LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20349/2014 R.G. proposto da:
TMC Italia s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa, dall’Avv.to Corrado Grande e dallAvv.to Massimo Antonini, rinunciatari, ex art. 85 c.p.c., non sostituiti, elettivamente domiciliata in Roma, Via XXIV Maggio n. 43, giusta procura speciale in calce al presente ricorso.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale Lombardia, n. 1774/2014, depositata in data 07/04/2014, non notificata;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 aprile 2021 dal Consigliere Dott.ssa d’Angiolella Rosita.
RILEVATO
che:
1. Con due distinti avvisi di accertamento, per gli anni 2008 e 2009, l’Agenzia delle entrate contestava alla società TMC Italia s.p.a. (di seguito, TMC o società) – società multinazionale che svolge attività di progettazione e realizzazione di trasformatori elettrici di media e bassa tensione, con avvolgimento in resina – l’omessa contabilizzazione di componenti positivi di reddito derivanti dalla riorganizzazione aziendale con cessione di existing know now per l’anno 2008 e omessi ricavi di vendita derivanti dalla ripartizione dei costi relativi ai servizi infragruppo svolti dalla società TMC, sia per l’anno 2008 che per il 2009.
2. La società impugnava gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Varese che, riuniti i ricorsi, li respingeva integralmente con sentenza n. 104/11/13.
3. TMC proponeva appello avverso tale sentenza che veniva accolto in parte dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR), che annullava gli avvisi di accertamento solo per le parti relative all’omessa contabilizzazione dei componenti positivi di reddito derivanti dalla cessione di existing know how e all’applicazione delle sanzioni con riguardo alle rettifiche Irap, confermando, nel resto, la decisione di primo grado e demandando all’Agenzia delle entrate per la rideterminazione dell’importo delle sanzioni limitatamente agli addebiti ritenuti legittimi.
4. La TMC ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi.
5. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo, la società ricorrente censura la decisione di cui in epigrafe per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 7, in relazione allo stesso D.P.R. n. 917 del 1986, art. 7, nonchè dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui, confermando la contestazione dell’Ufficio contenuta nell’avviso 2008 – riguardante l’omessa contabilizzazione di ricavi derivante dalla ripartizione infragruppo – ha violato il principio di autonomia dei periodi di imposta, là dove sono stati utilizzati criteri di determinazione per l’anno 2009, nonchè ha violato le regole di riparto dell’onere probatorio, non avendo l’Agenzia delle entrate fornito prova idonea per applicare la cd. presunzione di equivalenza tra i periodi di imposta.
1.1. Tale mezzo è infondato.
1.2. E’ pacifico che la TMC è società capogruppo che fornisce servizi e supporto alle attività produttive commerciali delle relative società consociate aventi hanno sede in paesi esteri (Spagna, Repubblica Ceca, Germania, Francia, Israele, Brasile, Regno Unito, Brasile, v. sentenza impugnata pag.2). E’ pacifico, altresì, che le società consociate del gruppo facente capo alla TMC abbiano inizialmente svolto l’attività di distribuzione in loco dei prodotti e dei relativi servizi per poi occuparsi delle attività produttive di assemblaggio dei semilavorati.
