Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22520 del 09/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8825/2018 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

E.P., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI, rappresentato e difeso dagli avvocati ERNESTO MARIA CIRILLO, FRANCESCO CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5900/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/09/2017 R.G.N. 4416/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza 27/9/2017 ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da Telecom Italia Spa nei confronti di E.P. per il pagamento di somme maturate dall’aprile 2011 al gennaio 2012, successivamente alla sentenza con cui era stata dichiarata l’inefficacia della cessione del suo contratto di lavoro in relazione al trasferimento di ramo d’azienda avvenuto in favore della TNT Logistics Italia Spa (ora Ceva Logistic s.p.a.).

La Corte territoriale ha escluso – per quanto ancora qui interessa – che gli importi oggetto del provvedimento monitorio potessero essere oggetto della eccezione di aliunde perceptum sollevata da parte datoriale, sul rilievo che – secondo quanto affermato dal giudice di prima istanza con statuizione non oggetto di censura – attenevano ad “un periodo successivo alla intercorrenza del rapporto di lavoro con la Ceva Logistic”.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Telecom Italia Spa con unico motivo.

La parte intimata ha resistito con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1223,1256,1453 e 1463 c.c..

Si deduce che con sentenza n. 1865/2014 passata in giudicato, il Tribunale di Napoli abbia dichiarato l’illegittimità dei licenziamento intimato dalla cessionaria Ceva Logistics, reintegrato il lavoratore nel posto di lavoro e condannato la società al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal di del licenziamento sino a quello della effettiva reintegra.

Si osserva che a seguito di detta pronuncia la Ceva Logistic è obbligata al pagamento di ogni differenza retributiva spettante sino alla data di reintegra del resistente; del resto, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, è detraibile non solo quanto effettivamente percepito (aliunde perceptum), ma anche ciò che il lavoratore poteva percepire con l’ordinaria diligenza (aliunde percipiendum).

2. Il motivo non è fondato.

Osserva la Corte che la questione del giudicato sollevata da parte ricorrente non appare dirimente ai fini della soluzione della questione delibata.

Invero, secondo il più recente insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il trasferimento del medesimo rapporto ai sensi dell’art. 2112 c.c. si determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della ò cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dalla richiamata disposizione codicistica) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), l’originario rapporto di lavoro con la cedente non si trasferisce e se ne instaura un altro in via di fatto con il destinatario della cessione e le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sull’altro rapporto lavorativo ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (cfr. Cass. 7/8/2019 n. 21161Cass. 28/2/2019 n. 5998).

Accanto al rapporto di lavoro quiescente con l’originaria impresa cedente, ripristinato de iure con la declaratoria giudiziale di invalidità del trasferimento, vi e’, quindi, una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la ò cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro in via di fatto.

La questione della natura dei crediti vantati dal lavoratore per effetto del mancato ripristino del rapporto di lavoro nonostante la sentenza di accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda cui era addetto, rinviene, dunque, soluzione alla stregua del recente insegnamento delle Sezioni unite civili di questa Corte (sent. 7/2/2018, n. 2990) che ha affermato la natura retributiva e non più risarcitoria di detti crediti (come invece secondo un indirizzo precedente: Cass. 17/7/2008 n. 19740; Cass. 9/9/2014 n. 18955; Cass. 25/6/2018 n. 16694).

Tale pronuncia ha sancito il principio di diritto in tema di interposizione di manodopera, in base al quale ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni a decorrere dalla messa in mora.

A tale indirizzo è stato riconosciuto valore di diritto vivente dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione del ramo d’azienda.

La Corte costituzionale ha preso atto (al p.to 6.3. del Considerato in diritto) “che l’indirizzo interpretativo, indicato come diritto vivente allorché sono state proposte le questioni di legittimità costituzionale, risulta disatteso dalla suddetta pronuncia delle Sezioni unite, successiva all’ordinanza di rimessione. Tale pronuncia mira a ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della mora del creditore nel rapporto di lavoro e consente di risolvere in via interpretativa i dubbi di costituzionalità prospettati”.

Dalla “qualificazione retributiva dell’obbligazione del datore di lavoro moroso” il Giudice delle leggi ha tratto la conseguenza di “privare di fondamento,…, le questioni di legittimità costituzionale insorte sulla base di un’interpretazione di segno antitetico”.

3. In definitiva, alla luce delle considerazioni sinora esposte, deve affermarsi che il distinto rapporto di lavoro instaurato con la società cessionaria – non qualificabile in termini di mera prosecuzione di quello in precedenza intercorso con la cedente in base ai surrichiamati principi – è comunque produttivo di effetti giuridici e quindi di obblighi in capo al soggetto che in concreto utilizza la prestazione lavorativa del ceduto nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale.

Pertanto, una volta sancita la natura retributiva delle somme da erogarsi dal cedente inadempiente al comando giudiziale, ed escluso che la richiesta di pagamento dei lavoratori abbia titolo risarcitorio, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum o percipiendum dal risarcimento e, quindi, di detraibilità delle somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire (dal cessionario) con l’ordinaria diligenza, non è dato parlare.

Nell’ottica descritta il prospettato (e rimasto indimostrato) passaggio in giudicato della sentenza con la quale era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento intimato dalla Ceva Logistics s.p.a. deve ritenersi non dispieghi specifici effetti sull’attuale giudizio, stante la autonomia dei rapporti desumibile dai summenzionati arresti.

Ciò è sufficiente a respingere il ricorso.

4. Quanto al regime delle spese applicabile, il recente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità sulla tematica delibata che ha sovvertito quello in precedenza consolidatosi, ne consiglia la compensazione.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021

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