LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9858-2019 proposto da:
C.A., S.C.C., CA.AN., C.E., C.G., C.R., C.P.P., C.D., domiciliati ex lege presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati MARCIALIS LUIGI, e GIUSEPPE SALE;
– ricorrenti –
contro
*****, in persona del legale rappresentante Direttore Generale Dott. M.F., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CATERINA COSSELLU;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 389/2018 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, depositata il 14/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;
lette le conclusioni scritte dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2012, Ca.An. e S.G.C., insieme ai figli An., E., G., R., P.P. e D., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Sassari, l’Azienda Sanitaria locale n. ***** di Sassari per accertarne l’inadempienza alle obbligazioni di corretta assistenza sanitaria nei confronti della loro congiunta, Ca.Em., deceduta a ***** in seguito a un tumore benigno al cervello.
Gli attori lamentarono il ritardo nella diagnosi, l’errata esecuzione degli interventi chirurgici nonché la incompletezza delle cartelle cliniche e la mancata esecuzione della autopsia, chiedendo la condanna dell’azienda convenuta al risarcimento di Euro 300.000,00 per ciascun genitore e 100.000,00 per ciascun fratello.
In particolare, gli attori dedussero quanto segue.
Ca.Em. si presentò presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale ***** il giorno ***** accusando diversi sintomi, tra cui vomito e cefalea, e i medici le diagnosticarono “diabete mellito di tipo I”, con conseguente ricovero, senza ulteriori approfondimenti circa l’origine della cefalea.
Dimessa dall’ospedale, la stessa vi si presentò nuovamente in data ***** e fu ricoverata d’urgenza, senza che, anche in tale occasione, venisse eseguito alcun approfondimento Neurologico, nonostante un riscontrato difetto di deambulazione. Successivamente, in data *****, la ragazza venne ancora ricoverata e durante la permanenza in ospedale cadde dal letto. Solo in seguito a tale fatto i sanitari optarono per un esame neurologico, dal quale si evidenziò la presenza di una lesione celebrale (tumore benigno), motivo per il quale seguirono una serie di interventi che non sortirono l’effetto sperato, e in data ***** Ca.Em. morì, anche a causa dell’insorgenza di broncopolmonite e anossia celebrale.
L’ASL di Sassari si costituì in giudizio contestando la domanda e deducendo l’assenza di responsabilità degli operatori sanitari, posto che nel quadro clinico dei primi ricoveri ospedalieri non emergevano dati rivelatori della neoplasia.
Istruita la causa mediante ctu, il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 864/2015, rigettò le domande attoree.
Ritenne, in particolare, non adeguatamente adempiuto l’onere probatorio gravante sulle parti attrici, e in particolare non provato il nesso di causa tra la condotta dei sanitari e l’evento morte.
Il Tribunale richiamò la relazione del CTU, secondo cui, all’epoca dei primi accessi presso la struttura sanitaria, non sussistevano manifestazioni cliniche rivelatrici del tumore, essendo tra l’altro la cefalea sintomo anche dell’altra malattia di cui la paziente era affetta (il diabete mellito); non era inoltre possibile riscontrare irregolarità nel comportamento dei sanitari dell’ospedale né vi era alcun nesso eziologico tra i profili di disorganizzazione della struttura ospedaliera (in particolare la carente redazione delle cartelle cliniche) e il decesso della ragazza.
2. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 389/2018, pubblicata il 14 settembre 2018, ha rigettato l’appello avverso la pronuncia di prime cure proposto dagli attori, i quali censuravano il giudizio del Tribunale in merito alla valutazione dell’onere probatorio in tema di responsabilità medica e all’inutilizzabilità delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio per vizi formali.
I giudici di merito hanno in primo luogo ritenuto infondata l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio esperita in primo grado, con cui gli attori lamentavano la mancata allegazione delle osservazioni dei consulenti di parte e la mancata sostituzione del CTU con un medico specialista neurologo. Infatti, nonostante l’assenza materiale delle relazioni delle consulenze di parte all’interno della relazione d’ufficio, la Corte d’appello ha ritenuto che il CTU avesse risposto in maniera puntale alle osservazioni presentate, rispettando così il principio del contraddittorio. Circa il secondo aspetto, i giudici di merito hanno ritenuto assente alcun vizio in base alle disposizioni catione temporis applicabili, le quali non prescrivevano l’obbligo di incaricare un collegio peritale con un medico specialista della materia oggetto di indagine.
