LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4988-2020 proposto da:
STRANSHOLD INVESTMENTS LIMITED, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato DAVIDE RAFFA;
– ricorrente –
contro
ZURICH INSURANCE PUBBLIC LIMITED COMPANY, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo studio dell’Avvocato MARCO ANNECCHINO, rappresentato e difeso dall’Avvocato SANTO SPAGNOLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1179/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 10/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
RITENUTO IN FATTO
– che Stranshold Investments limited (d’ora in poi, “Stranshold”) ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1179/19, del 10 giugno 2019, della Corte di Appello di Palermo, che -accogliendo il gravame esperito, in via di principalità, da Zurich Insurance P.L.C. (d’ora in poi, “Zurich”) contro la sentenza n. 4295/15, del 24 luglio 2015, del Tribunale di Palermo, rigettando, invece, il gravame incidentale di Stranshold – ha respinto la domanda proposta dall’odierna ricorrente affinchè Zurich fosse condannata a pagarle la somma di Euro 300.000,00, oltre interessi e rivalutazione fino al soddisfo, a titolo di indennizzo assicurativo, in forza di contratto concluso in data 8 settembre 2011;
– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce di aver assicurato con Zurich l’imbarcazione “*****”, affondata a seguito di un’esplosione avvenuta in cucina mentre la stessa era in navigazione da Palermo a Malta;
– che avendo l’assicuratrice rifiutato il pagamento dell’indennizzo, essa si vedeva costretta ad adire le vie giudiziali, conseguendo dal Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento della domanda, la condanna di Zurich a pagarle la somma (minore rispetto a quella richiesta) di Euro 184.153,21, oltre agli interessi legali dalla decisione fino al soddisfo;
– che, in particolare, il giudice di prime, disattendeva l’eccezione della convenuta circa l’inoperatività della polizza, in quanto l’incendio si sarebbe verificato a causa di un comportamento gravemente colposo e negligente dell’equipaggio (nello specifico, del Capitano e di un marinaio, i quali in piena navigazione avrebbero accesso un fornello della cucina per poi allontanarsi, lasciandoli incustoditi), ritenendo che tale evenienza integrasse solo un concorso nella causazione del danno;
– che esperito gravame, in via di principalità, dalla convenuta soccombente (nonchè, in via incidentale, dall’attrice parzialmente vittoriosa, per lamentare il riconoscimento del proprio concorso nella causazione del danno), il giudice di appello accoglieva il mezzo principale, facendo propria l’eccezione di inoperatività della polizza per fatto gravemente colposo dell’assicurata;
– che avverso la sentenza della Corte panormita Stranshold ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di due motivi;
– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., “avuto riguardo al travisamento nella ricostruzione della causa del danno, in contrasto delle prove acquisite in giudizio”;
– che, difatti, sebbene rientri nel potere discrezionale del giudice l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la giurisprudenza di questa Corte sarebbe “ormai consolidata nel ritenere che si ponga una questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c., allorchè il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti”;
– che il giudice di appello ha ritenuto gravemente colposa la condotta di accensione del fornello d2 parte dell’equipaggio (e dunque tale da comportare, a termini di contratto, l’esenzione dall’obbligo di corrispondere l’indennizzo), reputandola quale causa del sinistro, mentre nessuna prova sarebbe stata raggiunta in tal senso, tanto che la statuizione del primo giudice sul punto aveva formato oggetto di gravame incidentale da parte di essa Stranshold;
– che il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “error in iudicando”, ovvero violazione dell’art. 2697 c.c.;
– che la ricorrente – nel richiamare il principio enunciato da questa Corte secondo cui è ipotizzabile la violazione della norma suddetta nei casi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni – censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che “ove poi dovesse ritenersi, come ipotizzato dal danneggiato, che l’esplosione abbia avuto un origine diversa” (dal mancato controllo del fornello di cucina lasciato accesso), “la causa ignota dell’esplosione medesima, unitamente alla mancata allegazione e prova delle fasi successive”, rimarrebbero “a carico dell’assicurato”;
– che, per contro, alla luce del principio sopra richiamato, una volta provato dall’assicurato l’avveramento del rischio (ovvero, l’affondamento dell’imbarcazione), la prova dell’avveramento, invece, del fatto impeditivo della pretesa relativa al pagamento dell’indennizzo (vale a dire, che l’esplosione fosse imputabile allo stesso assicurato) era a carico dell’assicuratore;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per l’11 febbraio 2021;
– che la controricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è inammissibile in ciascuno dei due motivi in cui si articola;
