LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1648-2015 proposto da:
M.S., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ISACCO SULLAM;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1417/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 03/12/2013 R.G.N. 1492/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di L’Aquila – giudice del rinvio all’esito della sentenza di questa Corte del 28 novembre 2011 n. 25145- con sentenza del 3 dicembre 2013 n. 1417, in riforma della sentenza del Tribunale di Teramo, respingeva la domanda proposta da M.S. – appartenente al personale ATA Enti Locali, trasferita ex lege n. 124 del 1994, art. 8 nei ruoli del personale del Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca (in prosieguo: MIUR)- per il riconoscimento nei ruoli dello Stato dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’Ente Locale.
2. La Corte territoriale – richiamate le statuizioni della sentenza rescindente, i principi affermati dalla Suprema Corte in merito all’assegno ad personam riconosciuto al personale ATA all’esito del trasferimento, le indicazioni della Corte di Giustizia sulla compatibilità della normativa nazionale con la direttiva 77/187/CEE (sentenza Scattolon) – osservava che con il ricorso in riassunzione la lavoratrice assumeva che sulla base della sentenza della Corte di Giustizia e della sentenza rescindente sarebbe stato definitivamente sancito il suo diritto all’integrale riconoscimento della anzianità maturata, che avrebbe comportato una retribuzione più elevata ed inoltre che la amministrazione di destinazione non le aveva riconosciuto alcuni emolumenti percepiti in forza del CCNL del comparto di provenienza.
3. Osservava che la sentenza rescindente non aveva accertato in via definitiva il diritto della ricorrente al riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio ma aveva soltanto affermato che il mancato integrale riconoscimento della pregressa anzianità sarebbe stato illegittimo se ed in quanto ne derivasse per la lavoratrice un peggioramento retributivo sostanziale rispetto a quanto avrebbe percepito se fosse rimasta a lavorare presso l’ente di provenienza.
4. Nel merito, escludeva detto peggioramento.
5. Evidenziava che la ricorrente non lamentava di avere subito dal gennaio 2000 un peggioramento retributivo rispetto a quanto già percepito ma si doleva del fatto che se le fosse stata riconosciuta l’integrale anzianità maturata presso l’ente locale le sarebbe stata attribuita una retribuzione maggiore di quella riconosciuta dal MIUR con il decreto di trasferimento individuale.
6. Nella specie era incontestato che dal trasferimento non erano derivate riduzioni del trattamento in godimento, stante l’avvenuto riconoscimento di un assegno ad personam atto a garantire il livello retributivo da ultimo raggiunto.
7. A diversa conclusione non si giungeva neppure prendendo in considerazione il mancato riconoscimento, all’atto del nuovo inquadramento, di taluni benefici corrisposti in forza del CCNL del comparto enti locali; si trattava di allegazione non rilevante con riguardo alla problematica del mancato riconoscimento della anzianità e verosimilmente utile al diverso fine della quantificazione dell’assegno ad personam.
8.Ciò che rilevava era solo la eventualità del peggioramento retributivo sostanziale, sicché la perdita di elementi accessori del trattamento retributivo neppure era sufficiente ad integrare detto peggioramento, dovendo effettuarsi un confronto globale tra i due trattamenti – anteriore e successivo al trasferimento – senza tener conto di alcuni marginali possibili differenze.
9. La questione di costituzionalità della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, in relazione all’art. 117 Cost., era stata già ritenuta manifestamente infondata dalla Suprema Corte.
10. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza M.S., sulla base di cinque motivi, al quale il MIUR ha opposto difese con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione dell’art. 384 c.p.c. o, in subordine, dell’art. 1218 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere disatteso il principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente, senza effettuare l’accertamento da essa demandato e, comunque, ponendo erroneamente a suo carico l’onere di provare di avere subito un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento laddove l’onere della prova cadeva a carico del MIUR, sulla base dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale nonché del principio di prossimità alla prova.
2. Con il secondo mezzo si deduce – ai sensi dell’art. 360 n. 3 – violazione della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218.
