Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20996 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16919-2012 proposto da:

T.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. SIACCI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VOGLINO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARTINA ROTINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1/2012 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA, depositata il 19/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

RILEVATO

che:

T.P. ha chiesto la cassazione della sentenza n. 1/08/2012, depositata il 19 gennaio 2012 dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dal ricorrente avverso l’avviso di accertamento oggetto della controversia, relativo all’Irpef dell’anno 1996.

Il contenzioso aveva tratto origine dalla cessione nel 1996 dell’attività commerciale di T.M., coniugato con R.R. (entrambi genitori dell’odierno ricorrente), il quale aveva presentato nel 1997 dichiarazione dei redditi congiunta con il coniuge. Nel dicembre 2012 al T.M. era stato notificato avviso di accertamento relativamente all’anno d’imposta 1996, impugnato autonomamente (il 10.07.2003) dal contribuente, quale primo dichiarante, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Arezzo. Nelle more del giudizio di primo grado il T. era deceduto (*****). La R. aveva rinunciato ritualmente all’eredità del coniuge (*****). Successivamente le era stata notificata cartella di pagamento dell’importo di Euro 126.409,31, conseguente all’atto impositivo notificato al marito. La cartella era stata impugnata dalla R. dinanzi al giudice tributario, il quale in primo grado aveva rigettato il ricorso ed in secondo grado aveva invece accolto l’impugnazione proposta dalla contribuente (sentenza n. 83/13/2009 della CTR della Toscana, pronunciata il 5.06.2009). Nel corso del contenzioso avverso la cartella esattoriale la Commissione tributaria provinciale di Arezzo aveva dichiarato l’interruzione del processo instaurato dal T.M. avverso l’avviso di accertamento (17.06.2008). In data 21.01.2009 la R. riassunse il processo introdotto dal coniuge, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 43. La Commissione aretina, con sentenza n. 108/05/2009, rigettò il ricorso introdotto dal de cuius e riassunto. La pronuncia fu impugnata dalla R. dinanzi alla Commissione tributaria regionale toscana. Nel more del processo (11.05.2011) decedette anche la R.. Il processo, nuovamente interrotto e riassunto dal T.P., odierno ricorrente, si concluse con la sentenza ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale ha dichiarato inammissibile l’appello, così accogliendo l’eccezione già sollevata dall’Ufficio in primo grado in occasione della prima riassunzione. La Commissione in particolare ha ritenuto che, avendo la R. rinunciato all’eredità del coniuge, non aveva legittimazione alla riassunzione del processo contro l’avviso di accertamento, instaurato dal solo T.M. e da nessun’altra parte.

Il T.P. ha censurato questa decisione affidandosi a tre motivi. Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale pronuncia.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con un “atto di costituzione” al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Nell’adunanza camerale del 13 aprile 2021 la causa è stata trattata e decisa sulla base degli atti difensivi depositati dal ricorrente.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. 13 aprile 1977, n. 114, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, perché il giudice regionale avrebbe erroneamente negato la legittimazione passiva della contribuente alla prosecuzione del giudizio introdotto dal T.M., poi deceduto, e la legittimazione all’intervento volontario nel processo;

con il secondo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, per non aver riconosciuto la qualità di parte al coniuge del de cuius;

con il terzo ha lamentato l’omessa pronuncia su questioni decisive per il giudizio, e in particolare sul potenziale conflitto di giudicati tra i provvedimenti, afferenti l’uno l’avviso di accertamento e l’altro la cartella di pagamento, nonché sulla inesistenza del vincolo di solidarietà tra il dichiarante e il coniuge R..

In via pregiudiziale deve rilevarsi che l’Agenzia delle entrate ha resistito con un “atto di costituzione”, non notificato, per l’eventuale partecipazione alla discussione in pubblica udienza. Va affermato che, in mancanza di notificazione, l’atto depositato non è qualificabile come controricorso (Cass., 5/12/2014, n. 25735). Trattasi di un principio che, affermato con riferimento alla trattazione della causa in pubblica udienza, deve essere esteso anche al procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c. (cfr. Cass. n. 26974 del 2017).