– che, in particolare, quanto al primo motivo, va qui ribadito che “la violazione dell’art. 115 c.p.c.” – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probata partium” – “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01), mentre la violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che enuncia il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è stata circoscritta da questa Corte a due sole ipotesi, ambedue neppure astrattamente configurabili (o meglio, prospettate) nel caso che occupa;
– che vi è violazione dell’art. 116 c.p.c., per un verso, qualora “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonchè Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), nonchè, per altro verso, allorchè “si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova”, risultando, però, siffatta censura “ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02);
– che in relazione, tuttavia, a quest’ultimo profilo va rammentato come, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “catione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte sia destinato ad investire, ormai, la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multì’, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01);
– che il vizio motivazionale è, dunque, prospettabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, ovvero, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-0), o perchè affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 64962801), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 65001801);
– che, nella specie, non solo non si ravvisano, ma neppure sono state dedotte dal ricorrente, affermazioni “irriducibilmente contraddittorie” o “inconciliabili” che rendano, per così dire, imperscrutabile il “decisum” del giudice di appello;
– che, d’altra parte, la stessa giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla ricorrente nell’illustrazione del presente motivo di ricorso, si è attesta sui “dicta” appena illustrati, enunciando, pertanto, un principio ben diverso da quello indicato dalla ricorrente e secondo cui sussisterebbe violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., “quando il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti”;
– che la censura formulata (segnatamente “sub specie” di violazione dell’art. 115 c.p.c.), neppure potrebbe intendersi come denuncia del travisamento della prova, nozione che “implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale”, evenienza, quest’ultima, che è però ipotizzabile solo quando “l’informazione probatoria riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione sia diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto e rappresentata nel ricorso o addirittura non esista” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 25 maggio 2015, n. 10749, Rv. 635564-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 21 gennaio 2020, n. 1163, Rv. 656633-02; Cass. Sez. 2, ord. 14 febbraio 2020, n. 3796, Rv. 657055-01);
– che, tuttavia, nel caso che occupa il ricorrente non si duole del contrasto tra l’informazione probatoria come riportata in sentenza (e, dunque, dalla stessa utilizzata) e come, invece, oggettivamente risultante da un certo atto processuale, sicchè la censura si colloca fuori dell’ambito della denuncia del travisamento della prova, investendo piuttosto la valutazione delle sue risultanze;
– che, sul punto, giova ribadire che mentre “l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito” (che è quello che “investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare”) “non è mai sindacabile in sede di legittimità”, l’errore di percezione, “cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione del medesimo codice, art. 115, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte” (Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01);
– che, per concludere lo scrutinio del primo motivo di ricorso, esso risulta vieppiù inammissibile ove si consideri che lamenta il “travisamento nella ricostruzione delle cause del danno”, e dunque un tema sottratto al vaglio di questa Corte, se è vero che “l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, restando, invece, inteso che “l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivata” (Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2014, n. 4439, Rv. 630127-01; Cass. Sez. 3, ord. 10 aprile 2019, n. 9985, Rv. 653576-01);
– che anche il secondo motivo risulta inammissibile, giacchè investe una “ratio decidendi” – ammesso, oltretutto, che la stessa possa considerarsi tale, e non un mero “obiter”, espresso “ad abundantiam” e come tale neppure impugnabile (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 10 aprile 2018, n. 8775, Rv. 648883-01; nello stesso senso Cass. sez. Lav, sent. 22 ottobre 2014, n. 22380, Rv. 633495-01) – che è “aggiuntiva” rispetto a quella censurata con il primo motivo di ricorso, sicchè la ritenuta inammissibilità dello stesso comporta l’adozione di analogo esito per il secondo, in applicazione del principio secondo cui, ove la sentenza impugnata risulti “sorretta da due diverse “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile” (Cass. Sez. 3, ord. 13 giugno 2018, n. 15399, Rv. 649408-01);
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando la Stranshold Investments limited a rifondere alla Zurich Insurance P.L.C., le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè 15% per spese generali più accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021