1.3. Di qui, l’accertamento finanziario riguardante i costi per i servizi infragruppo per gli anni 2008 e 2009, costi in relazione ai quali la CTR ha accolto l’appello della società contribuente limitatamente al trasferimento di know-how dalla controllante italiana alla consociata spagnola, TMC-Spagna. In particolare, la CTR ha confermato il riaddebito dei costi per i servizi infragruppo per l’anno 2008, ritenendo che: 1) l’articolazione multinazionale, tra società capogruppo e consociate, era esistente già ante 2008 (in Sudamerica, in Spagna e nella Repubblica Ceca) e proprio in tale anno le società consociate si trovavano in fase di avvio e formazione (cd. start. up), attività per le quale ha ritenuto necessario il ricorso ai servizi offerti dalla società madre; 2) il metodo di “comparazione interna” (cessioni poste in essere dalla società madre e dalla consociate) effettuato dall’Ufficio per la quantificazione dei costi dei servizi per il 2008, è pienamente legittimo, essendo noti i dati (costi) del 2009 e trattandosi di metodo approvato dalla linea Guida dall’OCSE 2010; 3) il “valore” dell’anno 2009, applicato all’anno 2008, è stato adeguato dall’Ufficio alla caratteristiche concrete del gruppo per l’anno fiscale 2008 (v. sentenza pag. 10: “la percentuale frutto del rapporto “costi infragruppo volume d’affari consolidato 2009" viene infatti applicata al volume d’affari del 2008 e al valore dei servizi così ottenuto viene ulteriormente sottratto quello dei ribaltamenti dichiarati (Euro 162.379,81) per l’anno fiscale in questione”).
1.4. Le argomentazioni dei secondi giudici sono esenti dal vizio denunciato in quanto, avendo l’Agenzia delle entrate contestato il riaddebito dei costi infragruppo per l’anno 2008, spettava alla società contribuente l’onere di dimostrare il mancato sostenimento di quei costi per l’anno 2008, ovvero l’erroneità del calcolo adoperato dall’Ufficio prima e confermato dal giudice di merito poi (sul riparto dell’onere della prova riguardante i costi dei servizi infragruppo e sulla relativa deducibilità, cfr. Cass., 05/12/2018, n. 31405 secondo cui l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di avere ricevuto il servizio, occorrendo, affinchè il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata; id., cfr. Cass., 04/10/2017, n. 23164; cfr., altresì, Cass., 22/03/2021, n. 8001; Cass., 14/12/2018, n. 32422).
2. Col secondo mezzo – così rubricato: “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 7, in relazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, comma 3, e dell’art. 9 Convenzioni Italia-Francia, del 5 ottobre 1989, ratificata con L. 7 gennaio 1992, n. 20; Italia-Germania, del 18 ottobre 1989, ratificata con L. 24 novembre 1992, n. 459; Italia-Israele, dell’8 settembre 1995, ratificata con L. 9 ottobre 1997, n. 371, Italia-Spagna, dell’8 settembre 1977, ratificata con L. 29 settembre 1980, n. 663; Italia-Repubblica Ceca, del 5 maggio 1981, ratificata con L. 2 maggio 1983, n. 303; Italia-Regno Unito, del 21 ottobre 1988, ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329; Italia -Brasile del 3 ottobre 1978, ratificata con L. 29 novembre 1980, n. 844; Italia- Argentina, del 15 novembre 1979, ratificata con L. 27 aprile 1982, n. 282 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.)” – la ricorrente assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, nel determinare i costi dei servizi infragruppo, ha ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio che ha utilizzato un driver (volumi d’affari realizzati dalle società del gruppo) che, disattendendo in toto le indicazioni fornite a livello Ocse per l’interpretazione della normativa nazionale e pattizia in tema di valore di prezzi di trasferimento, non tiene in alcuna considerazione i vantaggi economici attesi dalle consociate e, quindi, il driver basato sulle ore lavorate dai dipendenti amministrativi, parametro quest’ultimo conforme alle linee guida OCSE, nonchè alla stessa giurisprudenza della Corte.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. La questione posta con il secondo motivo di ricorso ha trovato soluzione nella recente sentenza n. 11837 del 18/06/2020 di questa Corte il cui principio di diritto è così massimato: ” in tema di “transfer pricing”, ai fini dell’individuazione del “valore normale” dei prezzi di trasferimento applicati ai sensi dell’art. 110 T.U.I.R., comma 7 (“ratione temporis” vigente), come integrato dalle linee guida OCSE del 2010 sui prezzi del trasferimento per le imprese multinazionali e le Amministrazioni fiscali, il metodo transazionale di ripartizione degli utili (cd. “transactional profit split method”, TPSM o PSM) è utilizzabile in modo altrettanto affidabile rispetto agli altri metodi di determinazione dei prezzi a condizione che, dopo l’accurata delimitazione della transazione, ivi compresa l’analisi funzionale, sia possibile procedere all’identificazione di una forte correlazione tra i costi sostenuti ed il valore aggiunto creato nel corso della transazione e purchè le chiavi di allocazione selezionate – per le quali rilevano la classificazione contabile dei costi infragruppo e l’esistenza di eventuali differenze (“higt labour-cost country vs. low labour-cost country”) – siano conformi (“compliant”) per affidabilità dei risultati (OECD Guidelines, 2010, p. 2.116)”.
