LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22515-2016 proposto da:
Z.B., e A.M., rappresentati e difesi dagli Avvocati LUCA MIGNOLLI, e DANIELA JOUVENAL LONG. ed elettivamente domiciliati presso lo studio della seconda, in ROMA, P.zza di PIETRA 26;
– ricorrenti –
contro
B.D.P.M.L., + ALTRI OMESSI;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1499/2016 della CORTE di APPELLO di VENEZIA, pubblicata il 29/06/2016;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 25/03/2021, dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione innanzi al Tribunale di Verona, B.D.P.V., B.D.P.M.L. e B.M.T. convenivano in giudizio Z.B. e A.M., chiedendo la demolizione, ex art. 890 C.C., della stalla e del paddock, del box di lamiera e vicina tettoia, per violazione delle distanze legali; la restituzione della superficie sottratta con la modifica del percorso della capezzagna e l’invasione sul lato est della proprietà attorea; la condanna dei convenuti, ex art. 894 c.c., a installare la porta dell’edificio rurale, il cancello divelto, a rimuovere il materiale abbandonato, a sistemare il pozzo; la condanna dei convenuti a liquidare i danni nella misura di Euro 51.000,00.
SI costituivano in giudizio i convenuti Z./ A. contestando la fondatezza delle domande attoree, eccependo anche di avere usucapito le eventuali porzioni di terreni o fabbricati che dovessero eventualmente insistere (catastalmente) sui mappali degli attori; affermavano l’infondatezza delle ulteriori domande risarcitone, anche perché già rigettate nella sentenza n. 5/2001 relativa all’accertamento della scadenza dell’affitto agrario con conseguente ne bis in idem.
All’udienza del 19.9.2005 intervenivano nel giudizio B.G. e B.M.M., quali eredi di B.M.T., i quali, nell’udienza del 25.10.2007, chiedevano e ottenevano la rinuncia agli atti di causa, con conseguente estinzione del procedimento limitatamente alla loro posizione.
Con separato procedimento (R.G. 792/2010), B.d.P.P.M., B.d.P.A.; B.G. e B.M.M. convenivano in giudizio Z.B. e A.M. chiedendo la restituzione dell’appezzamento di mq 740 come accertato nella causa di cui sopra e l’abbattimento della recinzione; nonché il risarcimento dei danni per Euro 60.000,00.
Si costituivano in giudizio Z.B. e A.M. contestando, preliminarmente, la correttezza di B.G. e B.M.M., i quali, prima avevano chiesto e ottenuto dai convenuti di uscire dalla causa e, successivamente, ne avevano promossa una uguale, in spregio al principio di buona fede processuale previsto dall’art. 88 c.p.c. Nel merito, i convenuti formulavano domanda riconvenzionale di usucapione dell’area oggetto di causa, chiedendo la chiamata in causa dei litisconsorti necessari.
Si costituivano in giudizio i terzi chiamati B.d.P.M.L. e B.d.P.V..
Riuniti i due procedimenti, con sentenza n. 1620/2012, il Tribunale di Verona accertava la corretta linea di confine tra le proprietà B.D.P. (mappali *****) e la proprietà Z.B. e A.M. (mappali *****) come risultante dalle mappe catastali e individuata dal CTU G. nelle tavole numero 3 e 4 allegate alla perizia; dichiarava l’infondatezza della domanda di usucapione; condannava Z.B. e A.M. a riconsegnare nella piena e libera disponibilità di V. e B.D.P.M.L. le porzioni di terreno occupate abusivamente; accertata l’illegittimità delle opere e delle costruzioni realizzate dai convenuti e la violazione delle distanze, condannava i medesimi a eseguire le demolizioni indicate dal CTU nella relazione e nella tavola numero 5; condannava i convenuti a rimuovere a proprie spese la recinzione apposta nella capezzagna a nord est del mappale ***** (*****) in modo da ripristinare il collegamento diretto della capezzagna alla strada comunale *****; condannava i convenuti a ripristinare e installare a proprie spese il cancello di accesso alla proprietà B.D.P., oltre alla porta di accesso al fabbricato e a rimettere in efficienza il pozzo; condannava i convenuti a risarcire a M.M., A., P.M., V. e B.D.P.M.L. i danni provocati dalle violazioni accertate; dichiarava la carenza di legittimazione attiva in capo a B.G.; condannava i convenuti a rifondere agli attori V. e B.D.P.M.L. le spese di lite.
