LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10030/2016 proposto da:
D.C.V., rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELO FARACI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
M.R., C.C., rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO COLOMBO, giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 70/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 13/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
PREMESSO Che:
1. Con atto di citazione del 27 settembre 2006 i coniugi M.R. e C.C. convenivano in giudizio D.C.V., chiedendo di accertare e dichiarare la sussistenza del proprio diritto di recedere dal contratto preliminare stipulato tra le parti in data 23 novembre 2005 per inadempimento della convenuta, con conseguente condanna di quest’ultima alla restituzione del doppio della caparra ricevuta. Esponevano gli attori di essersi obbligati ad acquistare un immobile di proprietà della convenuta al prezzo di Euro 200.000,00, entro il termine non essenziale del 31 gennaio 2006; che la promittente venditrice aveva ritardato la consegna della documentazione necessaria per la stipulazione del contratto definitivo e aveva riferito di non essere più disposta a vendere l’immobile; che l’1 marzo 2006 avevano allora invitato la convenuta a restituire la caparra versata; che la convenuta, in risposta, li aveva invitati a stipulare dopo due giorni il contratto definitivo davanti al notaio da lei scelto; che erano iniziate trattative per giungere ad una definizione bonaria della lite che non erano andate a buon fine; che in data 19 giugno 2006 avevano quindi convocato a loro volta dinanzi al notaio di fiducia la promissaria venditrice, che aveva però comunicato di ritenere risolto il contratto preliminare per inadempimento del promissari acquirenti. Costituitasi in giudizio, la D. chiedeva il rigetto della domanda attorea lamentando a sua volta l’inadempimento dei coniugi e, in subordine, la rescissione del contratto per lesione ultra dimidium.
Il Tribunale di Catania, con sentenza n. 542/2010, rigettava la domanda attorea e dichiarava inammissibile, giacché tardiva, la domanda formulata in via subordinata da parte convenuta, disponendo l’integrale compensazione delle spese di lite.
2. Avverso tale sentenza proponevano appello i coniugi M.R. e C.C..
La Corte d’appello di Catania, con sentenza 13 gennaio 2016, n. 70, accoglieva il gravame e, in riforma dell’impugnata sentenza, condannava l’appellata al pagamento del doppio della caparra in favore degli appellanti. In particolare, secondo la Corte, la motivazione dell’impugnata sentenza risultava contraddittoria nella parte in cui, dopo aver ritenuto non essenziale il termine di stipulazione del contratto definitivo indicato nel preliminare, aveva poi ritenuto gli attori inadempienti per non aver ottenuto il mutuo entro quel termine; per contro, il successivo invito dei promissari acquirenti a presentarsi davanti al notaio per la stipula del definitivo doveva ritenersi essere stato ingiustificatamente rifiutato dalla promissaria venditrice, integrando gli estremi del (grave e definitivo) inadempimento ex art. 1385 c.c..
3. Contro la sentenza ricorre per cassazione D.C.V..
Resistono con controricorso M.R. e C.C.. Memoria è stata depositata dalla ricorrente e dai controricorrenti.
CONSIDERATO
Che:
I. Il ricorso è articolato in quattro motivi, tra loro strettamente connessi e dei quali è pertanto opportuna la trattazione unitaria:
a) il primo motivo denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, ossia la mancata considerazione da parte della Corte d’appello dell’illegittimo recesso dei coniugi M. dal contratto preliminare, avvenuto con la missiva dell’1 marzo 2006 con cui i coniugi hanno invitato la ricorrente a restituire la caparra versata;
b) il secondo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 1385,1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la Corte d’appello ritenuto che sino all’estate del 2006 il contegno dei contraenti fosse stato di semplice inerzia, così non considerando che in data 1 marzo 2006 i coniugi M. avevano manifestato alla ricorrente la loro volontà di recedere dal contratto, invitandola a restituire loro la caparra versata;
c) il terzo motivo contesta “violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1454 e 1460 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché vizio di motivazione in merito all’incongruità del termine indicato nella diffida ad adempiere”, per avere la Corte d’appello ritenuto che l’invito della ricorrente a presentarsi davanti al notaio per la stipula del definitivo, nel marzo 2006, fosse privo degli elementi essenziali richiesti dall’art. 1454 c.c., essendo stato concesso un termine inferiore ai quindici giorni, con conseguente irrilevanza della mancata comparizione dei coniugi in quella sede;
d) il quarto motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1454,1385 e 1460 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la Corte d’appello ritenuto che la mancata comparizione della ricorrente davanti al notaio alla data fissata dai coniugi M. integrasse un grave inadempimento ai fini dell’art. 1385 c.c., pur essendo già maturata la risoluzione del contratto preliminare in data 10 marzo 2006, in seguito alla mancata comparizione di questi ultimi al primo invito della ricorrente.
I motivi non possono essere accolti.
I primi due motivi, invocando i parametri dell’omesso esame di un fatto decisivo e della violazione di legge, contestano la mancata considerazione da parte del giudice d’appello della richiesta, posta in essere l’1 marzo 2006, della restituzione della caparra, richiesta “decisiva” che manifestava il disinteresse dei coniugi M. alla conclusione del contratto definitivo. I due motivi, anzitutto, sono carenti sotto il profilo della specificità: viene fatto genericamente riferimento alla missiva senza riportarla e non si offrono pertanto elementi per contestare le ragioni esposte dal giudice. La Corte d’appello, dopo avere precisato che, a fronte della concorde considerazione come non essenziale del termine previsto dal preliminare, l’inadempimento poteva anche “consistere in una incontrovertibile manifestazione di volontà di non volere più concludere il contratto”, ha infatti affermato che tale manifestazione non emerge avendo “le parti al più intavolato trattative per una eventuale consensuale risoluzione”, in tale ambito riconducendo la missiva dell’1 marzo 2006.
La Corte ha poi – e qui veniamo al terzo e al quarto motivo di ricorso – esaminato la richiesta di adempimento effettuata dalla ricorrente e ha correttamente ritenuto contrario a buona fede, oltre che dell’art. 1454 c.c., comma 2, l’invito formulato l’8 marzo dalla ricorrente a comparire di fronte al notaio per la stipulazione del definitivo due giorni dopo, il 10 marzo 2006, così che la mancata comparizione non poteva valere quale prova dell’inadempimento coniugi M. e il contratto non poteva dirsi già risolto quando la ricorrente si è rifiutata di comparire di fronte al notaio a seguito dell’invito, questo si rispondente ai requisiti dell’art. 1454 c.c., dei coniugi.
II. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 5.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 10 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021
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