LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2450/2016 R.G. proposto da:
B.B., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Gritti, Fabiana Gritti, e Daniele Manca Bitti, con domicilio eletto in Roma alla Via Luciani n. 1.
– ricorrente –
contro
L.M., E R.M., rappresentati e difesi dall’avv. Francesca Cazzoletti, e dall’avv. Paola Ramadori, con domicilio eletto in Roma, Via Marcello Prestinari n. 13.
– controricorrenti – ricorrenti in via incidentale –
e F.P., rappresentata e difesa dall’avv. Guido Romanelli, e dall’avv. Ezio Cividini, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Pacuvio n. 34.
– controricorrente –
e P.O., rappresentato e difeso dall’avv. Francesca Cazzoletti e dall’avv. Paola Ramadori, con domicilio eletto in Roma, Via Marcello Prestinari n. 13.
– controricorrente –
e C.A., rappresentato e difeso dall’avv. Francesca Cazzoletti, e dall’avv. Francesca Cazzoletti e Carolina Tinti con domicilio eletto in Roma, Via Marcello Prestinari n. 13, presso l’acc. Paola Ramadori;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 1504/2014, depositata in data 19.12.2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3.2.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
B.B. ha adito il tribunale di Brescia in qualità di proprietaria di un edificio sito in ***** (comprensivo di un portico e di antistante area cortilizia), distinto in catasto al fl. ***** del mappale *****, esponendo che C.A., proprietario del mappale *****, aveva aggravato una preesistente servitù di passaggio pedonale, transitando attraverso una porticina in legno, anziché, come avrebbe dovuto, da un portone, ed aveva apportato numerose modifiche dello stato dei luoghi in violazione dei diritti di proprietà dell’attrice, mentre i coniugi L. – R. esercitavano abusivamente il transito sotto un portico esclusivo per accedere al loro orto, e si erano resi responsabili delle molteplici violazioni elencate in citazione.
L’attrice ha altresì dedotto che il suo immobile non era munito delle condotte del gas, dell’energia, del teleriscaldamento e delle fognature, ed ha quindi proposto domanda per far accertare l’insussistenza delle servitù di passaggio esercitate illegittimamente da C.A. e dai coniugi L. – R., e per ottenere la costituzione della servitù coattiva di posa degli impianti e dei servizi descritti in citazione sui fondi di P.O. e F.P., la cessazione delle turbative ed il ripristino dello stato dei luoghi oltre al risarcimento del danno, da quantificare in corso di causa.
C.A. ha resistito in giudizio, chiedendo in via riconvenzionale di accertare l’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di passaggio per accedere ad un orto attraverso la proprietà B. e di condannare quest’ultima al risarcimento del danno.
I coniugi L. – R. hanno respinto ogni addebito, instando per l’accertamento dell’usucapione della servitù di passo pedonale e carrabile sotto il portico e sul cortile dell’attrice o – in subordine per ottenere la costituzione della servitù in via coattiva.
F.P. si è opposta alle richieste della B., osservando che il fondo era già allacciato alla rete dei servizi primari. P.O. è rimasto – invece – contumace.
Esaurita la trattazione, il tribunale ha costituito la servitù coattiva per la posa dei servizi tecnologici (fatta eccezione per quelli relativi all’energia elettrica, al gas e al telericaldamento) a favore del fondo B. e a carico dei fondi di F. e di P., secondo le modalità indicate dal c.t.u., liquidando un’indennità di Euro 370,00 annuì; ha respinto la negatoria servitutis e ha dichiarato l’intervenuta usucapione della servitù di transito pedonale in favore del C., nonché l’acquisto della servitù di transito pedonale per contratto o usucapione da parte dei coniugi L. – R., condannando questi ultimi ad adottare i necessari accorgimenti per evitare il deflusso delle acque e a rimuovere i manufatti che invadevano la proprietà attorea, regolando le spese.
La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Brescia.
