LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1379/2016 proposto da:
Ales S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Tre Orologi n. 20, presso lo studio dell’avvocato Paolo Picozza, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gianluca Fusco, giusta procura procura speciale per Notaio Dott. P.L. di Cagliari – Rep. n. *****;
– ricorrente –
contro
HP Enterprise Services Italia S.r.l., già EDS – Electronic Data Systems Italia S.r.l. e già S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via delle Quattro Fontane n. 15, presso lo studio dell’avvocato Claudia Scapicchio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Antonio Briguglio, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6184/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2020 dal Cons. Dott. Marco Marulli;
lette le conclusioni scritte ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art.
23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020, del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che chiede che la Corte di Cassazione rigetti il ricorso in epigrafe; con le conseguenze di legge.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Roma – Sezione specializzata in materia di impresa ha rigettato l’appello introdotto da Ales s.r.l. avverso la sentenza che in primo grado ne aveva respinto la domanda intesa a conseguire la condanna della Electronic Data System – EDS s.p.a. in seguito HP Enterprises Services Italia s.r.l. – al ristoro dei danni subiti per la condotta di quest’ultima che, già cessionaria di 1250 licenze per l’uso di un programma per lo scrutinio elettronico dei voti destinato all’impiego in occasione delle consultazioni elettorali, si era illecitamente appropriata della procedura cedendone alla committenza pubblica l’uso per un numero illimitato di licenza a tempo indeterminato.
Il giudice territoriale si è indotto a respingere il proposto gravame sull’assunto, già fatto proprio dal giudice di primo grado e mutuato direttamente dalle conclusioni del CTU, secondo cui “le differenze tra i prodotti sviluppati rispettivamente da Ales e EDS appaiono evidenti dal punto di vista della loro espressione formale costituita dai programmi sorgenti” e, pertanto, “il software EDS non può essere ritenuto una contraffazione del software E-voto sviluppato dal Ales”. Restano con ciò assorbite, a parere del giudicante, una volta osservato più in generale che non è di per sé illecito realizzare un nuovo software che soddisfi le medesime esigenze funzionali di un software già in uso, tutte le doglianze che l’appellante muove alla sentenza impugnata sotto il profilo della sua adesione agli artt. 2 ed 8 del contratto disciplinante i rapporti tra le parti, che postulano un’identità dei programmi sebbene “come accertato dal CTU il programma non sia stato imitato da EDS”; alla L. 22 aprile 1941, n. 633, artt. 64-bis e 64-quater, che parimenti presuppongono, diversamente da quanto appunto risultante dalla CTU, “che il programma di EDS Italia sia una modifica del programma elaborato dalla Ales e non un programma nuovo e diverso” e che “la sovrapponibilità in termini di funzione… costituisca un elemento di illiceità del programma realizzato successivamente”; e alle norme in materia di concorrenza sleale dovendo escludersi nella specie la ravvisabilità dell’imitazione servile, dato che, come già ritenuto dal primo giudice essa “si identifica con la sola riproduzione delle forme esteriori individualizzanti il prodotto del concorrente… e non anche di quelle rese necessarie dalle caratteristiche funzionali del prodotto stesso”, affermazione non contestata dall’appellante che anzi ha ammesso che “il prodotto realizzato non presenta… caratteristiche estrinseche particolarmente significative ed individualizzanti”; e così pure, replicandosi al riguardo “le identiche contestazioni oggetto degli altri motivi”, anche la violazione delle regole della correttezza professionale.
La cassazione di detta sentenza è ora chiesta da Ales sulla base di tre motivi di ricorso, ai quali replica l’intimato con controricorso. Memorie di entrambe la parti ex art. 378 c.p.c. e conclusioni scritte del P.M..
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione, anche in relazione all’art. 1372 c.c., degli artt. 2,3 e 8 del contratto inter partes e degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366 c.c., anche in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. e art. 1369 c.c., nonché in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla corretta identificazione del prodotto oggetto di discussione. Più in dettaglio la deducente rimprovera alla sentenza in disamina di aver omesso di “considerare la sussistenza di riscontri oggettivi che… non consentivano di limitare l’indagine alla verifica dei presupposti per una mera tutela formale del software”; di aver assecondato una lettura limitata delle risultanze di prova, che emerge “con immediata evidenza se si considera… che l’oggetto dell’accordo negoziale è stato individuato nel prodotto consistente nel “programma” e nella “procedura””; di aver trascurato “un presupposto essenziale” nel negare la valenza identificativa della procedura; di aver operato “una lettura delle clausole convenzionali e del sistema normativo di riferimento” in contrasto con il principio di correttezza; di essere venuta meno ad “una coerente lettura anche delle altre clausole convenzionali”; e, in ultimo, di aver “totalmente omesso di considerare che anche l’ulteriore materiale istruttorio acquisito in atti evidenziava oggettive incongruenza meritevole di ben diversa considerazione”.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Così compendiato il quadro delle rimostranze ricorrenti non decampa per vero dalla rappresentazione di un mero dissenso motivazionale ed intende sollecitare, per mezzo di una critica che oblitera, da un lato, le regole basilari per la censurabilità in cassazione dell’errore ermeneutico e, dall’altro, l’intervenuta riduzione al minimo costituzionale del controllo di legittimità sulla motivazione con l’espunzione dal vizio motivazionale – qui peraltro assorbito dalla preclusione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5 – per come ora disciplinato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame degli elementi istruttori ed, oscura, nel contempo, le finalità proprie del giudizio di cassazione, una rinnovata valutazione delle risultanze di causa nell’auspicio che questa Corte, quasi a precostituire un giudice di terza istanza, procedendo ad un nuovo esame del fatto e delle sue circostanze, possa mettere riparo alla pretesa ingiustizia della decisione impugnata sostituendo il proprio giudizio a quello del giudice di merito.
