Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.20704 del 20/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7156-2019 proposto da:

M.S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L.

RIZZO 36, presso lo studio dell’avvocato PIERLORENZO IANNACCI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO COSTANZO BERGODI;

– ricorrente –

contro

B.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRISCIANO, 28, presso lo studio dell’avvocato GUIDO CIPRIANI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

VILLAGGIO 90 SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5122/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

B. Ivana proponeva domanda di condanna della VILLAGGIO 90 s.r.l. e di M.S.I. volta ad ottenere la risoluzione del contratto del ***** stipulato con la prima per il consolidamento di immobile di sua proprietà, oltre alle restituzioni e al risarcimento dei danni, e del contratto d’opera concluso con il secondo per inadempimento all’incarico di direttore dei lavori appaltati, sempre con obbligo di restituzione degli importi ricevuti e risarcimento del danno, istanze che venivano accolte dal Tribunale di Civitavecchia – Sezione distaccata di Bracciano quanto alla risoluzione di entrambe le pattuizioni, di appalto e d’opera professionale, per colpa dei convenuti, rigettate le domande restitutorie, con condanna in solido dei medesimi al risarcimento dei danni quantificati in Euro 79.839,37, accertata la concorrente e pari responsabilità degli stessi, oltre a condannare la società appaltatrice a pagare Euro 4.648,11 a titolo di penale per il ritardo e, in parziale accoglimento della riconvenzionale della società costruttrice, l’attrice a corrispondere in favore di Villaggio 90 la somma di Euro 3.600,00 per opere extra contratto, rigettate le restanti domande proposte dalla B. e dalla società.

In virtù di appello interposto dal M., la Corte di appello di Roma, nella resistenza della società appellata e dell’originaria appaltante, in parziale accoglimento del gravame principale e in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di risoluzione del contratto d’opera professionale stipulato il 30.05.1998, per essere il rapporto intervenuto fra la committente ed il professionista esaurito al momento del getto del tetto, seppure la prestazione resa fosse stata caratterizzata da plurimi inadempimenti, confermata comunque la condanna al risarcimento del danno in solido con Villaggio 90 in favore della B. sino alla concorrenza di Euro 40.303,77, e accertata la corresponsabilità dell’appellante nel rapporto interno con la società costruttrice nella misura di un terzo, non potendo lo stesso essere chiamato a rispondere della cattiva esecuzione delle opere riguardanti l’impermeabilizzazione del tetto, trattandosi di lavori realizzati ormai terminato il suo incarico, e lo condannava a tenere indenne l’appaltatrice di quanto eventualmente chiamata a pagare all’attrice a titolo di danni oltre i due terzi della somma di cui sopra.

Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il M. sulla base di due motivi, cui resiste la B. con controricorso, rimasta intimata la Villaggio 90. Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha anche depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

ATTESO che:

con il primo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 1667 c.c. per avere la Corte distrettuale pur revocando la declaratoria di risoluzione del contratto d’opera professionale, per essere le opere concordate all’epoca della denunzia già completate, ritenuto la circostanza ininfluente ai fini risarcitori. Insiste il ricorrente nell’assumere che il ragionamento della corte di merito non ha fatto alcuna distinzione fra le varie ipotesi di pregiudizio e quindi di risarcimento.

Il motivo non può trovare ingresso.

Appare opportuno osservare che, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, la corte distrettuale ha preso in esame la questione laddove revocando la dichiarazione di risoluzione del contratto per essere stata l’opera professionale completata già prima della denuncia, ha riconosciuto che comunque la prestazione del professionista era stata caratterizzata da plurimi inadempimenti, ragione per la quale non aveva trovato accoglimento, già davanti al giudice di prime cure, la domanda di restituzione proposta dalla B. ma la sola richiesta di risarcimento dei danni. Siffatta argomentazione ha poi trovato rilievo nella determinazione della responsabilità solidale con la società appaltatrice laddove ha riconosciuto, nei rapporti interni, il concorso del ricorrente solo per la misura di un terzo, come meglio si dirà con riferimento al secondo mezzo.

Ne consegue che la motivazione è adeguata rispetto ai canoni di cui all’art. 132 c.p.c. novellato e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., lasciando intravedere la ratio decidendi attraverso la considerazione che la modifica del dispositivo atteneva soltanto ad una rettifica delle argomentazioni per adeguare la pronuncia ai principi espressi dalla giurisprudenza in materia.

Ciò che lamenta nella sostanza il ricorrente è la interpretazione che l’ausiliario ha fatto del suo operato di direttore dei lavori, valutazione recepita dal giudice nella sentenza con la pronuncia di responsabilità del professionista, per cui appare proporre piuttosto una rivalutazione nel merito della controversia, senza neanche indicare gli esatti termini della relazione peritale qui criticata;

– con il secondo motivo il ricorrente nel denunciare, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1292 c.c. insiste nell’assumere che la Corte di appello nel riaffermare l’intera responsabilità solidale “esterna” del ricorrente con l’appaltatrice nei confronti della committente, seppure ridotta ad un terzo nei rapporti interni, non spiegando la ragione della propria scelta in funzione del testo normativo di cui all’art. 1299.

Anche la seconda censura è manifestamente infondata.

La responsabilità solidale del progettista, infatti, implica che questi è tenuto, nei confronti dei terzi danneggiati, ai sensi dell’art. 2055 c.c. all’identica obbligazione risarcitoria dell’appaltatore avente ad oggetto le opere necessarie all’eliminazione dei vizi ed all’esecuzione dell’opus a regola d’arte.

In tema di contratto di appalto il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore ed il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass. n. 14650 del 2012).

Peraltro secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, ove il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del progettista – direttore dei lavori, entrambi ne rispondono solidalmente, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’unico evento dannoso (cfr Cass. n. 20294 del 2004; Cass. n. 5103 del 1995).

L’affermazione del giudice di appello in ordine alla ritenuta sussistenza di una responsabilità solidale per i vizi dell’opera tra appaltatrice e direttore dei lavori è in linea con l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte ormai consolidatosi da parecchi anni secondo cui, qualora il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia ascrivibile alle condotte concorrenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori (o del progettista), entrambi sono solidamente responsabili del danno, a nulla rilevando la diversità dei titoli cui si ricollega la responsabilità, con la conseguenza che il danneggiato può rivolgersi indifferentemente all’uno o all’altro per il risarcimento dell’intero danno (Cass. n. 13039 del 1991; Cass. n. 5103/1995 cit.; Cass. n. 972 del 2000; Cass. n. 12367 del 2002). Ripudiata, infatti, la tradizionale teoria della “eadem causa obligandi” la interpretazione corrente dell’art. 2055 c.c. fonda dunque la ragione della responsabilità solidale nel semplice concorso di più soggetti in una condotta produttiva di danno che sia genericamente riconducibile alla categoria generale dei fatti illeciti.

La “mens” della norma, chiaramente intesa a ricondurre al regime generale della casualità giuridica e, perciò, unificare, posizioni di responsabilità extracontrattuale diverse e concorrenti, tuttavia, nella produzione dello stesso fatto dannoso, si riflette, specularmente, in quella dell’art. 1294 c.c., ove la solidarietà è parimenti concepita come strumento di unificazione di posizioni contrattuali diverse, in dipendenza dell’unico danno subito dal creditore ad opera dei concorrenti inadempimenti che esigono come tali una sua più adeguata tutela.

In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza fra il ricorrente e la B., mentre nessuna pronuncia va adottata nei confronti della Villaggio 90 s.r.l. che non ha svolto difese.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della B. che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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