Il Giudice distrettuale ha – anzitutto – ritenuto infondata l’eccezione di improponibilità dell’actio negatoria servitutis a causa della pendenza di un giudizio possessorio tra le stesse parti, rilevando che i coniugi L. – R. avevano spontaneamente rimosso gli ingombri che impedivano l’esercizio del transito veicolare da parte della B., reintegrando quest’ultima nell’esercizio del possesso. Ha quindi costituito la servitù per il passaggio delle condotte del gas, energia e teleriscaldamento in favore del fondo B., ed ha dichiarato l’intervenuta usucapione della servitù di passaggio pedonale e carrabile sull’area cortilizia nonché della servitù di passaggio pedonale sotto il portico, in favore del fondo dei coniugi L. – R..
Quanto alla regolazione delle spese processuali, la sentenza ha condannato la B. a rimborsare il 50% delle oneri processuali sostenuti dai L. – R., compensando il residuo 50%, e l’intero importo delle spese di secondo grado sostenute dal P. e dalla F..
La cassazione della sentenza è chiesta da B.B. con ricorso in nove motivi.
L.M. e R.M. resistono con controricorso e con ricorso incidentale in due motivi.
C.A., P.O. e F.P. hanno depositato controricorso e memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che, nonostante l’accoglimento – in motivazione – della domanda di costituzione della servitù coattiva di passaggio delle condutture del gas e del teleriscaldamento, nessuna conforme statuizione sia contenuta nel dispositivo della sentenza impugnata.
Il motivo è infondato.
La portata precettiva della sentenza deve essere individuata, integrando il dispositivo con la motivazione, con la conseguenza che, ove manchi un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, deve ritenersi prevalente la statuizione presente in una delle due parti del provvedimento, da interpretare secondo l’unica statuizione in esso contenuta (Cass. 15088/2015; Cass. 9244/2007), non configurandosi un’omissione di pronuncia.
Nello specifico, la riconosciuta fondatezza della richiesta della servitù coattiva, contenuta nella motivazione della sentenza (cfr. pag. 35) e l’assenza di un contrasto con il dispositivo – in cui difetta una contraria statuizione, anche implicita, sul punto in discussione – evidenzia una mera carenza materiale, emendabile con il procedimento di correzione ex art. 287 c.p.c.. Detto procedimento è – difatti – esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata, con le considerazioni contenute nella motivazione, senza che si venga ad incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione (cfr. Cass. 16877/2020; Cass. 668/2019; in tal senso, con riferimento alla mancata previsione in dispositivo della condanna al pagamento del conguaglio nei giudizi di divisione: Cass. 25078/2020, nonché, per la mancata liquidazione delle spese processuali: Cass. s.u. 29029/2018).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 91,92,112,113,132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Si imputa alla pronuncia di aver posto a carico della ricorrente le spese processuali di secondo grado in favore di F.P., benché quest’ultima fosse totalmente soccombente rispetto alla domanda di costituzione della servitù di passaggio delle condotte per il gas e gli altri servizi indispensabili, e di aver omesso di pronunciare sul motivo di appello con cui era stato chiesto di porre a carico della F. anche le spese di primo grado.
Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 91,92,112,113,132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, contestando al giudice distrettuale di non aver pronunciato sul motivo di appello diretto ad ottenere la riforma della statuizione di compensazione delle spese processuali di primo grado nei confronti di P.O. e per aver infondatamente posto a carico della ricorrente anche le spese del secondo grado, nonostante l’integrale accoglimento della domanda volta ad ottenere la costituzione della servitù coattiva del passaggio delle condotte del gas e degli altri servizi essenziali.
I due motivi, che, per l’identità delle questioni vanno esaminati congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono.
La sentenza, pur dando atto che, con il settimo motivo di appello, la B. aveva censurato la compensazione delle spese processuali nei confronti dei convenuti soccombenti, non ha adottato sul punto nessuna statuizione, neppure implicita, quanto ai rapporti con il P. e con la F., avendo diversamente regolato le spese processuali di primo grado nei soli rapporti con i coniugi L. – R..
Sussiste – pertanto – la lamentata omissione di pronuncia, impregiudicato il potere del giudice del rinvio di regolare autonomamente le spese di entrambi i gradi di causa, in base all’esito finale della lite.