Esaminando ora il merito, il primo ed il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente perché connessi. Con essi infatti il ricorrente contesta l’esclusione della legittimazione passiva della R., che aveva riassunto il giudizio interrotto dalla Commissione provinciale aretina, avente ad oggetto l’avviso di accertamento notificato al proprio coniuge. Sostiene l’erroneità della decisione per essere (la genitrice) obbligata solidalmente con il marito, in ragione della dichiarazione dei redditi sottoscritta congiuntamente, trovando pertanto applicazione l’art. 1306 c.c.. Rinvia alla giurisprudenza relativa all’istituto dell’intervento adesivo dipendente (pag. 8 del ricorso), affermando che nel caso di specie la R. aveva operato un intervento volontario nel processo ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (pag. 9 del ricorso). Sostiene che trattavasi di “parte destinataria dell’atto” e che a tal fine aveva azionato una domanda giudiziale, la quale, ancorché autonoma, “aveva il medesimo contenuto sostanziale dell’originario ricorso introduttivo, promosso dal solo T.” (pag. 10 del ricorso). Insiste infine sulla qualificazione di parte ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992 (secondo motivo), art. 10.

La controversia si colloca nella fattispecie prevista e disciplinata dalla L. n. 114 del 1977, art. 17, ratione temporis vigente. Secondo tale norma “Ai fini della liquidazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche risultante dalla dichiarazione presentata a norma del comma precedente, le imposte nette determinate separatamente per ciascuno dei coniugi si sommano e le ritenute e i crediti di imposta si applicano sul loro ammontare complessivo. Nell’ipotesi prevista nel comma 1, la notifica della cartella dei pagamenti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche iscritta nei ruoli è eseguita nei confronti del marito. Gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi e notificati a norma del comma precedente. I coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito”. La disciplina, poi abrogata dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, regolava l’ipotesi della dichiarazione dei redditi presentata congiuntamente dai coniugi, sancendo una responsabilità solidale tra i coniugi, la quale tuttavia presentava taluni caratteri peculiari, ed in particolare l’espressa previsione che l’atto impositivo, all’esito dell’accertamento sui redditi dichiarati dai coniugi, era notificato al solo marito.

La peculiare previsione di una responsabilità solidale, ma ad un tempo l’obbligo della notificazione dell’atto impositivo al solo marito, è stata oggetto di interventi interpretativi e chiarificatori di questa Corte in merito al rapporto tra responsabilità solidale e garanzie difensive della coniuge, per legge esclusa dalla destinazione della notificazione di atti impositivi. Si è a tal fine affermato che nel caso di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi, a norma della L. n. 114 del 1977, art. 17, secondo il quale gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi e notificati nei confronti del marito, mentre i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento di imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito, la moglie, coniuge co-dichiarante, è legittimata a proporre autonoma impugnazione per contestare gli accertamenti a carico del marito – cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per la coniuge -, venendo altrimenti vulnerato il diritto di difesa della moglie, che rimane corresponsabile delle maggiori imposte e degli accessori relativi a quell’accertamento, e non ostando a ciò la circostanza che l’avviso di accertamento debba essere notificato al marito. Perché insorga la responsabilità solidale della moglie co-dichiarante quindi non è necessario che le sia notificato l’avviso di accertamento, restando comunque inalterato il suo diritto di impugnare autonomamente, anche mediante l’impugnazione dell’avviso di mora a lei diretto, l’accertamento notificato al marito (Cass., 22/08/2002, n. 12371; 15/09/2006, n. 19896; 3/10/2007, n. 20709).

Ad ulteriore chiarificazione della posizione della moglie, non destinataria dell’avviso d’accertamento ma parimenti obbligata solidalmente, si è affermato che la legittimazione della co-dichiarante all’autonoma impugnazione dell’avviso di accertamento notificato al marito persiste pur quando divenuto definitivo nei confronti di quest’ultimo. E la coniuge ha comunque legittimazione a contestare la pretesa tributaria su di esso fondata con la proposizione di un autonomo ricorso avverso la cartella di pagamento o l’avviso di mora a lei diretti, atteso che il suo diritto di difesa non può essere pregiudicato (Cass. 18/11/2015, n. 23553). A tal fine si è avvertito come alla fattispecie trovi applicazione l’art. 1306 c.c., atteso che il giudicato intervenuto tra l’Amministrazione finanziaria ed uno dei debitori solidali non ha effetto contro l’altro debitore solidale (Cass., 11/01/2018, n. 461).

Perimetrato l’alveo in cui la disciplina dettata dalla L. n. 144 del 1977, art. 17, poteva incidere sulla situazione giuridica soggettiva della coniuge co-dichiarante, se ne deduce che: a) alla moglie non spettava la notificazione dell’avviso di accertamento; b) il marito non aveva legittimazione ad agire anche per la coniuge; c) a questa doveva comunque garantirsi il diritto di difesa, per essere comunque obbligata in solido in merito agli atti impositivi notificati al marito; d) tale diritto poteva manifestarsi con la legittimazione ad impugnare autonomamente l’avviso di accertamento, ancorché a lei non notificato, o, pur quando questo fosse divenuto definitivo in capo al coniuge (per mancata opposizione o per soccombenza nel giudizio instaurato), con la legittimazione ad impugnare la cartella di pagamento o l’avviso di mora a lei direttamente notificato. Non deve escludersi dunque che alla moglie poteva anche riconoscersi la legittimazione ad un intervento volontario nel processo instaurato dal coniuge, tanto più in forza della previsione contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 3, purché nei limiti procedimentali entro cui l’intervento si riveli ammissibile.