In merito all’aspetto sostanziale, la Corte d’appello, riportandosi alla relazione del CTU espletata in primo grado, ha condiviso le conclusioni del Tribunale, ritenendo il comportamento dei sanitari conforme alle linee guida e agli standard richiesti per il caso specifico rispetto ad ogni ricovero della paziente Ca.Em.. Ancora, la Corte ha ritenuto non provata la causalità materiale, consistente nel nesso eziologico tra l’operato dei sanitari e il decesso della ragazza, onere che incombeva sugli attori.
3. Avverso tale sentenza C.A., S.C.C. e An., E., G., R., P.P. e C.D. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
3.1. Resiste con controricorso l'***** (già ASI, n. ***** di Sassari).
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione c/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 132 c.c., comma 2, n. 4 con riferimento all’art. 1176 c.c. in ordine alla diligenza richiesta al prestatore d’opera nell’adempimento delle obbligazioni a suo carico”. Secondo i ricorrenti. l’assistenza sanitaria prestata a Ca.Em. non sarebbe stata rispettosa della diligenza qualificata richiesta ex art. 1176 c.c., in quanto i sanitari avrebbero approfondito con ritardo significativo l’origine della cefalea e non avrebbero descritto nella cartella clinica i quattro interventi chirurgici ai quali la paziente era stata sottoposta.
Il motivo è inammissibile in quanto, pur essedo formalmente volto a censurare asseriti vizi di legittimità della sentenza impugnata, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del merito della vicenda.
Si evidenzia al riguardo che, secondo l’insegnamento di questa Corte, dopo la riforma del 2012, è impossibile ogni rivalutazione delle questioni di fatto in ipotesi di c.d. doppia conforme sul merito, come stabilisce l’art. 348 ter c.p.c., comma 4.
Ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili.
E tanto anche laddove – come fanno i ricorrenti – si volesse ricondurre il vizio motivazionale entro il diverso paradigma della nullità della sentenza, o si tentasse di ricondurre il lamentato vizio motivazionale nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Nella specie, la motivazione della sentenza non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie.
La Corte d’appello ha argomentato in maniera congrua, basandosi sulla relazione tecnico-scientifica redatta dal CTU, esaminando le critiche mosse a quest’ultima dai consulenti di parte, ed esponendo le ragioni per cui ha escluso la colpa dei sanitari per la mancata tempestiva diagnosi del tumore cerebrale. In particolare, i giudici di secondo grado hanno dato conto che, secondo il ctu, i sintomi riportati dalla ragazza, e in particolare il vomito e la cefalea, erano troppo generici e riconducibili a una pluralità di patologie, tra cui quella diabetica da cui paziente era affetta. Ne’ vi erano altri sintomi (quali deficit focali, triade o crisi epilettica) che avrebbero imposto approfondimenti neurologici. Inoltre gli stessi sintomi erano stati sporadici, isolati ed erano regrediti dopo terapia farmacologica, con la conseguenza che non vi era nulla che potesse consentire ai medici di formulare ipotesi diagnostiche alternative rispetto a quella, conclamata, di chetoacidosi diabetica.
Esaustiva appare anche la motivazione della Corte d’appello in merito alla incompletezza delle cartelle cliniche.
Evidenzia la Corte territoriale, da un lato, che, secondo il consulente d’ufficio, gli interventi eseguiti, pur non dettagliatamente descritti, erano stati opportuni e correttamente eseguiti dal punto di vista tecnico-operativo, come evincibile dagli esiti dei controlli radiologici postoperatori esaminati dallo stesso ctu.
Dall’altro lato, la Corte afferma che era pacifico in giudizio, e riconosciuto anche dai consulenti di parte attrice, che il decesso di Ca.Em. non fosse conseguenza di una qualche irregolarità dell’operato chirurgico, ma derivasse dal danno encefalico da anossia, dalla broncopolmonite contratta nel corso del ricovero, nonché da complicanze cagionate dalla grave forma di diabete da cui la ragazza era affetta. Di conseguenza, la mancata descrizione degli interventi eseguiti, pur rappresentando indubbiamente un profilo di negligenza degli operatori sanitari, non aveva alcuna rilevanza rispetto al caso concreto.