Quanto alle spese del presente grado, le censure restano assorbite, ritenendo questa Corte di dover accogliere, per le ragioni che si esporranno, il nono motivo di ricorso, sicché competerà al giudice del rinvio adottare una nuova regolazione anche di dette spese di appello in base all’esito complessivo del giudizio, tenendo conto dei rilievi formulati dalla ricorrente.
3. Il quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 1061,1158,2697 c.c., 115, 116 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. La sentenza, nel riconoscere l’acquisto per usucapione della servitù di passaggio pedonale in favore del fondo di C.A., ha ritenuto sussistente il requisito dell’apparenza delle opere destinate al transito, pur non potendo considerarsi sufficiente – a tale effetto – l’esistenza di una porta sul muro di confine tra le due proprietà.
Il motivo è inammissibile.
Già il tribunale aveva riconosciuto l’acquisto della servitù di passaggio pedonale da parte di C.A. sul fondo della ricorrente, indicandone le modalità di esercizio (cfr. sentenza, pagg. 13 e 14) e la B., nel proporre appello, aveva – in realtà contestato esclusivamente la scelta di dare prevalenza alle deposizioni di taluni soltanto dei testi, per i quali per accedere alla proprietà del C., il transito era stato esercitato attraverso una porta esistente sul muro di confine e perciò percorrendo un tratto coperto anziché l’aia posta sull’area scoperta, ricadente nella proprietà della ricorrente.
Il punto controverso devoluto all’esame del giudice di appello non verteva – quindi – sull’esistenza del requisito dell’apparenza della servitù e, comunque, la sentenza non ha affatto sostenuto che detto requisito fosse soddisfatto dall’esistenza della porta di comunicazione, elemento che è stato preso in considerazione al solo scopo di individuare l’esatto percorso utilizzato per il transito (cfr. sentenza, pag. 35).
Quanto all’omesso esame dell’apparenza delle opere, la questione, come detto, non risulta dibattuta in appello, fermo peraltro che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale da non ricomprendere anche mere questioni o argomentazioni difensive (Cass. 22397/2019; Cass. 14802/2017; Cass. 21152/2014).
4. Il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 1061,1158,2697 c.c., 115, 116 c.p.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. Secondo la ricorrente, per riconoscere l’acquisto della servitù di passaggio carrabile sull’aia in favore del fondo dei L. – R., occorreva accertare l’esistenza di un percorso specificamente destinato all’esercizio del transito e quindi il requisito dell’apparenza delle opere.
La censura è fondata.
La domanda di accertamento dell’usucapione della servitù di transito veicolare in favore del fondo dei coniugi L. – R. era già stata respinta dal tribunale, che aveva riconosciuto solo il diritto ad esercitare il passaggio pedonale per usucapione o per contratto.
La Corte distrettuale, nel dichiarare l’intervenuta usucapione della servitù di passaggio anche con mezzi meccanici, si è limitata a rilevare che “il transito per l’intera estensione dell’aia era sicuramente possibile, avendo il cortile accesso carraio dalla via pubblica”, e ad evidenziare che la B. si era opposta a che circolassero autoveicoli nella porzione di sua proprietà e ne aveva delimitato il confine con paracarri, osservando che però le testimonianze A. e M. attestavano che prima Z.D. e poi i suoi aventi causa (i coniugi L. e R.), transitavano con veicoli anche attraverso il cortile.
La pronuncia ha – in definitiva – valorizzato solo il dato fattuale dell’esercizio del possesso ad usucapionem, senza alcun vaglio dell’esistenza di opere apparenti per l’esercizio della servitù, pur trattandosi di condizione imprescindibile per l’acquisto del diritto a titolo originario.
Ne’ poteva rilevare che il tribunale avesse riconosciuto l’acquisto per usucapione del diritto di passaggio pedonale sul medesimo tracciato:
la servitù di passo carrabile si differenzia da quella di passaggio pedonale per la maggiore ampiezza del suo contenuto, perché, condividendo con quest’ultima la funzione di consentire il transito delle persone, soddisfa l’ulteriore esigenza di trasporto con veicoli di persone e merci da e verso il fondo dominante; ne consegue che dall’esistenza della servitù di passaggio pedonale non può desumersi l’esistenza di quella di passo carrabile, né il passaggio a piedi costituisce atto idoneo a conservare il possesso della servitù di passaggio con automezzi, occorrendo comunque stabilire se il percorso consentisse – per le caratteristiche oggettive e per la sua specifica destinazione funzionale – anche il traffico carrabile (Cass. 19483/2018; Cass. 3906/2000; Cass. 11112/1991).