3. La ricorrente ha esposto che l’accordo ARAN – organizzazioni Sindacali del 20 luglio 2000 aveva preso in considerazione soltanto alcuni degli elementi del trattamento retributivo percepito presso l’Ente Locale -(stipendio annuo, RIA e indennità specifica prevista dall’art. 4,comma 3 CCNL 16 luglio 1996 Enti Locali) – mentre solo successivamente la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con disposizione retroattiva, aveva salvaguardato il trattamento economico complessivo annuo con riferimento a “tutte le indennità contrattualmente spettanti”, tra le quali era compreso il premio incentivante.
4. Ha addebitato alla Corte territoriale di non avere esaminato quanto dedotto nel ricorso in riassunzione riguardo all’ammontare del premio incentivante, dal cui mancato riconoscimento era derivato un peggioramento retributivo sostanziale.
5. Con la terza critica viene denunciata “violazione degli artt. 11,111,117 Cost.; degli artt. 47 e 52 della Carta di Nizza; dell’art. 6, n. 2 del Trattato sull’Unione Europea; dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione”, addebitandosi alla sentenza impugnata di non avere disapplicato la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, e, comunque, di non avere sollevato incidente di costituzionalità per violazione degli artt. 10,111 e 177 Cost. Si sostiene che il silenzio della sentenza impugnata ed il perdurare dell’inquadramento illegittimo costituirebbero manifesta violazione dell’art. 46, comma 1, della CEDU.
6. con la quarta censura la sentenza è impugnata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – per violazione dell’art. 117 Cost. e art. 46 della CEDU, che impone agli Stati contraenti di “conformarsi alle sentenze definitive della corte sulle controversie nelle quali sono parti”. Dinanzi alla Comitato dei Ministri, organo di controllo della esecuzione delle sentenze della Corte EDU, lo Stato Italiano aveva sostenuto che la giurisprudenza interna si era orientata per la disapplicazione della legge di interpretazione autentica sicché il giudice del rinvio, nel decidere la controversia, avrebbe dovuto tener conto delle posizioni assunte dall’Italia a livello internazionale.
7. La quinta critica denuncia- sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – “violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva, dell’art. 19, comma 1 TUE, dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali, dell’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, del principio di collaborazione”.
8. La ricorrente sostiene che il giudice del rinvio l’avrebbe onerata di una “prova diabolica” perché il giudizio di primo grado era stato instaurato prima dell’emanazione della L. n. 266 del 2005 e promosso per far valere l’illegittimità del criterio di inquadramento, adottato in violazione della L. n. 124 del 1999, art. 8. In corso di causa il contesto normativo era illegittimamente cambiato e di ciò la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto per non vanificare il diritto riconosciuto dalla sentenza Scattolon e dalla sentenza rescindente.
9. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la connessione che li lega, sono complessivamente infondati.
10. Il primo motivo è infondato nella parte in cui addebita alla Corte territoriale di avere violato l’art. 384 c.p.c. ed inammissibile nel resto.
11. Diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, la Corte territoriale nella definizione della controversia ha tenuto conto dei principi affermati e dei criteri indicati nella sentenza rescindente ed ha compiuto l’accertamento demandato, rilevando innanzitutto che l’attuale ricorrente non aveva mai dedotto, neppure in sede di riassunzione, di avere subito, per effetto del trasferimento nei ruoli del Ministero, un decremento della retribuzione ma aveva solo allegato di avere diritto ad un inquadramento stipendiale più elevato rispetto a quello riconosciuto al momento del passaggio.
12. Il giudice del rinvio ha aggiunto che “e’ del tutto incontestato che nel passaggio al comparto scuola la parte lavoratrice non ha subito perdite concrete rispetto al trattamento in godimento prima dell’avvenuto trasferimento, stante l’avvenuto riconoscimento di un assegno ad personam atto a garantire il livello retributivo da ultimo raggiunto…” (pag.7 della sentenza, quarto capoverso);
13. il ricorso, nella parte in cui sostiene, tanto con il primo che con il quinto motivo, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente posto l’onere della prova a carico della lavoratrice, richiedendo alla stessa una probatio diabolica, non coglie la ratio della decisione, perché il giudice del rinvio non ha deciso la controversia sulla base della regola residuale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., bensì – esaminata la documentazione e le allegazioni delle parti, valutate alla luce del principio di non contestazione – ha positivamente escluso il peggioramento.
