LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FASANO AnnaMaria – Presidente –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –
Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16493/2015 R.G. proposto da:
D.L.M. e B.E., elett.te dom.ti in Roma al Viale delle Milizie n. 114, presso lo studio dell’avv. Luigi Parenti, da cui sono rapp.ti e difesi come da mandato a margine del ricorso;
– ricorrenti –
Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 109/2/15 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata il 20/1/2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 maggio 2021 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.
RITENUTO
che:
1. con sentenza n. 109/2/15, depositata il 14 gennaio 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto da D.L.M. e B.E., avverso la sentenza n. 63/5/14 della Commissione Tributaria Provinciale di Varese, con condanna al pagamento delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle Entrate aveva revocato i benefici fiscali concessi a D.L.M. e B.E. in data 26-2-2007, per l’acquisto della prima casa nel Comune di Azzate, allorché gli stessi, dopo aver rivenduto l’immobile in data 17-2-2010, ne avevano riacquistato un altro entro l’anno, nel Comune di Cantello ove già risultavano residenti, senza tuttavia adibirlo ad abitazione principale;
3. la CTP aveva rigettato il ricorso rilevando che nell’atto di compravendita non era stata riportata la qualifica professionale del D.L., al fine di fruire della speciale disciplina di cui alla L. n. 342 del 2000, art. 66, che consente al personale delle Forze armate di ottenere le agevolazioni pur senza trasferire la residenza, e che comunque la revoca era giustificata dal fatto che il secondo immobile acquistato non era stato adibito ad abitazione principale;
4. la CTR aveva confermato la decisione di primo grado osservando che la L. n. 342 del 2000, art. 66, può trovare applicazione solo per il primo acquisto, che la revoca era da imputarsi alla mancata adibizione del secondo immobile ad abitazione principale, che tale circostanza era da ritenersi pacifica in quanto mai contestata in giudizio;
5. avverso la sentenza di appello i contribuenti proponevano ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 23 giugno 2015, affidato ad un unico motivo, e depositavano memoria ex art. 380 bis c.p.c.; l’Agenzia delle Entrate si costituiva con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. con un unico motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censurando l’impugnata sentenza per aver rigettato l’appello con una motivazione incoerente ed illogica, carente nell’esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione, e contraddittoria in quanto fondata su di una circostanza, la mancata adibizione del nuovo immobile ad abitazione principale, mai provata dall’Amministrazione, che pur vi era onerata ai sensi dell’art. 2697 c.c..
Osserva che:
1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento, in quanto l’unico motivo di censura risulta in parte infondato e in parte inammissibile.
1.1 Preliminarmente va ricordato che “In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.” (Vedi Cass. n. 3819 del 2020; n. 29721 del 2019; n. 920 del 2015).
Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Vedi Cass. n. 22598 del 2018).
2. Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame in quanto la CTR ha esplicitato, in modo puntuale ed argomentato, le ragioni di diritto e di fatto su cui ha fondato il proprio convincimento.
In particolare, in punto di diritto, ha motivato circa l’inapplicabilità della L. n. 342 del 2000, art. 66, al secondo acquisto, ed ha evidenziato che la revoca dell’agevolazione concessa per l’acquisto del primo immobile era da imputarsi esclusivamente alla mancata adibizione del secondo ad abitazione principale; in punto di fatto ha ritenuto tale circostanza pacifica, in quanto mai contestata dai contribuenti, pur costituendo l’unica ragione posta dall’Amministrazione a fondamento della revoca dei benefici fiscali.
Tale ratio decidendi, pur ampiamente esplicitata ed argomentata, non è stata censurata dai ricorrenti, che si sono limitati a contestare la carenza di motivazione anziché le ragioni poste a fondamento della decisione.
3. Il motivo, poi, risulta inammissibilmente formulato nella parte in cui, anziché censurare i criteri di riparto dell’onere probatorio applicati dalla CTR, contesta le valutazioni in fatto compiute dal giudice del gravame nell’applicare la regola della non contestazione.
Sul punto, va ribadito il principio di diritto secondo cui l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, ed esclusivamente nei limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. Sez. 2 n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, n. 10182 del 03/05/2007; Sez. L, n. 27833 del 16/12/2005); spetta, infatti, solo al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass., Sez. 6 – 1, n. 3680 del 07/02/2019).
3.1 Nella specie, la Corte territoriale ha spiegato che sia nel primo che nel secondo grado di giudizio i contribuenti non hanno mai contestato la mancata adibizione del secondo immobile ad abitazione principale, circostanza che, “inequivocabilmente”, l’Amministrazione ha indicato come la ragione giustificatrice della revoca; tale giudizio di fatto, esente da vizi logici e giuridici, rimane insindacabile in sede di legittimità.
4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.
4.1 Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
4.2 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 2.300,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021