LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28602-2017 proposto da:
M.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO SCANCARELLO;
– ricorrente –
contro
COIMA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio (TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO RAFFAELE), rappresentata e difesa dagli avvocati DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, FEDERICA PATERNO’, ANTONIO DI STASIO, FRANCO TOFFOLETTO;
– COIMA IMAGE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio (TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO RAFFAELE), rappresentata e difesa dagli avvocati DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, FEDERICA PATERNO’, ANTONIO DI STASIO, FRANCO TOFFOLETTO;
– UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO PALTRINIERI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1008/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/05/2017 R.G.N. 499/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.
RILEVATO
CHE:
La Corte d’appello di Milano confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto la domanda proposta da M.A. nei confronti di Coima Image s.r.l. e Coima s.r.l. intesa a conseguire l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso fra le parti in relazione al periodo giugno 2006-dicembre 2012 con inquadramento nel II livello c.c.n.l. studi professionali, e la condanna delle società convenute in solido fra loro al pagamento delle differenze retributive spettanti, oltre al risarcimento del danno relativo ai danni risentiti per effetto dell’infortunio sul lavoro occorso nel *****.
A fondamento del decisum la Corte distrettuale osservava in via di premessa che “parametro di qualificazione della subordinazione” era la eterodirezione la quale si esprimeva “nell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro”, cui attribuiva “peso decisivo nella qualificazione del rapporto”, laddove “carattere meramente sussidiario e non decisivo, assumevano altri indici fattuali, quali la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario di lavoro, la cadenza fissa della retribuzione”; soggiungeva che, nello specifico, erano riscontrabili in atto ò introduttivo del giudizio, evidenti carenze assertive e che non sussistevano le condizioni di ammissibilità delle prove testimoniali articolate perché recavano generico riferimento a circostanze irrilevanti oltre ad implicare valutazioni inibite ai testimoni.
M.A. interpone ricorso per cassazione avverso tale decisione, sulla base di tre motivi successivamente illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c.
Resiste con controricorso la COIMA s.r.l. che ha depositato memoria.
Ha svolto difese altresì la Unipolsai Assicurazioni s.p.a. già chiamata in garanzia dalla Coima Image s.r.l., la quale non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si deduce la radicale contraddittorietà della motivazione che innerva l’impugnata sentenza la quale da un canto, “riconosce la marginalità delle tipiche manifestazioni del vincolo di soggezione nel caso di prestazioni ad elevato contenuto professionale”, dall’altro svilisce gli elementi sussidiari che maggiormente rilevano proprio nella qualificazione di una “subordinazione che non potrebbe manifestarsi attraverso il comune esercizio dei poteri direttivo, organizzativo e disciplinare”.
2. Il secondo motivo attiene alla violazione e falsa applicazione degli artt. 244,253,421,437 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si prospetta la erroneità degli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito, per essere detti strumenti idonei a definire gli elementi costitutivi del ricorso ex art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4 ed a sollecitare l’esercizio dei poteri officiosi del giudice del lavoro di provvedere d’ufficio agli atti istruttori necessari, a fronte delle piste probatorie rinvenibili in tutti i fatti considerati generici dalla Corte distrettuale.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si deduce che il giudice de’l gravame non abbia applicato i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità che individuano nei cd. indici sussidiari, gli elementi idonei a qualificare la natura del rapporto ove si versi in ipotesi di mansioni di elevato contenuto intellettuale.
4. Il ricorso, nei suoi articolati motivi che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, presenta profili di inammissibilità.
Come fatto cenno nello storico di lite, la sentenza impugnata ha ritenuto, come alternativa ragione del decidere rispetto a quella concernente la inammissibilità dei mezzi di prova – in quanto vertenti su circostanze irrilevanti e comunque implicanti la richiesta ai testimoni di esprimere valutazioni non consentite -. le carenze assertive che connotavano il ricorso introduttivo del giudizio e che non consentivano di definire la configurabilità nella specie, di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti.
Nel presente ricorso, tuttavia, questa affermazione – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere la sentenza nei punti qui contestati – non viene attinta dalle censure formulate le quali si indirizzano in ogni caso su argomenti (l’ammissibilità e rilevanza degli strumenti probatori articolati in appello), che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata.
Il ricorrente si è infatti limitato a censurare globalmente la carenza, nell’incedere argomentativo percorso dalla Corte di merito quanto all’esercizio dei poteri istruttori, riproponendo la formulazione degli strumenti probatori proposta in sede di gravame, onde confutare il giudizio espresso in ordine alla inammissibilità ed irrilevanza ed irrilevanza degli stessi.
Egli ha, tuttavia, omesso di confutare specificamente, secondo l’onere a suo carico gravante, la statuizione relativa alla carenza assertiva del ricorso che non consentiva di esercitare i poteri istruttori officiosi riservati al giudice del lavoro ex art. 421 c.p.c.
Ha trascurato di riportare, in ossequio al principio di specificità che governa il ricorso per cassazione, almeno nelle parti salienti, il tenore del ricorso introduttivo del giudizio ex art. 414 c.p.c., in relazione al quale era stato elaborato il giudizio di inammissibilità da parte della Corte territoriale – non rispettando i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, in base ai quali il ricorrente deve specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (vedi ex aliis Cass. 13/11/2018 n. 29093) – e si è limitato a riprodurre uno stralcio del ricorso in appello recante la articolazione dei capitoli di prova.
5. Ciò costituisce ragione di inammissibilità del ricorso.
Deve infatti richiamarsi il principio affermato da questa Corte, che va qui ribadito, in base al quale il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti.
Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (vedi Cass. 4/3/2016 n. 4293).
Tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7/11/2005, n. 21490; Cass. 26/3/2010 n. 7375; Cass. 7/9/2017, n. 20910; Cass. 3/5/2019 n. 11706).
In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza, nei confronti delle parti che hanno svolto attività difensiva Coima s.r.l. e della Unipolsai Assicurazioni s.p.a., nella misura in dispositivo liquidata.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuna delle controricorrenti Coima s.r.l. ed Unipolsai Assicurazioni s.p.a., in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.200,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021
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