5. Il sesto motivo deduce la violazione degli artt. 112,324,329,342 c.p.c. e art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Assume la ricorrente che la domanda di costituzione della servitù di passaggio sul portico esclusivo in favore del fondo dei coniugi L. – R. era stata respinta in primo grado e che in appello era stato sollecitato l’accertamento dell’acquisito del diritto in base ai titoli (atti di divisione del 1914 e del 1941), senza che i coniugi L. – R. invocassero l’usucapione, per cui su tale questione era maturato il giudicato interno, restando preclusa alla Corte d’appello la possibilità di dichiarare l’avvenuto acquisto della servitù a titolo originario.
La censura non merita accoglimento.
La servitù prediale appartiene alla categoria dei diritti autodeterminati, i quali si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto (ossia il bene che ne forma l’oggetto) e non al titolo che ne costituisca il fondamento, sicché l’allegazione, in primo come in secondo grado, di un titolo diverso rispetto a quello originariamente posto a base della domanda rappresenta solo un’integrazione delle difese sul piano probatorio, non comportando la proposizione di una domanda nuova, né la rinunzia alla valutazione del diverso titolo dedotto in precedenza.
Quindi, come già precisato da questa Corte, al giudice dell’impugnazione non è preclusa la decisione sulla base dell’altro o di entrambi i titoli dedotti in giudizio, anche se la parte interessata non abbia proposto alcuna specifica doglianza ed istanza in tal senso, giacché l’art. 346 c.p.c., attiene alle domande ed eccezioni non accolte nella sentenza appellata e non riproposte in appello, non agli elementi di prova che, acquisiti al giudizio ma pretermessi dal primo giudice, il secondo ritenga, invece, rilevanti ai fini dell’esatta definizione della controversia (Cass. 24435/2017; Cass. 13270/1999).
Di conseguenza, non era affatto precluso al giudice di appello di dichiarare l’usucapione del diritto di passaggio, sebbene nulla fosse stato dedotto, in proposito, con i motivi di gravame.
6. Il settimo motivo deduce la violazione artt. 1061,1158,2697 c.c., 115, 116 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. La sentenza, riconoscendo, in favore dei coniugi L. – R., l’usucapione del passaggio pedonale sotto il portico della ricorrente, avrebbe omesso qualsiasi valutazione sull’apparenza delle opere destinate al transito, trascurando – in ogni caso – che il portico era munito esclusivamente di una pavimentazione, non rivelando alcuna utilizzazione anche per il passaggio pedonale.
Il motivo è fondato.
Anche con riferimento alla servitù di passaggio pedonale sul portico della ricorrente – usucapita dai coniugi L. – R. – la pronuncia ha focalizzato l’indagine sull’esercizio del possesso, senza dar atto ed accertare se, con riferimento a tale percorso, sussistessero opere visibili, funzionalmente preposte al transito pedonale.
La decisione si è limitata ad evidenziare come le testimonianze confermassero che Z.D. e i loro aventi causa “passavano con il carretto per andare alla concimaia e all’orto” e che il passaggio era stato esercitato sul mappale *****, sia sotto il porticato che nel cortile, quale passaggio necessario per accedere agli orti, senza specificare se fosse esistente anche un tracciato utilizzato in modo non occasionale e posto anche a servizio della porzione dei resistenti (al pari di quanto stabilito per il fondo del C.).
7. L’ottavo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, artt. 164,183 e 345 c.p.c., artt. 2697 e 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
Si espone che in primo grado erano state denunciate le molteplici turbative e molestie poste in esser sia dal C., che dai L. – R. e che la Corte distrettuale, omettendo di definire nel merito il quinto motivo di impugnazione, abbia dichiarato l’inammissibilità delle doglianze non accolte dal tribunale, pur se aventi ad oggetto le medesime condotte dedotte nella citazione introduttiva, non essendo stata formulata una domanda nuova ed essendosi al più in presenza di una mera emendatio libelli.