2.3. Tale principio, seguito dalle successiva giurisprudenza di questa Corte, si attaglia alla fattispecie in esame considerato che la CTR ha ritenuto legittimo e corretto l’utilizzo del metodo di ripartizione degli utili delle transazioni adoperato dall’Ufficio, come previsto anche dalla linee guida OCSE 2010, in quanto la chiave di allocazione prescelta (volume di affari) pur non potendo essere in astratto prevalente sull’altra indicata dalla società contribuente (numero dei dipendenti amministrativi) è risultata più adeguata al caso concreto (v. sentenza pag. 8, ove si dà conto dell’inadeguatezza della chiave indicata dal contribuente) e quindi conformi (“compilane) per affidabilità dei risultati (OECD Guidelines, 2010, p. 2.116).
2.4. Poichè il collegio intende dare continuità al principio di diritto su richiamato e nessun diverso argomento è stato offerto nella deduzione del motivo di ricorso, esso deve essere rigettato.
3. Col terzo mezzo – così rubricato: “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 7, per mancata applicazione delle previsioni correlate alla natura antielusiva della stessa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” deduce la violazione di legge in cui è incorsa la sentenza impugnata nella misura in cui ha parzialmente confermato la pretesa impositiva nonostante l’Ufficio accertatore non avesse fornito alcuna prova circa l’esistenza di un vantaggio fiscale conseguito dalla società, così negando la portata antielusiva delle disposizioni previste in materia.
3.1. Anche tale mezzo risulta infondato tenuto conto dell’orientamento prevalente di questa Corte (Cass., 16/01/2019, n. 898; Cass., 25/06/2019, n. 16948 richiamate, in motivazione, da Cass. n. 11837 del 2020) secondo cui la disposizione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 7, non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing” (spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sè considerato, sicchè la prova gravante sull’Amministrazione finanziaria riguarda non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre incombe sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall’art. 9 t.u.i.r., comma 3 (Cass., 15/4/2016, n. 7493; Cass., 30/6/2016, n. 13387; Cass., 15/11/2017, n. 27018; Cass., 18/9/2015, n. 18392; Cass., 19/4/2018, n. 9673). Questa stessa giurisprudenza di legittimità, che si condivide e si fa propria, ha precisato che la ratio della norma sta nel principio di libera concorrenza enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE, il quale prevede la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute fra imprese indipendenti in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato, sicchè si tratta di verificare l’interesse economico dell’operazione in concreto perseguito e di compararla con analoghe operazioni realizzate in condizioni di libero mercato e di valutarne la conformità a queste (v. Cass. 11837 del 2020).
4. Col quarto motivo – così rubricato: “violazione falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 7, per erronea applicazione della disciplina del transfer pricing, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, nu. 917, art. 110, comma 7, ai fini Irap (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Illegittimità costituzionale della L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 281, per violazione degli artt. 3,41,53,111 e 117 Cost. quest’ultimo in relazione all’art. 6, comma 1, CEDU” – la società ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per aver considerato rilevante, ai fini del comparto impositivo Irap, la disciplina di cui all’art. 110 cit., dettata ai fini Ires.
