LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26493-2019 proposto da:
ALFATHERM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIUSI 31, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, rappresentata e difesa dagli avvocati SIMONE RIVA, CHIARA ZONDA;
– ricorrente –
contro
COMAST SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE SASSI;
– controricorrente –
contro
AXA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CLAUDIO MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 501/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Varese, con sentenza n. 645/2014, respingeva la domanda proposta da Comast srl nei confronti di Alfatherm spa volta a far accertare e dichiarare il mancato pagamento del credito pari a Euro 103.681,06 relativo alle forniture di pigmenti colorati (paste) di sua produzione, e per l’effetto sentirla condannare, previa compensazione del proprio debito nei confronti della stessa convenuta, al pagamento del residuo di Euro 55.767,70 o della diversa somma accertata in corso di causa, oltre interessi di mora D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5; accoglieva la domanda riconvenzionale di risoluzione e risarcimento danni per vizi della pasta fornitale stante la presenza di un plastificante (DINP) che aveva provocato danni e, previo accertamento di reciproche posizioni di dare ed avere, condannava la Comast al pagamento in favore della convenuta del residuo di Euro 94.357,28, oltre interessi legali; accoglieva altresì la domanda in manleva formulata da parte attrice nei confronti della Axa Assicurazioni, compagnia assicuratrice della stessa debitrice.
A seguito dell’impugnazione interposta sia da Comast srl sia da Axa Assicurazioni dinanzi alla Corte di appello di Milano, riuniti i giudizi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., e proposto appello incidentale dell’appellata, la suddetta Corte, con sentenza n. 501/19, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello di Comast, riscontrando la carenza probatoria nel giudizio di primo grado riguardante sia l’an che il quantum della riconvenzionale di Alfatherm e, per l’effetto, condannava quest’ultima al pagamento del prezzo delle forniture di colore di cui alla domanda attorea, assorbita di conseguenza la domanda in manleva; rigettava l’appello incidentale proposto da Alfatherm di risoluzione del contratto.
Avverso la sentenza di secondo grado la Alfatherm s.p.a. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi, cui resistono la Comast s.r.l. e la Axa Assicurazioni s.p.a. con separati controricorsi.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.
In prossimità dell’adunanza camerale sia parte ricorrente sia l’Assicurazione Axa hanno curato il deposito di memoria illustrativa.
ATTESO che:
– con il primo motivo il ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 – la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in ordine alle risultanze della CTU svoltasi in primo grado.
Ad avviso della ricorrente, il giudice del gravame, nel rigettare le domande formulate dalla stessa, avrebbe tenuto conto di un errato presupposto: l’inutilizzabilità dei risultati della CTU svoltasi in primo grado per palesi vizi di metodo e di merito, poiché acquisito il campione in difetto di contraddittorio, dal momento che era rimessa alle parti la produzione di campioni di paste colorate, cui non aveva ottemperato l’originaria attrice. Per giunta, la ricorrente sostiene che vi sarebbe perfetta corrispondenza tra la fornitura contestata e il campione di pasta oggetto di perizia in primo grado.
Alla luce di tali considerazioni, la ricorrente lamenta il vizio di motivazione, a causa dell’errore logico commesso del giudice di merito nel ragionamento espresso nella sentenza, non avendo considerato un fatto decisivo – ossia l’esito della CTU valida ed utilizzabile svolta in primo grado – ovvero avendolo implicitamente ritenuto irrilevante ai fini della prova concludente relativa all’infondatezza della domanda formulata dalla stessa ricorrente.
Del resto, stante le conclusioni del consulente tecnico nominato in appello, il quale dichiarava di non aver potuto effettuare alcun tipo di perizia data l’impossibilità di reperire e quindi analizzare i prodotti oggetto di contestazione, l’unico valido elemento tecnico a disposizione della corte unitamente alle prove testimoniali assunte e alla documentazione versata in atti – restava la consulenza espletata in primo grado in forza della quale le domande di Alfatherm avrebbero dovuto trovare accoglimento.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per non aver ritenuto provati gli elementi costitutivi delle domande formulate da Alfathem s.p.a., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché la violazione dell’art. 2697 c.c., per erronea applicazione delle regole di giudizio relative all’onere della prova, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3. La stessa lamenta, altresì, il difetto di motivazione, contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 132 c.p.c., e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.