Il motivo non merita accoglimento.
Non può ravvisarsi alcuna omissione di pronuncia sul quinto motivo di appello che, in realtà, la sentenza ha definito in rito, evidenziando che le condotte denunciate erano state tardivamente dedotte nel giudizio di primo grado.
Inoltre, la Corte territoriale ha respinto l’impugnazione, contestando all’appellante non già di aver proposto una domanda nuova in appello, ma per il fatto che le condotte lesive ascritte ai convenuti erano state specificate solo con la memoria istruttoria (cfr. sentenza pag. 37).
Come è detto anche in ricorso (cfr. ricorso, pag. 75), nella citazione introduttiva era stato chiesto di far cessare qualsivoglia azione limitativa del diritto di proprietà e di utilizzo dei propri beni da parte della B., mentre solo nella predetta memoria erano state dettagliate le violazioni denunciate, quando ormai era però preclusa qualsivoglia ulteriore attività assertiva, diversa dalla formulazione di repliche alle domande ed eccezioni nuove o modificate dall’altra parte o dalle eccezioni che fossero conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2.
L’analitica individuazione delle condotte lesive dei diritti dominicali dell’attrice, non specificate in precedenza, non integrava la deduzione di un fatto secondarlo rilevante in funzione probatoria ed era allegazione ormai preclusa: contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, una volta scaduto il termine di cui all’art. 183, comma 6, n. 1, non era ammissibile neppure la mera precisazione della domanda (Cass. 30745/2019; Cass. 3806/2016).
8. Il nono motivo deduce la violazione degli artt. 112,114,115 c.p.c., artt. 908,913,1126,2043 e 2056 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, assumendo che la sentenza non abbia pronunciato sul motivo di appello con cui era stata riproposta la domanda di risarcimento del danno nei confronti del P. e della F. ed abbia respinto la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti dei L. – R. nonostante fosse stata acquisita piena prova delle molteplici violazioni – anche diverse ed ulteriori rispetto a quelle prese in esame dal giudice di appello consumate in occasione dei lavori di ristrutturazione degli immobili dei resistenti, configurandosi anche un pregiudizio di carattere non patrimoniale da liquidarsi in via equitativa.
Il motivo è parzialmente fondato.
La sentenza nulla ha statuito in relazione al motivo di appello (di cui vi è menzione anche a pag. 3 della decisione impugnata) volto ad ottenere la condanna della F. e del P. al risarcimento del danno provocato dalla impossibilità per la B. di godere pienamente della sua proprietà esclusiva, ed e’, entro tali limiti, incorsa nella violazione denunciata.
Riguardo invece alla richiesta di risarcimento del danno avanzata nei confronti dei coniugi L. – R., la censura sollecita una generica rivalutazione della domanda e l’accoglimento delle istanze proposte in primo grado, senza contestare – in diritto – la tesi della Corte di merito quanto all’impossibilità di risarcire il mero disagio determinato dall’innalzamento della quota della pavimentazione, del convogliamento dell’acqua verso la proprietà dell’attrice e dello sconfinamento di pochi centimetri di una finestra e di un travetto, in assenza delle denuncia della violazione dei rapporti di vicinato, “le uniche per le quali sarebbe stato configurabile un danno in re ipsa” (cfr. sentenza, pag. 38), questione che incideva anche sulla possibilità di risarcire l’eventuale pregiudizio non patrimoniale.
Per come formulata, la doglianza si palesa, sotto tale profilo, del tutto inammissibile.
9. Il primo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione dell’art. 705 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.
La Corte distrettuale, travisando la portata del principio espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 25/1992, avrebbe erroneamente respinto l’eccezione d’improponibilità dell’actio negatoria servitutis proposta dalla B., nonostante la pendenza di un giudizio possessorio avente ad oggetto le medesime vicende dedotte in via petitoria, sostenendo che l’avvenuta rimozione di ogni ostacolo per l’esercizio del possesso avesse eliminato qualsiasi rischio di pregiudizio irreparabile per i coniugi L. – R., convenuti nel presente giudizio, finendo inoltre per trascurare che la B., avendo, nel giugno 2013, occupato con un paracarro il tratto utilizzato per il transito, non aveva affatto reintegrato i possessori nell’esercizio della servitù.