4.1. Circa l’applicazione della disciplina del transfer pricing ai fini Irap, la commissione di secondo grado, dopo aver ricostruito l’avvicendarsi delle leggi in materia (dalle abrogazioni di cui alla L. n. 244 del 2007, alla disciplina di cui alla L. finanziaria del 2014, art. 1, comma 281 e comma 282), correttamente ha affermato che il L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 281 (Legge di Stabilità per il 2014), ha esteso l’applicazione del transfer pricing anche ai periodi d’imposta successivi a quello in corso alla data del 31 dicembre 2007, senza soluzione di continuità rispetto alla disciplina previgente.
4.2. I secondi giudici hanno affrontato anche il problema della legittimità e coerenza della norma in parola con i principi di rango costituzionale, là dove estende i propri effetti ad un momento anteriore rispetto alla sua entrata in vigore, ritenendo ogni questione di legittimità superabile sulla base dei principi enunciati da questa Corte con le sentenze n. 22175 del 27/09/2013, n. 27883 del 20/12/2011, n. 11141 del 20/05/2011.
4.3. Osserva il Collegio che la L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 281, realizza una norma di interpretazione autentica, sicchè, come tale, è volta a produrre effetti anche per il passato, consentendo l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 t.u.i.r., comma 7, per i periodi d’imposta dal 2008 in poi.
4.4. Tali conclusioni sono in linea con la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dalla CTR (cfr., Cass., 27/09/2013, n. 22157), secondo cui il principio di irretroattività non assume rango costituzionale nella materia tributaria (Corte costituzionale, sentenza n. 58 del 2009), nè, in senso contrario, osta il principio di irretroattività stabilito dall’art. 3 dello Statuto del contribuente, la cui deroga è consentita ove espressamente prevista dalla legge, requisito che sussiste anche quando sia espressamente disposta una decorrenza anteriore della norma.
5. La portata retroattiva, ai fini Irap, del trasfer pricing nei termini indicati, non giustifica una sospetta violazione di principi costituzionali richiamati dalla società ricorrente. Le diffuse considerazioni che la società ricorrente ha articolato, non evidenziano ragioni di “non manifesta infondatezza”, in quanto non sussiste alcun ragionevole dubbio che la scelta fatta dal legislatore vada oltre i confini delle garanzie costituzionali.
5.1. Non è violato l’art. 3 Cost. (eguaglianza sostanziale), nè l’art. 53 Cost. (capacità contributiva), nè l’art. 41 Cost (libertà di iniziativa economica), perchè non è manifestamente irragionevole nè contrario alla libertà di iniziativa economica, prevedere, a partire da un certo momento, un effetto più grave, rispetto alla disciplina previgente, per la violazione di una norma, inoltre, non esiste un principio di irretroattività della legge tributaria fondato sull’evocato parametro, nè hanno rango costituzionale – neppure come norme interposte – le previsioni della L. n. 212 del 2000 (cfr., Corte Cost. n. 58 del 2009).
5.2. Non sono violati l’art. 111,117 Cost. in relazione all’art. 6 CEDU, in quanto – come già detto dai secondi giudici – non è ragionevole l’affidamento del contribuente in relazione ad una questione (rilevanza del transfer pricing ai fini Irap) controversa per le varie abrogazioni succedutesi in materia e, quindi, meritevoli di interpretazione autentica, anche considerato il breve lasso di tempo che intercorre tra la legge finanziaria del 2014 e la data a partire dalla quale la disposizione in parola fa risalire i suoi effetti. D’Altro canto, proprio in tema di norma fiscale di interpretazione autentica, questa Corte (v. Cass., 15/11/2017, n. 27093) ha ritenuto la conformità ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117 Cost., comma 1, sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo di cui all’art. 6 CEDU, del D.L. n. 193 del 2016, art. 7 quinquies che ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di “interpretazione autentica”.
6. In conclusione, il ricorso va integralmente rigettato.
7. Le spese di giudizio, per il principio della soccombenza, si pongono a carico della società ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in complessivi Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il nella camera di consiglio, il 13 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021
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