all’esistenza del diritto di prelazione (la cui prospettazione veniva ritenuta ammissibile siccome non costituente eccezione in senso stretto), impeditivo dell’efficacia del preliminare nei confronti del P.G.. Pertanto, detta Corte dichiarava la risoluzione del contratto preliminare dedotto in giudizio con obbligo dell’appellante alla restituzione, in favore dell’appellato D.M.F., dell’importo di Euro 22.000,00, allo stesso corrisposto a titolo di caparra, con gli interessi legali dalla conclusione dello stesso contratto al soddisfo.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il D.M., resistito con controricorso dall’intimata P.M.E..

Il difensore del ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione degli artt. 293,166,167,183,112 e 345 c.p.c., per asserita nullità della sentenza impugnata siccome emessa in dispregio delle norme che dettano termini e modi decadenziali per la proposizione delle eccezioni di parte, produzione e richieste di prova, anche da parte del contumace in primo, come in secondo grado, oltre che per vizio di ultrapetizione avendo la Corte nissena pronunciato su eccezioni del contumace (e, specificamente, su quella dell’esistenza del diritto di prelazione contrattualmente previsto), tardivamente sollevate in appello, qualificandole come mere difese.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione degli artt. 112,166, 167,183, 293 e 354 c.p.c., unitamente alla violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, artt. 1218,1352 e 1385 c.c., per aver la Corte di appello accollato “contra legem” all’attore l’onere della prova, sostanzialmente negativa (dell’insussistente inadempimento del promittente venditore), relativa ad una rinuncia a prelazione da parte di terzi, la quale, peraltro, non era stata nemmeno riscontrata e che, in ogni caso, incombeva sul convenuto dimostrare nei modi e termini di rito.

3. Con la terza ed ultima doglianza il ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115,116 e 132 c.p.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo, già oggetto di discussione tra le parti, riguardante la circostanza in atti documentata della insussistenza di prelazione esercitata da terzi.

4. Rileva il collegio che occorre, in via pregiudiziale, esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso – proposta dalla controricorrente – per l’asserita tardività nella sua proposizione siccome da reputarsi avanzato oltre il termine lungo (semestrale) previsto dall’art. 327 c.p.c., come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 17, entrata in vigore il 4 luglio 2009.

Essa è manifestamente infondata poichè il giudizio di cui trattasi è stato introdotto con atto di citazione notificato nel giugno 2008, quindi prima dell’entrata in vigore della citata legge novellatrice n. 69 del 2009, ragion per cui trova applicazione ancora il previgente termine lungo di un anno (e 46 giorni).

La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 6007/2012, Cass. n. 19969/2015 e Cass. n. 19979/2018) è pacifica nell’affermare che, in tema di impugnazioni, la modifica del citato art. 327 c.p.c., introdotta dalla indicata L. 18 giugno 2009 n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un ulteriore grado di giudizio.

5. Ciò premesso, si può passare all’esame dei motivi del ricorso. Il primo è destituito di fondamento e deve, perciò, essere rigettato.

Essendo incontestata la legittimità della dichiarazione di contumacia dell’originario convenuto nel giudizio di primo grado (sul presupposto della intervenuta costituzione della sua erede – poi divenuta appellante – solo con comparsa depositata dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni), la censura si incentra sulla denuncia di inammissibilità della deduzione – operata dalla P.M.E. con l’atto di appello – circa l’esistenza del diritto di prelazione che avrebbe dovuto considerarsi impeditivo dell’efficacia del preliminare nei confronti del suo dante causa (quale promittente venditore), che la Corte di appello ha ritenuto una mera difesa e il ricorrente riconduce, invece, alla figura dell’eccezione in senso stretto (e, in quanto tale, si sarebbe dovuta dichiarare inammissibile).

Osserva il collegio che la doglianza è priva di fondamento dal momento che, con la predetta deduzione riferita ad un’espressa previsione contenuta nel contratto preliminare dedotto in giudizio, l’appellante si era limitata a negare l’esistenza del fatto circa l’avveramento della condizione riguardante l’omesso esercizio del diritto di prelazione dei confinanti; quindi, non si verte in presenza di un’eccezione in senso proprio soggetta alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c., ma di una semplice difesa (da poter essere esaminata e verificata, quindi, dal giudice anche d’ufficio, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte: cfr. Cass. n. 2214/2002 e Cass. 15375/2010).

6. Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente siccome connessi, con riferimento alla principale dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione a quella degli artt. 115 e 116 c.p.c.) e all’omissione del fatto asserito come decisivo riportato con la terza censura che è collegato alla questione processuale riguardante la contestazione del riparto dell’onere della prova.

Essi sono fondati per le ragioni che seguono.