Avverso detta pronuncia proponevano appello Z.B. e A.M.; resistevano V. e B.D.P.M.L.; a seguito del decesso di B.D.P.V. si costituiva l’erede Be.Gi. che insisteva per la reiezione dell’appello.
Con sentenza n. 1499/2016, del 29.6.2016, la Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello, annullava il capo di sentenza 1620/2012 relativo alla rimozione della recinzione per ripristinare il collegamento della capezzagna, in difetto della relativa domanda; condannava gli appellanti, a rifondere agli appellati costituiti le spese di lite del grado.
Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione Z.B. e A.M. sulla scorta di sette motivi. Nessuno per gli intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, “Ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza di primo grado per violazione degli artt. 132,156 e 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost. e nullità del procedimento per violazione degli artt. 161,162 e 354 c.p.c.”, lamentandone il difetto di motivazione, in ordine alla censura con cui si segnalava che la sentenza del giudice di primo grado sarebbe stata motivata riportando ampi passi della comparsa di parte controricorrente. Secondo la Corte d’appello la censura andava respinta perché, in ogni caso, dalla lettura della sentenza si evincevano le ragioni che avevano argomentato siffatta decisione. Si era, in particolare dedotto che, in diversi passaggi motivazionali, sussisteva una insanabile contraddizione tra il contenuto della motivazione e quello del dispositivo.
A fronte della censura sul contenuto della sentenza di primo grado (consistente nella pedissequa riproduzione della comparsa conclusionale della parte appellante) la Corte distrettuale si sarebbe limitata ad affermare che, nelle motivazioni, si evincevano, in ogni caso, tutte le ragioni che effettivamente fondavano la pronuncia del dispositivo, mentre al più, la contraddizione si poteva rinvenire tra vari passi della motivazione. Sicché la Corte d’Appello riteneva assorbita la questione della nullità della sentenza di primo grado da una nuova valutazione, in secondo grado, fondata sui motivi di appello e non a cognizione piena (sentenza pag. 9-10). Il motivo è fondato. Come affermato dalle sezioni unite (Cass. n. 642 del 2015) nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (cfr. anche Cass. n. 22562 del 2016).
Nel caso in esame, la sentenza di primo grado era composta dalla pedissequa riproduzione della comparsa conclusionale, che non appariva né chiara, né univoca, né esaustiva, presentando gravi contraddizioni in più parti; laddove avrebbe richiesto una rinnovata ed esauriente disamina da parte della Corte di merito la fine di fare la necessaria chiarezza su tutte le questioni poste dalle parti e (soprattutto) sulle posizioni dei singoli soggetti che il primo giudice aveva esaminato in modo estremamente confuso.
1.1. – Il motivo e’, pertanto, fondato.
2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono, “Ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione degli artt. 346 e 112 c.p.c”, giacché la Corte di appello aveva erroneamente rigettato la domanda ed eccezione di usucapione degli odierni ricorrenti, sull’erronea convinzione della sussistenza del giudicato interno su alcune questioni.
2.1. – Dal motivo d’appello (riportato a pag. 40 del ricorso) risulta proposta impugnazione anche sul rigetto della eccezione di usucapione. Occorre infatti considerare il principio secondo cui “”Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” (Cass. n. 27199 del 2017; cfr. Cass. n. 11999 del 1917; Cass. n. 10916 del 2017).
La Corte distrettuale ha, pertanto, errato nel rilevare il giudicato interno; e quindi la sentenza va cassata anche con riferimento a tale profilo.
3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono “Ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione degli artt. 112,342 e 132 c.p.c.; art. 118 disp. att. c.p.c; ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame fatto decisivo del giudizio”, poiché la Corte di appello avrebbe completamente omesso di esaminare il vizio denunciato riguardante la contraddizione, per la domanda di alcuni comproprietari, tra quanto statuito nella motivazione della sentenza di primo grado (infondatezza della domanda e compensazione delle spese di lite) e il dispositivo (condanna di Z.B. e A.M.). Si eccepisce, anche per la sentenza di secondo grado, la palese contraddittorietà tra motivazione e dispositivo o, in subordine, il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.
4. – Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano “Ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione degli artt. 122 e 189 c.p.c”, là dove la Corte di merito aveva erroneamente rigettato il motivo d’appello relativo all’ultrapetizione, tra quanto chiesto dalle parti in sede di precisazione delle conclusioni e quanto pronunciato nella sentenza di primo grado. Trattandosi di opere già rimosse, il Giudice non poteva condannare i convenuti a rimuovere manufatti del tutto diversi, non richiesti nelle conclusioni.
5. – Con il quinto motivo, i ricorrenti censurano, “Ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c.; ex art. 360 n. 3 per violazione dell’art. 1158 c.c. e art. 115 c.p.c.; ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti”; poiché La Corte d’Appello aveva erroneamente rilevato un giudicato interno e non ha esaminato circostanze di fatto decisive ai fini dell’accoglimento della domanda di usucapione, non ammettendo rilevanti e specifici mezzi di prova finalizzati a dimostrarle.
6. – Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano “Ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c.; ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli artt. 871,1226,2043 e 2056 c.c. e art. 115 c.p.c.; ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti”. La Corte distrettuale ha erroneamente rilevato un giudicato interno, ha omesso di verificare il presupposto della colpevolezza previsto dall’art. 2043 c.c., oltre ad altre circostanze di fatto decisive ai fini della decisione.
7. – Con il settimo motivo, i ricorrenti deducono, “Ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per violazione degli artt. 324 c.p.c., artt. 2909,2697,2729 c.c. e art. 115 c.p.c.; ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti”, avendo la Corte d’Appello erroneamente rigettato l’eccezione di giudicato esterno delle domande di risarcimento danni in base alla sentenza n. 5/2001 del Tribunale di Verona – Sezione Agraria”.
7.1. – Il motivo è fondato.
7.2. – Secondo la Corte d’Appello, all’epoca della rimozione del cancello, il fondo era nella disponibilità degli appellanti (odierni ricorrenti), che avevano oneri di custodia; e, non avendo all’epoca denunciato il fatto, appariva verosimile che la rimozione andasse loro ascritta. Osservano i ricorrenti che tale motivazione fosse contraria alle norme sull’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., sulle presunzioni ex art. 2729 c.c. e sul prudente apprezzamento ex art. 115 c.p.c..
Quanto al pozzo, parte ricorrente deduce che la richiesta di ripristino fosse già stata rigettata dalla sentenza del Tribunale di Verona – sezione specializzata agraria n. 5/2001; contesta quindi l’affermazione della Corte d’appello (v. pag. 17) per la quale la doglianza va respinta giacché la domanda in questione era stata svolta solo in via subordinata e non era stata esaminata dal Tribunale che aveva accolto la domanda principale.
Orbene, sull’asserito intervenuto giudicato esterno, i ricorrenti hanno eccepito la violazione degli artt. 324 e 2909 c.c. essendo di documentale evidenza che le domande di risarcimento dei danni formulate nella causa definita dalla citata sentenza 5/2011 non erano state proposte in via subordinata alla domanda principale di rilascio per scadenza del contratto di affitto. Le stesse Infatti erano state chiaramente formulate con la dicitura “in ogni caso”, svincolandole in tal modo dalla domanda subordinata di risoluzione del contratto per grave inadempimento. Infatti, la stessa motivazione della citata sentenza specificava esser stata accolta solo la domanda di risarcimento danni per tardivo rilascio e non le altre.
E’ dunque necessario che il giudice del rinvio proceda ad un nuovo esame onde verificare se vi sia stato un rigetto implicito e quanto alla distruzione del cancello se fossero stati osservati i principi (Ndr: testo originale non comprensibile).
8. – Vanno accolti il primo, il secondo e il settimo motivo; assorbiti gli altri, cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa alla Corte d’appello di Venezia.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo e il settimo motivo, con assorbimento di tutti gli altri, dal terzo al sesto motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 25 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021
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