Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.20323 del 16/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27043/2016 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’avv. RAFFAELE TOMMASINI;

– ricorrente –

contro

L.I., L.B.M., L.L., L.C.;

– intimati –

contro

L.G., elettivamente domiciliato in MESSINA, VIA MAISANO 16, presso lo studio dell’avvocato CARLO MASTROENI, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 180/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 22/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1983 C.L. – anche in quanto genitore esercente la potestà sulla minore L.C. – unitamente ai figli maggiorenni L.I., B., G. e L., convenne in giudizio M.L. perché fosse accertato che non esisteva servitù di passaggio e di veduta a favore del fondo di proprietà della convenuta, e fosse ordinata la restituzione del terreno abusivamente occupato, nonché l’eliminazione delle vedute mediante realizzazione di appositi schermi, con la condanna al risarcimento del danno.

1.1. Esposero gli attori di essere titolari di un fabbricato con terreno circostante sito in ***** (in catasto al foglio *****, part. *****) con accesso alla SS *****, e lamentarono che la M., proprietaria del fabbricato adiacente (in catasto al foglio ***** part. *****), attraversava senza titolo la loro proprietà per accedere alla strada. Lamentarono inoltre che la convenuta aveva realizzato manufatti lungo il confine, occupando in parte il terreno di proprietà degli attori, e che da tali manufatti esercitava abusivamente servitù di veduta.

1.2. La convenuta M. resistette assumendo che la situazione dei luoghi risaliva al 1968, quando era stato concluso un accordo tra lei stessa e L.V., dante causa degli attori, e formulò domanda riconvenzionale per la costituzione di servitù coattiva di passaggio e per l’attribuzione, ai sensi dell’art. 938 c.c., della proprietà della costruzione realizzata e del suolo, previo pagamento del doppio del valore o, in subordine, la condanna degli attori a riconoscerle il costo dei materiali e della manodopera ovvero l’aumento di valore del fondo, ai sensi dell’art. 936 c.c., nonché l’eliminazione delle vedute dal fondo di proprietà degli attori, oltre al risarcimento del danno.

1.3. Il Tribunale di Messina, con la sentenza n. 1884 del 2001, accolse le domande degli attori, condannò la convenuta al pagamento di un indennizzo per l’occupazione di suolo e al risarcimento dei danni prodotti dall’esercizio abusivo delle servitù, rigettò le domande riconvenzionali ed eccezioni della convenuta.

2. La Corte d’appello di Messina, adita dalla M., con la sentenza non definitiva n. 445 del 2013, pubblicata il 6 giugno 2013, ha riformato in parte la sentenza di primo grado, rigettando la domanda degli attori di rimozione delle opere e manufatti realizzati dalla convenuta.

2.1. Con la sentenza definitiva n. 180 del 2016, pubblicata il 22 marzo 2016, la stessa Corte ha condannato L.G. al pagamento in favore di S.A., erede della M., della somma di Euro 21.500,00 a titolo di indennità ex art. 936 c.c., comma 3, ed ha rigettato la domanda risarcitoria formulata dall’appellante.

3. Per la cassazione di entrambe le sentenze ha proposto ricorso S.A. sulla base di sei motivi. L.G. ha depositato atto di costituzione al fine di partecipare alla discussione della causa, e ha depositato memoria in prossimità della Camera di consiglio fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.. Non hanno svolto difese in questa sede gli intimati L.I., L.B.M., L.L. e L.C..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si deve dichiarare l’inammissibilità della memoria di parte intimata L.G., in quanto non preceduta dal deposito di regolare controricorso. Risulta, infatti, che il ricorso è stato depositato in data 5 dicembre 2016, quindi in epoca successiva all’entrata in vigore della L. 25 ottobre 2016, n. 197, di conversione in legge del D.L. n. 168 del 2016, che ha inserito l’art. 380-bis.1 c.p.c..

Non può trovare applicazione, pertanto, la giurisprudenza formatasi con riferimento ai ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore della L. n. 197 del 2016 e per i quali a tale data non fosse stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in Camera di consiglio. L’immediata applicazione del nuovo rito di cassazione anche ai predetti ricorsi, ha reso necessario tutelare la posizione della parte intimata che avesse precedentemente depositato procura notarile senza notificare alcun controricorso, nella prospettiva della partecipazione alla discussione orale in pubblica udienza o di essere sentita in Camera di consiglio. Perduta tale facoltà per effetto delle norme sopravvenute, questa Corte ha ritenuto che il diritto di difesa dovesse essere garantito dalla possibilità di presentare memoria scritta, con conseguente diritto anche alla rifusione delle spese e dei compensi per il conferimento della procura e per l’attività difensiva, in caso di soccombenza della controparte (v. per tutte, Cass. 24/03/2017, n. 7701).

