LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31534-2019 proposto da:
D.I.F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE BALENIERE, 126, presso lo studio dell’Avvocato SILVIA PETRINI, rappresentato e difeso dall’Avvocato BERNARDO MUCCI;
– ricorrente –
contro
E-DISTRIBUZIONE SPA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIADORO 1/A, presso lo studio dell’Avvocato GENNARO UVA, rappresentata e difesa dall’Avvocato EGIDIO IANNUCCI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 114/2019 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 14/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.
RITENUTO IN FATTO
– che D.I.F.V. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 114/19, del 14 marzo 2019, della Corte di Appello di Campobasso, che – rigettando il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 301/15, del 29 settembre 2015, del Tribunale di Larino – ha respinto la domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente nei confronti della società Enel Distribuzione S.p.a. (oggi E-Distribuzione S.p.a.);
– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce che, in data 11 luglio 2013, alle ore 18:30, mentre percorreva ***** nella contrada Marinelle del Comune di Termoli, avendo necessità di espletare un bisogno corporale, dopo aver inutilmente cercato la toilette di un esercizio commerciale, si incamminava lungo la *****, ove accedeva ad una struttura murale dotata di porta metallica, ma priva, oltre che di qualsiasi strumentazione di chiusura, di cartellonostica, segnaletica o accorgimenti che potessero preavvisare sui rischi conseguenti all’accesso a detto locale, trattandosi di centralina elettrica;
– che nello stesso – ove erano poste barre di rame e blocchi di cablaggio per l’alta tensione – egli urtava inavvertitamente, con il capo, una barra di rame, rimanendo folgorato, con postumi invalidanti;
– che, pertanto, egli conveniva in giudizio la società Enel Distribuzione, per conseguire il risarcimento dei danni subiti, vedendo, tuttavia, rigettare dall’adito Tribunale di Larino la propria domanda risarcitoria, con decisione confermata dal giudice di appello, che respingeva il gravame dallo stesso esperito;
– che avverso la sentenza della Corte molisana il D. ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di due motivi;
– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “errores in indicando”, nonché “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 134 c.p.c.”, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, richiamando l’ordinanza del 10 maggio 2016 (di conferma dei provvedimenti istruttori adottati dal primo giudice, sebbene non esplicitamente motivati sul punto), ha ritenuto non necessario espletare la prova testimoniale che erstata richiesta dall’attore/appellante;
– che secondo il ricorrente sarebbe stato disatteso il principio, di rilievo anche costituzionale, della necessità che ogni provvedimento giurisdizionale sia assistito da motivazione non meramente apparente, principio al quale non sarebbero sottratti neppure quelli di natura istruttoria;
– che, inoltre, si censura l’affermazione della Corte territoriale secondo cui sarebbe stato superfluo procedere all’assunzione della richiesta prova testimoniale in quanto “le circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione dell’impugnazione si evincono con chiarezza dai verbali dei rilievi effettuati nell’immediatezza dei fatti ed in occasione dei successivi sopralluoghi dei Carabinieri di Termoli, prodotti in atti”, giacché “aventi valore di piena prova fino a querela di falso, della dichiarazione resa dai pubblici ufficiali e dei fatti dagli stessi attestati come avvenuti in loro presenza”;
– che, in questo modo, il giudice di appello avrebbe omesso di considerare che i verbali in questione venivano redatti successivamente al sinistro, sicché l’accertamento dei fatti oggetto dello stesso è avvenuto “solo attraverso la loro ricostruzione “ex post”” e sulla base di documenti dotati di valore probatorio liberamente apprezzabile dal giudice, privando, così, esso D. del diritto di fornire -attraverso la richiesta escussione del teste – prova contraria;
– che il secondo motivo denuncia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “errores in iudicando”, nonché “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2050 c.c.”;
– si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha addebitato all’odierno ricorrente la responsabilità esclusiva della causazione del sinistro, ritenendo priva di ogni verosimiglianza la tesi dallo stesso sostenuta, secondo cui egli si sarebbe introdotto nella cabina in uso ad Enel per espletare un bisogno corporale, giacché dalla documentazione in atti (l’informativa di polizia giudiziaria redatta dai Carabinieri del comando di Termoli in data 11 luglio 2013, ai sensi dell’art. 347 c.p.p., e relativa all’ipotesi di reato di tentato furto aggravato a carico del D., nonché il verbale di sopralluogo eseguito dagli stessi il giorno successivo) la Corte territoriale ha tratto la conclusione che il medesimo “non aveva alcuna valida ragione per introdursi nel locale in questione”;
– che la sentenza impugnata, tuttavia, avrebbe escluso la responsabilità dell’Enel “sulla base di una mera interpretazione soggettiva e parziale degli atti processuali e della condotta del D.”, o meglio di “mere supposizioni che non hanno trovato alcun riscontro obiettivo”;
– che, infatti, la corretta applicazione dell’art. 2050 c.c. avrebbe dovuto condurre il giudice di appello a ritenere la società convenuta responsabile del danno patito da esso D., salvo che non fosse stato provato che Enel distribuzione avesse “impiegato tutte le cautele atte ad evitare il danno”, e, dunque, “il caso fortuito ed imprevedibile”;
– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, la società E-Distribuzione, chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o rigettato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 26 novembre 2020;
