LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28567-2017 proposto da:
G.C.T. S.R.L., (già G.C.T. VICENZA S.R.L.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. TIEPOLO, 4, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI SMARGIASSI, rappresentata e difesa dagli avvocati LUCA MASSIGNANI, ALBERTO TEDOLDI;
– ricorrente –
contro
RIGON MICHELA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 77, presso lo studio dell’avvocato LUCIO LAURITA LONGO, rappresentata e difesa dagli avvocati CONCETTA PAPPAGALLO, DAVIDE FAGGION;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 623/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/05/2017 R.G.N. 493/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.
RILEVATO
CHE:
1. R.M., premesso che era stata assunta della G.C.T. s.r.l. di Vicenza il 2.10.2000; che il ***** era entrata nel periodo di astensione obbligatoria per maternità; che, come genitore solo, aveva beneficiato dell’astensione facoltativa dal ***** al *****; che, nelle more, il *****, aveva inoltrato comunicazione di dimissioni completa di convalida INPS; che non aveva ricevuto l’accredito dello stipendio di *****, della quota maturata della tredicesima mensilità e del t.f.r., né la relativa documentazione, chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo n. 107/2007 per il pagamento dell’importo di Euro 18.846,03, oltre accessori di legge;
2. la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 24.5.2017, rigettava il gravame proposto dalla srl G.C.T. avverso la decisione del Tribunale di Vicenza, che aveva respinto il ricorso in opposizione proposto dalla società avverso il provvedimento monitorio, con il quale la società aveva rilevato che la dipendente si era resa responsabile di comportamenti integranti gli estremi dell’illecito disciplinare per essersi appropriata del denaro della società, operando prelievi non autorizzati per i quali, solo dopo il primo anno, la R. aveva fatto figurare importi corrispondenti sotto la dicitura anticipazioni doganali;
3. la Corte distrettuale osservava che non era emersa dalla istruttoria orale e documentale la indicata sottrazione di Euro 80.000,00 e che, quindi, erano rimaste indimostrate la sottrazione e la distrazione dedotte e che la sentenza penale di assoluzione era stata correttamente utilizzata nel giudizio civile, nel quale era stato accertato che, in adempimento di disposizione del datore di lavoro, la lavoratrice aveva fatto circolare danaro contante di cui la società strumentalmente aveva, poi, assunto la avvenuta sottrazione;
4. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la lavoratrice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. con il primo motivo, la società denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 2104,2105,1175,1375 e 1218 c.c. sul riparto degli oneri probatori, rilevando come in un’azione per risarcimento dei danni da responsabilità per violazione degli obblighi contrattuali gravanti sull’ex prestatore di lavoro, addetto alla contabilità aziendale, sul datore gravi soltanto l’onere di allegare e provare le violazione (segnatamente i prelievi dal conto corrente aziendale e la loro mancata contabilizzazione nelle scritture datoriali), ed i danni in tal modo cagionati, mentre gravi sul lavoratore allegare e dimostrare i fatti impeditivi e/o estintivi della responsabilità (l’asserita autorizzazione del datore di lavoro e/o la rimessione dei contanti prelevati a meni dello stesso);
1.1. rileva come i fatti posti a base della domanda riconvenzionale della società, che non aveva ad oggetto un licenziamento, erano costituiti dall’adibizione della R. alla contabilità aziendale, del prelievo da parte della predetta di somme da conto corrente aziendale e della mancata registrazione di tali prelevamenti nella contabilità e che gli stessi fossero pacifici; assume che la sentenza impugnata aveva preteso che il datore provasse che tali prelevamenti di denaro fossero avvenuti invito domini e che la lavoratrice se ne fosse appropriata, ciò che, peraltro, aveva trovato conferma nelle verifiche fatte eseguire dall’azienda dal D.N., che aveva confermato i prelevamenti eseguiti e non contabilizzati e che ciò era sufficiente a ritenere soddisfatto l’onere probatorio gravante sul datore; evidenzia che altri erano gli oneri probatori in tema di licenziamento gravanti sul datore di lavoro, essendo la lavoratrice nella specie a dovere dimostrare di avere prelevato i contanti su autorizzazione del datore o di avere rimesso integralmente le somme prelevate in contanti nelle mani del predetto;
2. con il secondo motivo, la G.C.T. s.r.l. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 e 2730 c.c. e violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte malamente percepito il contenuto oggettivo delle prove documentali ed orali acquisite, affermando circostanze contrarie alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza ed utilizzando dichiarazioni pro se rese dalla R. in sede di interrogatorio formale, ritenendo di poter superare il contenuto oggettivo delle prove documentali e testimoniali acquisite attraverso presunzioni sprovviste dei requisiti della gravità, precisione e concordanza e dando prevalenza a prove atipiche formatesi altrove, senza la partecipazione di essa società; rileva l’errore manifesto nella ricognizione del contenuto oggettivo delle prove ed il cattivo governo del materiale istruttorio acquisito in causa;