La fattispecie in esame è però diversa, come si è già detto, perché essendo il ricorso successivo alla entrata in vigore del rito camerale di cassazione, la parte intimata non ha subito alcuna riduzione delle facoltà difensive, e trova applicazione pertanto il principio generale secondo il quale nel giudizio davanti la Corte di Cassazione è irricevibile la memoria difensiva presentata in prossimità dell’udienza, con la quale la parte che non ha depositato il controricorso spiega, per la prima volta, le ragioni di resistenza al ricorso, perché, in assenza di controricorso, la parte intimata non può presentare memorie (ex plurimis, Cass. 15/11/2017, n. 27140; Cass. 20/10/2017, n. 24835).

2. Con il primo motivo, che ha ad oggetto la sentenza non definitiva, il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 1322 e 1362 c.c., nella parte in cui la Corte d’appello non ha tenuto conto che vi era stato un accordo tra la M. e L.V., dante causa degli originari attori, avente ad oggetto reciproche concessioni di passaggi e di veduta.

Il ricorrente riporta le dichiarazioni testimoniali dalle quali sarebbe emersa l’avvenuta conclusione dell’accordo.

3. Il motivo è privo di fondamento.

3.1. La Corte d’appello ha evidenziato che le dichiarazioni testimoniali non avevano affatto confermato l’esistenza di un accordo nei termini dedotti dalla convenuta M., comprensivo cioè di facoltà edificatorie e dell’apertura di vedute.

I testimoni avevano riferito soltanto della reciproca concessione di passaggi, che però non aveva trovato conferma negli accertamento svolti dal CTU, poiché in sede di operazioni peritali non erano stati forniti elementi atti a chiarire per quale via e con quali modalità i L. esercitassero il passaggio sul fondo M. per raggiungere la spiaggia.

Esclusa l’esistenza di un accordo costitutivo di diritti reali per carenza della forma scritta, la Corte territoriale ha ritenuto che neppure fosse stata raggiunta la prova di un accordo fonte di obbligazioni reciproche – come la stessa convenuta M. aveva prospettato in comparsa conclusionale – essendo emersa, piuttosto, una situazione nella quale il L. aveva bonariamente concesso alla M. (che ivi esercitava attività alberghiera) di attraversare il proprio fondo per accedere alla statale.

3.2. La decisione non è sindacabile avuto riguardo all’apprezzamento delle prove e non risulta in contrasto con l’art. 1362 c.c..

3.2.1. Quanto al primo profilo, va ribadito l’orientamento di questa Corte Suprema secondo cui la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è censurabile (in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4) solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

Nessuna di queste evenienze si è verificata nella fattispecie in esame.

Per il resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (ex plurimis, Cass. 12/04/2017, n. 9356; Cass. 10/06/2016, n. 11892).

3.2.2. Quanto alla regola ermeneutica che impone al giudice di indagare quale sia stata la reale intenzione delle parti e, a tal fine, di valutare il comportamento tenuto dalle parti, anche dopo la conclusione dell’accordo, è evidente che l’applicazione di tale regola presuppone l’avvenuta conclusione di un contratto, evenienza che nella fattispecie in esame non risulta essersi verificata.

La Corte territoriale ha ritenuto che non vi era prova della conclusione di un accordo contenente reciproche concessioni tra la M. e L.V., risultando piuttosto che vi fosse stata la “bonaria concessione di passaggio da parte del L.V. in favore della M.” (pag. 16 della sentenza), e quindi una situazione di fatto rispetto alla quale il comportamento degli eredi L., di non tollerare ulteriormente tale situazione di fatto, assume un significato completamente diverso da quello che gli attribuisce il ricorrente, il quale muove dall’erroneo presupposto dell’esistenza dell’accordo.

4. Con il secondo motivo, che ha ad oggetto la sentenza non definitiva, è denunciata violazione ed erronea applicazione degli artt. 2043,2056,1123 e 1227 c.c. e si contesta il rigetto della domanda di rilascio del suolo occupato e delle opere realizzate dalla convenuta, domanda riproposta con l’appello dall’erede S.A., nonché la conferma della condanna della convenuta al pagamento dei danni per l’occupazione del suolo e per l’esercizio delle servitù, che il Tribunale non aveva motivato.