– che la controricorrente ha presentato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è manifestamente infondato;
– che il primo motivo – relativo alla mancata ammissione della richiesta prova testimoniale – risulta in parte non fondato e in parte inammissibile;
– che, in particolare, non fondata è la censura con cui il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe condiviso il provvedimento del Tribunale, privo di motivazione, che rigettò le istanze istruttorie dallo stesso allora formulate;
– che, sebbene non possa dubitarsi della necessità che anche i provvedimenti istruttori siano motivati (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 gennaio 2003, n. 1823, Rv. 560079-01), deve rilevarsi che, nel caso di specie, la sentenza impugnata reca una motivazione autonoma sul punto, avendo ritenuto superflua la richiesta prova testimoniale sul presupposto che “le circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione dell’impugnazione si evincono con chiarezza dai verbali dei rilievi effettuati nell’immediatezza dei fatti ed in occasione dei successivi sopralluoghi dei Carabinieri di Termoli, prodotti in atti”;
– che e’, invece, inammissibile la censura con cui il D. lamenta la violazione del diritto a fornire “prova contraria”, censurando, anche sotto questo profilo, la mancata ammissione della prova per testi, visto che “in sede di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente intenda lamentare la mancata ammissione da parte del giudice di appello della prova testimoniale – non ammessa in primo grado perché superflua e riproposta in secondo grado – deve dimostrare, a pena di inammissibilità, di aver ribadito la richiesta istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello” (Cass. Sez. 3, ord. 13 settembre 2019, n. 22883, Rv. 65509401), dimostrazione, nella specie, mancante;
– che il secondo motivo – con il quale si ipotizza falsa applicazione dell’art. 2050 c.c., per essere stata disattesa la previsione che impone quale,, prova liberatoria a carico dell’esercente l’attività pericolosa, la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno – non è fondato;
– che, difatti, secondo la Corte territoriale, la documentazione acquisita attesta che il D. si è introdotto nella centralina con “il presumibile intento” di “impadronirsi del rame contenuto nella cabina”;
– che a tale conclusione essa è pervenuta sulla base, innanzitutto, dell’informativa ex art. 347 c.p.p., attestante che gli appartenenti ad una pattuglia dei Carabinieri – inviata “in loco” essendo state “notate due persone aggirarsi con fare sospetto nei pressi di una cabina in uso all’Enel”, e rinvenuto tale B.A.C., che asseriva “essere in attesa di suo cugino, allontanatosi lungo il canale per il recupero dell’acqua della zona industriale per posizionare una rete da pesca” – udivano, in quel mentre, “un forte scoppio e delle urla provenienti dalla cabina elettrica”, trovando, nella parte superiore del locale, alla quale si accedeva da una botola posta in cima ad una scala interna, “un uomo disteso a terra che si lamentava e si dimenava”, essendo rimasto vittima di folgorazione;
– che, parimenti, la sentenza impugnata ha dato rilievo ad ulteriori elementi presenti nel verbale di sopralluogo eseguito dagli stessi Carabinieri il giorno successivo al sinistro, ed in particolare alla circostanza del rinvenimento – “in corrispondenza della botola” che permetteva l’accesso al soppalco, nelle vicinanze del luogo in cui il D. era stato trovato riverso a terra – di “tracce di cuoio capelluto” e di “uno zainetto” contenente strumenti di effrazione;
– che su tali basi, dunque, il giudice di appello ha concluso che l’uomo, pur entrato nella cabina tramite una porta priva di serratura, “si è volontariamente e consapevolmente esposto al pericolo insito nell’accesso al soppalco, utilizzando una via di entrata anomala (la botola esistente sul soffitto)”, il che evidenzia come l’intento dallo stesso perseguito fosse proprio quello “di accedere alla cabina elettrica” per ragioni diverse dall’espletamento di un bisogno corporale, come anche “confermato dal rinvenimento degli arnesi in suo possesso, atti alla forzatura di serrature e alla manomissione delle apparecchiature elettriche”;
– che tali affermazioni non sono scalfite dalle censure del ricorrente che lamentano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2050 c.c.;
– che, per un verso, deve rilevarsi come nella presente sede di legittimità non potrebbe mai trovare ingresso la censura con cui si lamenta una “interpretazione soggettiva e parziale degli atti processuali e della condotta del D.” compiuta dalla Corte territoriale, e ciò in quanto l’ipotizzato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (tra le altre, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01);
– che, d’altra parte, alla luce delle considerazioni che precedono, priva di fondamento è la doglianza secondo cui la Corte territoriale avrebbe travisato il contenuto della prova liberatoria gravante, a norma dell’art. 2050 c.c., a carico dell’esercente attività pericolosa;
– che, difatti, la sentenza impugnata – nel dare rilievo alla consapevole e volontaria esposizione del D. al pericolo di folgorazione, al fine di perseguire un intento addirittura criminoso, accedendo, per giunta, al locale in cui ebbe a verificarsi al sinistro, “utilizzando una via di entrata anomala (la botola esistente sul soffitto)” – si è conformata al principio secondo cui “il limite della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ex art. 2050 c.c. risiede nell’intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene non già ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato”, purché “recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità” (Cass. Sez. 3, ord. 21 novembre 2017, n. 27544, Rv. 646469-01; Cass. Sez. 3, sent. 8 maggio 2003, n. 6988, Rv. 562757-01);
– che il ricorso va, dunque, rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando D.I.F.V. a rifondere, alla società E-Distribuzione S.p.a., le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021