Occorre rilevare che, in base alla specifica previsione dell’art. 6 del contratto preliminare (riportata anche nella motivazione dell’impugnata sentenza), sul presupposto che la parte (promittente) venditrice (il P.G.) aveva dichiarato che sull’immobile oggetto del contratto esisteva un diritto di prelazione in capo agli eredi proprietari confinanti, la stessa si impegnava a comunicare a questi ultimi l’intenzione di alienare il bene con conclusione della vendita presso apposito notaio, con la specificazione che la parte (promissaria) acquirente (ovvero il D.M.) era resa consapevole della sussistenza di tale diritto di prelazione e che uno dei titolati potesse esercitarla, nel qual caso il promittente venditore si obbligava alla restituzione della caparra oltre accessori.

Orbene, una volta che il D.M. (attuale ricorrente) aveva diffidato formalmente il P. a stipulare il contratto definitivo per poi agire in giudizio, a fronte dell’inerzia della controparte, al fine di far accertare la legittimità del suo recesso dallo stesso contratto preliminare per inadempimento del medesimo P., avrebbe dovuto essere quest’ultimo – in virtù del combinato disposto degli artt. 1218 e 2697 c.c., (cfr., ad es., Cass. n. 9351/2007 e Cass. n. 13685/2019) – a provare la sussistenza della causa ostativa (quindi impeditiva) alla conclusione del contratto definitivo per l’avvenuto esercizio del diritto di prelazione da parte di uno o più terzi come indicati in preliminare e non l’attore D.M. a dare la prova (negativa) che detti terzi avevano rinunciato ad avvalersi della prelazione, e tanto correttamente valutando il tipo di condizione riconducibile a tale pattuizione nel contesto del complessivo assetto scaturente dalle obbligazioni reciproche evincibili dall’intero contenuto del contratto preliminare intercorso tra le parti.

Nel compimento di tale operazione ricostruttiva, il giudice di merito dovrà considerare anche che poichè le parti possono, nell’ambito dell’autonomia privata, prevedere l’adempimento o l’inadempimento di una di esse quale evento condizionante l’efficacia del contratto sia in senso sospensivo che risolutivo, non configura una illegittima condizione meramente potestativa la pattuizione che fa dipendere dal comportamento – adempiente o meno – della parte l’effetto risolutivo del negozio, e ciò non solo per l’efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi dell’evento dedotto in condizione ma anche perchè tale clausola, in quanto attribuisce il diritto di recesso unilaterale dal contratto (il cui esercizio è rimesso a una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte), non subordina l’efficacia del contratto a una scelta meramente arbitraria della parte medesima (cfr. Cass. n. 17859/2003; v., per idonei riferimenti, anche la precedente Cass. 8051/1990).

E, a tal proposito, ovvero in funzione della corretta qualificazione della condizione che le parti avevano inteso prevedere nel preliminare, può assumere rilievo determinante la circostanza che la Corte di appello ha omesso di esaminare anche il fatto decisivo attestato come emergente dalla documentazione indicata con il terzo motivo attraverso la quale avrebbe potuto considerarsi dimostrato che la prelazione offerta ad uno degli interessati come denunciata dallo stesso promittente venditore – non si era venuta a realizzare (per inadempienza dello stesso terzo che aveva in un primo momento manifestato la volontà di avvalersi del diritto di prelazione).

Pertanto, la mancata risposta del P. all’invito del D.M. a stipulare il contratto definitivo – una volta esattamente qualificata la condizione apposta nel preliminare (valorizzando anche il dato che la stessa poteva essere stata prevista nell’esclusivo interesse di una delle parti) – avrebbe potuto legittimare l’esercizio del diritto di recesso del medesimo D.M. dal contratto preliminare (costituente fonte delle reciproche obbligazioni) per inadempimento del promittente venditore. E proprio per l’accertamento della validità di tale recesso egli aveva agito in giudizio in funzione della dichiarazione di risoluzione del contratto stesso per l’ottenimento della condanna del P. – che non aveva provato che il suo inadempimento (con riguardo alla stipula del definitivo) era stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, ovvero dall’intervenuto legittimo esercizio del diritto di prelazione (indicato in preliminare) da parte di terzi titolati – al pagamento in suo favore della somma di Euro 44.000,00 oltre interessi, corrispondente al doppio della caparra pattuita.

7. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, va respinto il primo motivo e devono essere accolti gli altri due, con la relativa cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio alla Corte di appello di Caltanissetta che provvederà ad uniformarsi al principio di diritto – previa la corretta individuazione della natura giuridica della condizione apposta al preliminare (avuto riguardo all’art. 1353 c.c.), anche in virtù dell’esame della documentazione richiamata nel terzo motivo – scaturente dall’applicazione del combinato disposto degli artt. 1218 e 2697 c.c., (come in precedenza individuato), nella prospettazione del ricorrente.

Il suddetto giudice di rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Caltanissetta, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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