LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2896-2019 proposto da:
CORALLO SRL, in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO MAGLIARISI ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Licata Via Sole n. 3 pec:
angelomagliarisi.avvocatiagrigento.it;
– ricorrente –
contro
O.V., rappresentato e difeso dall’avvocato Marcello Lus ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Licata corso Umberto numero 100 Pec: MarcelloMariolusavvocatiagrigento.it;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2109/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 22/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.
RITENUTO
che:
1. La società Corallo sr, con atto di citazione del 2010/2012, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Agrigento O.V., in qualità di Dirigente del Dipartimento Urbanistica del Comune di Licata, chiedendo fosse accertata la responsabilità del convenuto e disposta la condanna ai conseguenti danni per non egli aver trasmesso alla Commissione Spettacolo dello stesso Comune la richiesta delle società di autorizzazione per l’apertura in Licata, in un immobile di sua proprietà, di una sala cinematografica. Assunse di aver tenuto dal Comune il permesso di costruire, di aver stipulato una convenzione per la realizzazione del progetto, di aver ricevuto il certificato di agibilità ma di non aver mai ottenuto l’autorizzazione per avviare l’attività, e di aver anzi appreso che detta autorizzazione era stata rilasciata ad altra società.
2. Nel contraddittorio con il convenuto Tribunale adito, accolse parzialmente la domanda e condannò O. a risarcire la somma di Euro 90.000, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante mentre la Corte d’Appello di Palermo, omessa ogni istruttoria, con sentenza n. 2415 del 2018" ha accolto l’appello dell’ O. rigettando la domanda dell’attrice. Per quel che è ancora qui di interesse, la Corte ha evidenziato che, confermata la necessità di un procedimento volto ad ottenere l’autorizzazione per l’apertura dell’esercizio, vertendosi in materia di competenza regionale, nel caso di specie nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, poteva essere mosso all’ O. in quanto la definizione dell’iter procedimentale si era arrestato per la condotta omissiva della società Corallo che non aveva integrato la documentazione richiesta dall’amministrazione con particolare riguardo alla omessa produzione del certificato prevenzione incendi.
Evidenziata la mancanza del nesso causale tra la condotta dell’Amministrazione ed il mancato rilascio dell’autorizzazione, la corte territoriale ha conseguentemente escluso l’esistenza di qualunque obbligo risarcitorio, in mancanza peraltro di qualsiasi allegazione e prova del danno.
3. Avverso la sentenza che, rigettando l’originaria domanda ha condannato la società Corallo srl alle spese del doppio grado, la stessa ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Ha resistito O.V. con controricorso.
4. La causa è stata assegnata per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c. in vista della quale la società ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1.Con il primo motivo – violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente assume che la Corte territoriale abbia violato le norme sul riparto dell’onere probatorio sostanzialmente non consentendole di provare per testi l’omessa consegna – da parte dell’ O. agli organi competenti – del progetto e della relativa documentazione a suo dire completa.
1.1 Il motivo viola l’art. 366 c.p.c., n. 6 perché la ricorrente non riporta né i nomi dei testi né i capitoli di prova con le circostanze su cui avrebbero dovuto riferire, né tantomeno le ragioni per le quali il giudice di primo grado che nell’esposizione del fatto si dice avere rigettato le richieste istruttorie negò l’ammissione, né ancora se e come esse vennero riproposte in appello (ed all’uopo sarebbe stato necessario appello incidentale). Inoltre, evoca un documento che dice prodotto “in atti”, nuovamente violando la norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (nella consolidata esegesi emergente da Cass. Un. n. 28547 del 2008, 7161 del 2010 e 22726 del 2011).
2. Con il secondo motivo – violazione del principio di trasparenza e imparzialità L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 1 e Art. 97 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si censura la sentenza per aver violato il principio di imparzialità trasparenza del procedimento amministrativo facendo leva su una pretesa richiesta rivolta alla società in ordine al certificato prevenzione incendi, richiesta che non sarebbe mai giunta a conoscenza della società istante. Si assume altresì che la sentenza avrebbe errato nel non ritenere sufficiente l’acquisizione del parere preventivo di conformità antincendio con ciò determinando anche una disparità di trattamento rispetto ad altra società nei cui confronti il certificato provvisorio sarebbe stato ritenuto sufficiente.
2.1 Neppure il secondo motivo supera il vaglio di ammissibilità perché – al di là del fatto che fa riferimento ad una questione, quella della mancata comunicazione della richiesta di certificazione antincendio, che da un lato è priva di decisività, in quanto l’istante avrebbe dovuto provvedere ad acquisire la certificazione in ragione dell’esistenza di un obbligo di legge e non perché l’ufficio competente ne avesse fatto richiesta – si fonda: a) su due documenti riguardo ai quali si dichiara espressamente solo che li produce, senza precisare dove e come siano stati prodotti nelle fasi di merito e, peraltro, senza nemmeno localizzarla in questo giudizio di legittimità, di guisa come, nuovamente non si ottempera alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 ed anzi, se la dichiarazione “si produce” deve prendersi alla lettera, i due documenti risulterebbero inammissibilmente prodotti in questa sede; b) su un ulteriore documento che si indica come “doc. 16”, senza parimenti dire se e dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e senza localizzarlo in questa sede.
Peraltro, la censura svolta nel motivo, relativa alla pretesa adeguatezza, ai fini della conclusione del procedimento, dell’acquisizione del parere preventivo di conformità antincendio, si risolve in una sollecitazione ad un riesame della quaestio facti, così integrandosi un’ulteriore ragione di inammissiblità e disvelandosi la totale essenza di prospettazione di una quaestio iuris, come preannunciato dall’intestazione del motivo.
3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 2056,1226 e 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta che data per acquisita la prova della colpa in capo al Dirigente per inosservanza della consegna del progetto e degli allegati alla Commissione Spettacoli e sussistendo tutti gli elementi oggettivi per calcolare il danno da lucro cessante – la sentenza non abbia provveduto a relativo calcolo.
3.1 Il motivo è inammissibile perché prospetta una questione che avrebbe rilevanza solo sul presupposto della sussistenza della responsabilità, per il che sarebbe stato necessario l’accoglimento dei primi due motivi. Onde sarebbe assorbito.
Peraltro, la stessa core territoriale è da ritenere che abbia esaminato la questione della prova del danno ad abundantiam, una volta esclusa la responsabilità.
In ogni caso esso pretende di rimettere in discussione la questione di merito senza censurare in modo specifico la decisione. La Corte d’Appello ha, infatti, sul punto affermato che, nel danno derivante da illegittimità del provvedimento amministrativo, il danneggiato, in ossequio al principio generale dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., deve provare tutti gli elementi costitutivi della domanda mentre nel caso in esame difetta sia il presupposto di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia e nesso causale) sia quello di carattere soggettivo (dolo colpa del danneggiante). Questa ratio decidendi non risulta adeguatamente censurata limitandosi la ricorrente ad evocare una diversa e più appagante soluzione di merito.
4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.000 (oltre Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021
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