Il motivo è infondato.
In continuità con l’insegnamento di legittimità secondo cui il divieto di cui all’art. 705 c.p.c., viene meno se nel giudizio possessorio sia cessata la materia del contendere, la sentenza impugnata ha evidenziato che le lesione del possesso ai danni dei coniugi L. – R. era cessata con l’eliminazione delle cancellate e dei paracarri apposti in loco dalla B., allo scopo di impedire l’esercizio della servitù di transito pedonale e veicolare.
In effetti, le condizioni che, ai sensi dell’art. 705 c.p.c., consentono al convenuto in giudizio possessorio di instaurare giudizio petitorio, (costituite dalla definizione del giudizio con sentenza non più soggetta ad impugnazione e dall’esecuzione della relativa decisione), possono trovare l’equipollente solo nell’ipotesi in cui vi sia stata una sostanziale cessazione del giudizio possessorio, per aver il convenuto spontaneamente reintegrato la controparte nell’esercizio del possesso (Cass. 8367/2001; Cass. 4087/1979; Cass. 2503/1976; Cass. 67/1976).
Resta irrilevante che la sentenza, nel prender atto dell’avvenuta reintegra dei ricorrenti, abbia richiamato in modo non pertinente il principio espresso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 25/1992 (che ha dichiarato l’illegittimità, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 705 c.p.c., nella parte in cui subordinava la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed alla esecuzione della relativa decisione anche quando da tale esecuzione potesse derivare al convenuto un pregiudizio irreparabile), essendo la decisione comunque conforme a diritto ove ha ritenuto proponibile la domanda petitoria per effetto della spontanea rimozione degli impedimenti all’esercizio del passaggio. Quanto al fatto che la ricorrente avesse ripristinato gli ostacoli, impedendo l’esercizio del transito, la questione non risulta dedotta o esaminata nel giudizio di merito, essendone precluso l’esame in sede di legittimità.
10. Il secondo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione degli artt. 1058,1061,1062 c.c., artt. 112 e 113 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4.
Si censura la pronuncia d’appello nel punto in cui ha ritenuto tardiva la domanda di accertamento della avvenuta costituzione contrattuale della servitù di passaggio, non solo pedonale ma anche carrabile, sull’aia accessoria al fabbricato, in quanto formulata – in aggiunta alla richiesta di accertamento dell’usucapione della medesima servitù – solo all’udienza di precisazione delle conclusioni.
Il motivo è fondato.
E’ sufficiente ribadire in proposito che i diritti assoluti – reali o di “status” – si identificano in sé e non in base alla loro fonte, sicché l’attore può mutare il titolo in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni (artt. 183,189 e 345 c.p.c.) e negli oneri (art. 292 c.p.c.) della modificazione della “causa petendi”.
Non è poi violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato se il giudice accolga il “petitum” sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato.
Tali diritti appartengono alla categoria dei cosiddetti “diritti autodeterminati”, individuati, cioè, in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l’oggetto, onde, nelle azioni a difesa di tali diritti, la “causa petendi” si identifica con il diritto stesso (diversamente da quanto avviene in quelle a difesa dei diritti di credito, nelle quali la “causa petendi” si immedesima con il titolo), mentre il titolo, necessario ai fini della prova di esso, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda (Cass. 2002/2020; Cass. 21641/2019; Cass. 24435/2017; Cass. 8986/2017; Cass. 4192/2017; Cass. s.u. 6627/1998).
La richiesta di accertare che la servitù era stata costituita per contratto – formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni non integrava – quindi – una domanda nuova e non poteva considerarsi preclusa, dovendo essere esaminata nel merito.
In conclusione, sono accolti il secondo, il terzo, il quinto, il settimo e il nono motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale e sono respinti il primo, il quarto, il sesto e l’ottavo motivo del ricorso principale ed il primo motivo di quello incidentale.
La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo, il terzo, il quinto, il settimo e il nono motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale, respinge il primo, il quarto, il sesto e l’ottavo motivo del ricorso principale ed il primo motivo di quello incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021
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