Ciò chiarito, nel caso di specie è accaduto che alla morte del T.M., che aveva impugnato da solo l’atto impositivo notificatogli, la R.R. ha rinunciato all’eredità del marito. Dal momento della interruzione il processo si è trovato in uno stato di quiescenza, rimovibile solo con l’estinzione o, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 43, con la sua riassunzione, alla quale tuttavia può provvedere un successore della parte processuale o altra parte del giudizio. Sennonché la R., che sino a quel momento era stata del tutto estranea al processo, non essendo intervenuta sino alla interruzione, né identificandosi con un litisconsorte necessario vocato in giudizio e non ancora costituitosi, non rientrava di certo tra le “altre” parti del processo. Peraltro, avendo rinunciato all’eredità della parte processuale colpita dall’evento interruttivo, non era neppure un successore. Mancava dunque della legittimazione a presentare l’istanza di trattazione per la prosecuzione del giudizio, poiché essa implica la successione nella posizione di chi è irrimediabilmente colpito dalla causa interruttiva, posizione cui la R. aveva rinunciato con la rinuncia alla eredità, o l’essere già “soggetto” del processo (ciò che ella non era per non essere intervenuta nel processo prima della sua interruzione).

Rispetto a tale stato il giudice regionale ha avvertito che mancavano i presupposti per riattivare il processo già interrotto in primo grado, così che ha dichiarato inammissibile l’appello. La decisione della Commissione regionale, che si è attenuta alle regole processuali in tema di riassunzione del processo interrotto, non è dunque censurabile sotto nessuno dei profili denunciati con i due motivi articolati dal ricorrente. Deve infatti affermarsi il seguente principio di diritto “Nel contenzioso tributario e in tema di dichiarazione congiunta dei coniugi, regolata dalla L. 13 aprile 1977, n. 144, art. 17, all’interruzione del processo per morte dell’unico ricorrente, alla cui eredità hanno rinunciato coloro cui spetta, non può seguire la riassunzione da parte del coniuge, che ha rinunciato all’eredità e che, quand’anche titolare di una posizione fiscale autonoma, che ne avrebbe autorizzato l’intervento volontario, ma non la posizione di litisconsorte necessario, non sia intervenuto in giudizio sino al momento della declaratoria di interruzione, trovando comunque tutela la posizione fiscale della coniuge nel diritto all’impugnazione autonoma del medesimo atto impositivo o degli atti esecutivi ad esso conseguenti”.

D’altronde nel caso di specie, dallo stesso ricorso del T.P., si evince che nelle more del processo instaurato dal coniuge T.M. avverso l’avviso di accertamento, la R. aveva tempestivamente proposto impugnazione contro la cartella di pagamento a lei notificata e conseguente al prodromico avviso di accertamento. Con ciò si era attuata la piena tutela difensiva della posizione di obbligata solidale del debito fiscale preteso dall’Amministrazione finanziaria. Dalla stessa narrazione del ricorso si evince anche che la controversia instaurata a seguito della notificazione della cartella di pagamento aveva avuto esito positivo per la contribuente, la quale aveva eccepito, come ragione autonoma di contrasto all’atto impositivo, la falsità della sottoscrizione della dichiarazione congiunta dei redditi. E d’altronde, come già chiarito dalla giurisprudenza, la definitività dell’avviso di accertamento nei riguardi del marito, destinatario della notificazione dell’atto, non avrebbe potuto fare stato nei confronti della coniuge (argomentato, anche in ipotesi di mancanza di sentenza, dall’art. 1306 c.c., comma 1). Sotto tale profilo mancava dunque anche l’interesse alla riassunzione medesima di quel processo, tanto più che la R. aveva nelle more già instaurato con l’Amministrazione finanziaria il contenzioso conseguente alla notificazione della cartella di pagamento, che per essa valeva quale primo atto di attivazione dell’Ufficio nei confronti della obbligata solidale. Il primo ed il secondo motivo sono pertanto infondati.

Il terzo motivo, con il quale è denunciata una omessa pronuncia, resta assorbito dal rigetto dei primi due.

Il ricorso va in conclusione rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese di giudizio, mancando una rituale costituzione dell’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

Rigetta il primo ed il secondo motivo. Assorbito il terzo.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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