3.1. Il secondo motivo di ricorso argomenta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 633 del 1941, art. 64-quater, nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., ed, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo consistente nella disponibilità da parte di HP del codice sorgente rappresentato dal software di Ales. Più in dettaglio la deducente rimprovera alla sentenza impugnata di aver “totalmente omesso la disamina delle circostanze di fatto dedotte dall’attuale ricorrente al fine di valutare i rilievi dedotti circa la specifica violazione delle norme sopra specificatamente individuate”; ed il fatto che “il licenziatario non può utilizzare le informazioni eventualmente ottenute mediante la decompilazione”.
3.2. Il motivo, affrancato da ogni suggestione motivazionale afferente all’omesso esame di elementi istruttori per quanto si è dianzi precisato, nonché per l’assorbente rilievo formulabile a mente dell’art. 348-ter c.p.c., non ha quanto al resto fondamento alcuno.
Ed invero la L. n. 633 del 1941, art. 64-quater, comma 2, lett. c), vieta infatti al licenziatario che le informazioni ottenute a mezzo della riproduzione del codice sorgente “siano utilizzate per lo sviluppo, la produzione o la commercializzazione di un programma per elaboratore sostanzialmente simile nella sua forma espressiva, o per ogni altra attività che violi il diritto di autore”. Posto, quindi, che la tutela apprestata dalla norma è invocabile, una volta accertata la creatività dell’opera riprodotta, solo se la riproduzione che ne venga fatta dal licenziatario si traduca nella realizzazione di un prodotto “simile nella sua forma espressiva”, non viola certamente la norma richiamata la sentenza di merito che, come quella qui impugnata, si dia cura di rimarcare, riportandosi alle conclusioni rassegnate in atti dal CTU e negando perciò la sussistenza della pretesa contraffazione, che “le differenze fra i prodotti sviluppati, rispettivamente, da Ales e EDS appaiono evidenti, dal punto di vista della loro espressione formale, costituita dal codice sorgente”. Come si è altrove osservato (Cass. Sez. I, 13/06/2014, n. 13524) non sarebbe ravvisabile nel software realizzato da EDS a partire dal codice sorgente alla base dell’applicativo di Ales quel “nucleo centrale dell’opera protetta” che rende sanzionabile l’attività riproduttiva altrui, facendo invero difetto quell’identità espressiva tra i due programmi messi a confronto in ragione del quale si possa ritenere che quello successivo costituisca una riproduzione abilmente mascherata (Cass., Sez. I, 27/10/2005, n. 20925) di quello antecedente e non piuttosto un modo di interpretare in maniera originale il medesimo tema informatico.
4.1. Il terzo motivo di ricorso denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., nn. 1 e 3, ed, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi consistenti nei contenuti illeciti, sotto il profilo concorrenziale, della condotta della resistente. Più in dettaglio la deducente imputa alla sentenza impugnata di aver erroneamente escluso che nella specie ricorressero le condizioni per l’applicazione dell’art. 2598 c.c., n. 1, quantunque, in considerazione della natura del prodotto che “non presenta caratteristiche estrinseche significative e individualizzanti” la norma dovesse ritenersi applicabile anche nel caso di specie; e parimenti di aver erroneamente ritenuto inapplicabile anche l’art. 2598 c.c., n. 3, quantunque fossero stati evidenziati da essa ricorrente “i vizi della condotta della resistente HP sulla base di presupposti che in fatto e in diritto imponevano una specifica valutazione circa la conformità ai canoni di cui all’art. 2598 c.c., n. 3”.
4.2. Il motivo, in disparte da ogni riflesso motivazionale per quanto si è dianzi meglio spiegato, affonda per il resto le proprie radici, malgrado l’intitolazione imputi alla sentenza un erroneo giudizio in diritto, nella segreta sollecitazione a rinnovare il sindacato meritale esperito dal decidente del grado e si espone così al medesimo giudizio di sfavore in punto di ammissibilità cui già va soggetto il primo motivo di ricorso.
Rispetto invero alle ragioni che corroborano l’assunto decisorio, legittimato, da un lato, dalla considerazione, adesiva alla giurisprudenza di questa Corte, che l’imitazione servile “si identifica con la sola riproduzione delle forme esteriori individualizzanti il prodotto del concorrente… e non anche di quelle rese necessarie dalle caratteristiche funzionali del prodotto stesso” e, dall’altro, dalla considerazione che la doglianza è sorretta dalle “identiche contestazioni oggetto degli altri motivi, delle quali si è già affermata la infondatezza”, l’illustrazione del motivo non varca il limite della pura critica di principio, astenendosi perciò dal censurare il preteso errore di diritto in conformità alle indicazioni reiteratamente enunciate da questa Corte e non compendiandosi in altra istanza che in quella diretta alla rinnovazione del giudizio di fatto.
5. Il ricorso va dunque respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza. Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 19700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Si dà atto che la presente sentenza viene sottoscritta dal solo Presidente in applicazione delle disposizioni impartite dal Primo Presidente con Decreto 18 marzo 2020, n. 40/2020.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021
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