4.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 360 c.p.c., n. 4 con riferimento all’art. 1218 c.c. e all’art. 2697 c.c. in ordine al rispetto delle norme che stabiliscono gli oneri probatori a carico delle parti in caso di contestazione di inadempimento delle obbligazioni”. I ricorrenti sostengono che la struttura sanitaria non avrebbe adeguatamente fornito la prova liberatoria di cui all’art. 1218 c.c., soprattutto in merito alla mancata compilazione della cartella clinica, disattendendo in tal modo i principi e regole in tema di responsabilità contrattuale.
11 motivo è infondato.
Il tema dell’onere probatorio nell’ambito della responsabilità medica è stato affrontato più volte da questo giudice di legittimità, anche a Sezioni Unite.
E’ stato così affermato, anche di recente (Cass. 18392/2017; Cass. 28991/2019), che il creditore è tenuto a provare anche la causalità materiale (cosiddetta “costitutiva”), ossia il nesso tra la condotta del debitore e l’evento di danno, mentre grava sul debitore la prova liberatoria consistente nel provare o l’esatto adempimento o l’inadempimento per causa sopravvenuta a lui non imputabile. Tale distinzione è stata elaborata proprio perché nelle obbligazioni cd. “a risultato intermedio”, come quelle che hanno ad oggetto un facere professionale, è possibile assistere a una scissione tra inadempimento e danno. Il principio generale che ne consegue, sul piano probatorio, è quello secondo il quale grava sul paziente, oltre che l’onere della prova del titolo e l’allegazione dell’inadempimento, anche quello di provare il nesso causale tra l’evento di danno e la condotta del medico.
Per quanto attiene al caso di specie, sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno ritenuto non adempiuto tale onere da parte degli attori, i quali non avrebbero adeguatamente dimostrato la causalità materiale tra il comportamento degli operatori sanitari e il decesso della paziente.
Dunque, contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, si ritengono rispettati i principi in materia di responsabilità medica circa l’onere probatorio, poiché il giudizio sulla adeguatezza di tale onere in merito alla causalità cd. “estintiva”, che grava sul debitore, si pone come momento successivo e subordinato alla prova della causalità materiale da parte dell’attore, circostanza non avvenuta nel caso di specie, avendo correttamente ritenuto i giudici di merito non dirimente la prospettazione attorea fondata sulle osservazioni dei CTU di parte e irrilevanti, ai fini della dimostrazione della causalità, le lacune delle cartelle cliniche.
4.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 360 c.p.c., n. 4 con riferimento all’art. 195 c.p.c. con riferimento alla mancata allegazione alla relazione del CTU delle osservazioni delle parti ed alla mancata valutazione, da parte dello stesso CTU e poi dal giudice, delle osservazioni stesse”. Gli stessi ripropongono un’eccezione di nullità della relazione peritale per la mancata allegazione e valutazione delle osservazioni dei CCTTP di parte attrice, già proposta e rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello.
Il motivo è infondato.
Invero le cause di nullità della relazione peritale devono esser sempre accertate in concreto, in quanto la ratio di cui all’art. 194 c.p.c. è il rispetto il principio del contraddittorio tra le parti. Dunque, in virtù del generale principio di raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c.p.c., secondo cui il perseguimento della finalità oggettiva dell’atto sana l’eventuale causa di nullità, pur mancando nel caso di specie l’allegazione delle relazioni di parte nella perizia espletata dal CTU, i giudici di merito hanno ritenuto nondimeno rispettato il contraddittorio tra le parti e il loro diritto di difesa, avendo il consulente d’ufficio analizzato e disatteso in maniera puntuale le osservazioni che erano state avanzate dalle parti.
5. In conclusione, la Corte respinge il ricorso. Le spese del giudizio di Cassazione possono essere interamente compensate tra le parti, attesa l’accertata complessità e delicatezza delle questioni trattate.
6. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte respinge il ricorso. Spese compensate.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021
Codice Civile > Articolo 4 - Commorienza | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1176 - Diligenza nell'adempimento | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1218 - Responsabilita' del debitore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 156 - Rilevanza della nullita' | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 194 - Attivita' del consulente | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 195 - Processo verbale e relazione | Codice Procedura Civile