Ebbene, secondo la ricorrente, il giudice del gravame avrebbe fatto mal governo del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., e del principio della disponibilità delle prove di cui all’art. 115 c.p.c., ritenendo, erroneamente, la sussistenza di una carenza probatoria rispetto a quanto dedotto e/o prodotto da parte di Alfatherm (campione delle paste viziati sul quale è stata espletata CTU in primo grado).
Ad avviso della ricorrente, la corte di appello non avrebbe preso in considerazione una serie di risultanze probatorie che non necessitavano né di interpretazioni né di valutazioni, concludendo per l’irrilevanza dei fatti dedotti da Alfatherm sulla scorta di un ragionamento logico errato perché fondato su errori di diritto e su una personale asserzione circa l’inutilizzabilità della CTU svoltasi nel primo grado di giudizio. Tale errore della Corte si sarebbe tradotto nel vizio di motivazione denunciato.
Il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente alla luce della stretta connessione argomentativa che li avvince, sono da ritenere inammissibili.
Per poter procedere all’analisi dei motivi si deve richiamare il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo il quale: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti” deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione denunciabile in sede di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).
Pertanto, il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, concerne “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)” (sempre Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 cit.).
Ne segue che il ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in casa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (ancora Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 cit.).
Venendo all’esame specifico dei motivi di ricorso, va rilevato che la società ricorrente, pur denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti – ossia l’esito della C.T.U. svolta in primo grado – in realtà deduce un vizio di motivazione non coerente con il paradigma attualmente vigente aì sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza peraltro criticare le reali ragioni poste dalla Corte di merito a fondamento del proprio convincimento, aspirando così ad una nuova valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie non ammissibile in sede di legittimità.
Invero, non risulta minimamente omesso dalla Corte l’esame dei fatti dedotti in ricorso, difatti la stessa ha espressamente motivato le ragioni per cui ha ritenuto inutilizzabile l’esito della C.T.U. espletata in primo grado, consistenti nell’acquisizione del campione di pasta in difetto di contraddittorio, nonché nell’incertezza della perfetta corrispondenza tra il campione prodotto dalla parte e la pasta oggetto di contestazione, esprimendosi così in modo divergente rispetto alle aspettative di parte ricorrente.
Non è quindi ravvisabile, nell’iter logico argomentativo espresso dalla sentenza impugnata, alcuna anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge, risolvendosi le doglianze di parte ricorrente in critiche alla sufficienza della motivazione stessa, non pertinenti rispetto al vizio dedotto.
In primo luogo occorre osservare che, anche alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, non sussisteva nella specie alcun onere di produzione di campioni di pasta da parte della resistente. In particolare, le Sezioni Unite hanno recentemente ribadito l’orientamento tradizionale, secondo cui, in base ai principi generali di riparto dell’onere probatorio, spetta al compratore provare l’esistenza dei vizi che allega (Cass. n. 11748 del 2019), superando così un precedente orientamento interpretativo favorevole alla tesi opposta (Cass. n. 20110 del 2013; Cass. n. 21927 del 2017).
Inoltre, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, il consulente tecnico può attingere aliunde notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali nei limiti in cui sia indispensabile per espletare convenientemente il compito affidatogli, purché non si tratti di fatti costituenti materia di onere di allegazione e di prova delle parti, poiché in tal caso l’attività svolta dal consulente finirebbe per supplire impropriamente al carente espletamento, ad opera delle stesse, dell’onere probatorio, in violazione dell’art. 2697 c.c. (Cfr. Cass. n. 2671 del 2020; Cass. n. 26893 del 2017; Cass. n. 12921 del 2015).
Occorre, infine, precisare che le indagini così svolte dal consulente tecnico possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice a condizione però che venga rispettato il principio del contraddittorio (Cfr. Cass. n. 1901 del 2010).
Nella specie, il giudice del gravame non ha ritenuto utilizzabile le risultanze della C.T.U. svolta in primo grado riscontrando il mancato rispetto del contraddittorio, nonché la mancata pertinenza del campione prodotto dalla ricorrente rispetto alla pasta oggetto di contestazione, essendo il suddetto campione etichettato con il nome “campione di pasta colore bruno ***** del ***** lotto *****”, il quale non solo non corrispondeva a nessuna delle paste colorate fornite da Comast, ma non compariva nemmeno nelle fatture da quest’ultima allegate in primo grado.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di ciascun controricorrente che vengono liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori previsti come per legge, per la Axa Assicurazioni, e in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori previsti come per legge, per la Comast.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 13 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021
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