4.1. Il motivo è infondato sotto tutti i profili evocati in quanto muove dall’erroneo presupposto che esistesse un accordo in forza del quale la convenuta M. aveva titolo per occupare il suolo degli attori, e per esercitare le servitù.

5. Con il terzo motivo, che ha ad oggetto la sentenza non definitiva, è denunciata violazione ed erronea applicazione dell’art. 1051 c.c. e si lamenta che il rigetto del motivo di gravame, proposto in via subordinata, di costituzione della servitù coattiva di passaggio carrabile sul fondo di proprietà dei L..

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto attinge la ricostruzione dello stato dei luoghi, sulla cui base la Corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per la costituzione della servitù coattiva di passaggio.

Il ricorrente richiama la CTU, assumendo che dalla stessa sarebbe emersa la situazione di interclusione del fondo, ma non riporta neppure in stralcio il contenuto della CTU, e in questo modo preclude in radice il controllo di legittimità sulla questione, a fronte della affermazione della Corte d’appello secondo cui era “indimostrata” sia l’interclusione sia la prospettata impossibilità di realizzare una rampa per l’accesso diretto dal fondo M. alla strada statale (pagg. 20-21 della sentenza).

6. Con il quarto motivo, che ha ad oggetto la sentenza non definitiva, è denunciata violazione ed erronea applicazione dell’art. 938 c.c., art. 116 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo, e si lamenta il rigetto della domanda riconvenzionale di attribuzione della proprietà delle opere realizzate dalla M.. La Corte d’appello, pur avendo dato atto che tali opere erano state realizzate dalla M. in buona fede, in modo palese, senza opposizione da parte di L.V., non aveva fatto applicazione del principio c.d. dell’accessione invertita.

6.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha deciso in conformità alla giurisprudenza consolidata di legittimità, secondo cui la buona fede rilevante ai fini dell’accessione invertita prevista dall’art. 938 c.c., consiste nel ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione. La buona fede deve escludersi qualora, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, il costruttore avrebbe dovuto fin dall’inizio anche solo dubitare della legittimità dell’occupazione del suolo del vicino (ex plurimis, Cass. 10/01/2011, n. 345; Cass. 04/03/2005, n. 4774).

Nella situazione in esame, come chiarito nella sentenza impugnata, la M. era perfettamente consapevole dell’altruità del suolo, e questo ha impedito di ritenere sussistente la buona fede nel senso richiesto ai fini dell’accessione invertita.

Il fatto che il L. non si fosse opposto alla costruzione o che l’avesse “autorizzata” non può incidere sul perfezionamento della fattispecie acquisitiva prevista dall’art. 938 c.c., in assenza della buona fede del costruttore nel senso indicato.

7. Con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza definitiva, per violazione ed erronea applicazione dell’art. 936 c.c., nella parte in cui ha dichiarato l’accessione della costruzione M. al fondo L. ed ha riconosciuto la relativa indennità.

7.1. Il motivo è inammissibile in quanto espressamente condizionato all’accoglimento del quarto motivo, che è stato rigettato.

8. Con il sesto motivo, che ha ad oggetto la sentenza definitiva, è denunciata violazione ed erronea applicazione dell’art. 1218 c.c. o dell’art. 2043 c.c. e si lamenta il rigetto della domanda risarcitoria a fronte del comportamento illecito tenuto dai L., che non avevano rispettato l’accordo.

8.1. Il motivo è privo di fondamento.

Come evidenziato nell’esame dei motivi che precedono, una volta che la Corte d’appello ha escluso l’esistenza di un accordo tra la M. e il dante causa degli attori, alcuna censura fondata sull’esistenza dell’accordo può essere utilmente prospettata in questa sede, e ciò vale anche con riferimento al profilo risarcitorio.

Correttamente la Corte d’appello ha chiarità che, in assenza di un atto traslativo della proprietà, la M. aveva costruito su suolo altrui a suo rischio, sapendo o dovendo sapere che il L. o i suoi eredi avrebbero potuto chiedere il rilascio del terreno anche a distanza di anni, come poi è accaduto. Non è configurabile, pertanto, un incolpevole affidamento da tutelare in via risarcitoria.

9. Al rigetto del ricorso non segue pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva delle parti intimate.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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