3. con il terzo motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., dell’art. 645 c.p.p. e della violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2, per avere la Corte distrettuale utilizzato quale prova atipica, senza nemmeno utilizzare gli atti del procedimento penale, il contenuto di una sentenza penale di assoluzione della R., emessa in esito ad un giudizio abbreviato, senza costituzione di parte civile e senza contraddittorio con la GCT, facendo prevalere le valutazioni del giudice penale sul contenuto oggettivo delle prove, documentali ed orali, acquisite nel giudizio civile per cui è causa, nella piena osservanza del contraddittorio;
4. a prescindere dalla mancata trascrizione della domanda riconvenzionale svolta dalla società in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, in dispregio del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 6, va rilevato che il ricorso tende nella sostanza ad una rivisitazione del merito: in realtà le censure non colgono nel segno laddove denunziano la violazione dei criteri di riparto degli oneri probatori in materia di responsabilità contrattuale, se a tale titolo sia stata fatta valere la responsabilità della lavoratrice;
5. ed invero, onere della società era quello di dimostrare l’avvenuta sottrazione e distrazione di somme, essendo questo l’inadempimento che si imputa alla lavoratrice, e quindi, considerato che era dedotto ed anche emerso dal compendio probatorio che la dipendente aveva il ruolo di curare la contabilità ed i bilanci aziendali e di provvedere pure a prelievi di contanti per disporre pagamenti per conto della società, era onere della datrice di dimostrare anche che la sottrazione fosse avvenuta senza sua autorizzazione, il che poteva essere provato attraverso la dimostrazione del fatto positivo che vi erano precise disposizioni di chiedere ed ottenere, di volta in volta, da parte della R., autorizzazione ai singoli prelievi; tale circostanza non ha ricevuto conforto dalle deposizioni dei testi e dall’istruttoria documentale, che hanno escluso, come rilevato dalla Corte del merito, anche una condotta di distrazione del denaro e di sua appropriazione, con conseguente danno per la società; a tale dimostrazione sarebbe, poi, dovuta seguire la prova liberatoria da parte della lavoratrice;
6. poiché la qualificazione della responsabilità è compito rimesso al giudice del merito, potrebbe il suo titolo in base alla qualificaizone operatane in sentenza essere stata nel senso della responsabilità da illecito aquiliano, con il conseguente regime probatorio; anche su questa base deve ritenersi l’infondatezza del primo motivo di impugnazione;
7. ogni altro profilo di doglianza, evidenziato nel secondo e nel terzo motivo, è superabile alla stregua della giurisprudenza di questa Corte sulla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (cfr., da ultimo, Cass. 30.9.2020 n. 20867; Cass. 17.1.2019 n. 1229, Cass. 27.12.2016 n. 27000) e sulla correttezza del ragionamento inferenziale che non viene ben censurata, in quanto una questione di violazione dell’art. 2729 c.c. si può prospettare (Cass., sez. un., n. 1785 del 2018; Cass. n. 19485 del 2017; Cass. n. 17457 del 2007) esclusivamente sotto i seguenti aspetti: a) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 1, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius:fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; b) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota. Nessuna di queste evenienze ricorre o e’, comunque, illustrata nel motivo in scrutinio;
8. l’esclusione di ogni inversione degli oneri probatori e la conclusione trattane che le prove acquisite non sono state ritenute inidonee a supportare la tesi della società si concilia anche con l’ulteriore considerazione che non vige alcun principio secondo il quale la dimostrazione del buon fondamento del diritto vantato dipenda unicamente dalle prove prodotte dal soggetto gravato dal relativo onere, e non possa, altresì, desumersi da quelle espletate, o comunque acquisite, ad istanza ed iniziativa della controparte, atteso che vige, nel nostro ordinamento processuale, in uno con il principio dispositivo, quello cd. “di acquisizione probatoria”, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute (e qual che sia la parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la relativa provenienza possa condizionare tale convincimento in un senso o nell’altro, e senza che possa, conseguentemente, escludersi la utilizzabilità di un prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli alla controparte (cfr., Cass. 16.6.1998 n. 5980, Cass. 4.4.2000 n. 4133, Cass. 16.6.2000 n. 8195, Cass. 25.9.2000 n. 12649, Cass. 7.8.2002 n. 11911, Cass. 21.3.2003 n. 4126);
9. quanto al valore della sentenza di assoluzione in sede penale è principio pacifico che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova. Cfr. Cass. 10.10.2018 n. 25067, Cass. 15.1.2020 n. 517 secondo cui la prova atipica è rimessa suo prudente apprezzamento del giudice che l’utilizzi;
10. alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto;
11. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;
14. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5250,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis citato D.P.R., ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021
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