14. Si deve ribadire che nel giudizio di legittimità la violazione della regola di riparto degli oneri probatori può essere denunciata – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – solo qualora il giudice del merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fatto ricadere le conseguenze pregiudizievoli dell’incertezza probatoria su una parte diversa da quella onerata della prova e non anche nel caso in cui il giudice, valutate le risultanze istruttorie, ritenga provata una determinata circostanza di fatto.
15. Quanto al secondo mezzo, questa Corte – a partire da Cass. nn. 3663, 6345, 7470 del 2019 – ha affermato che i premi ed i compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del CCNL 1 aprile 1999 per il personale del comparto regioni ed enti locali non possono avere rilevanza ai fini del cd. maturato economico, perché si tratta di voci del trattamento accessorio correlate ad effettivi incrementi di produttività e miglioramento dei servizi, ossia di emolumenti non certi nell’an e nel quantum.
16. Il terzo il quarto motivo ed il quinto motivo, da trattare unitariamente, sono inammissibili perché finiscono per sollecitare una revisione del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente; quest’ultima, pronunciata dopo l’intervento della Corte di Giustizia e della Corte E.D.U. (la sentenza è stata pubblicata il 28 novembre 2011, successivamente alla pubblicazione della sentenza Agrati ed altri contro Italia del 7 giugno 2011, della quale si dà conto nella motivazione), ha ribadito l’efficacia retroattiva della L. n. 266 del 2005, art. 1; ha richiamato i quattro interventi del Giudice delle leggi, che hanno escluso profili di illegittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica; ha ritenuto che il complesso normativo fosse, appunto, costituito dalle L. n. 124 del 1999 e L. n. 266 del 2005 e che, sulla base del diritto Eurounitario, come interpretato dalla Corte di Lussemburgo, la domanda potesse trovare accoglimento solo nell’ipotesi di accertato peggioramento retributivo sostanziale.
17. Quanto alla necessità di disapplicare la legge di interpretazione autentica in ragione della violazione degli artt. 47 e 52 della CDFUE, il collegamento con il diritto dell’Unione dell’atto di diritto interno contestato opera, ai sensi dell’art. 51 della Carta, solo a fronte di disposizioni che incidano direttamente sulla normativa Eurounitaria e si pongano in contrasto con essa. Nella fattispecie di causa l’obiettivo della direttiva 77/187, come chiarito dalla Corte di Giustizia, è soltanto quello di evitare che i lavoratori per effetto del trasferimento risentano di un peggioramento retributivo sostanziale; pertanto una volta accertato, come nel caso considerato, che tale peggioramento sostanziale non si sia verificato, resta esclusa ogni ulteriore questione di contrasto della norma di interpretazione autentica con il diritto dell’Unione. La Corte di Giustizia ha inoltre precisato (CGUE, sentenza 24 aprile 2012 in causa C 571/10 KAMBERAJ, punti 62 e 63) che l’art. 6 TUE – (a tenore del quale i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione, in quanto principi generali) – non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri; pertanto, il rinvio operato dal suddetto articolo alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa.
18. La questione di costituzionalità della L. n. 266 del 2005 è già stata ritenuta da questa Corte manifestamente infondata (cfr. Cass. n. 4049/2013 e fra le più recenti Cass. n. 6780, 7053, 7698 del 2018), pur apprezzando le pronunce della Corte E.D.U. successive alla sentenza della Corte Costituzionale n. 311/2009, in quanto il Giudice delle leggi, nell’escludere la violazione dell’art. 117 Cost. per contrasto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con l’art. 6 CEDU, ha ritenuto sussistenti i “motivi imperativi d’interesse generale”, valorizzati anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ed ha evidenziato che la decisione al riguardo implica una valutazione sistematica di profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali che la Convenzione Europea lascia alla competenza degli Stati contraenti, e, quindi, un bilanciamento di interessi che può essere compiuto solo dalla Corte Costituzionale (principio poi ribadito da Corte Cost. n. 264/2012 e da Corte Cost. n. 166/2017).
19. In via conclusiva, in continuità con l’orientamento già espresso da questa Corte in fattispecie analoghe (cfr. fra le tante Cass. nn. 7566, 7311, 7310, 6604, 6431, 6326, 6051, 5966 del 2018) il ricorso deve essere rigettato.
20. Le spese del presente grado vanno a carico della parte ricorrente secondo il principio della soccombenza.
21. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000 per compensi professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021
Codice Civile > Articolo 17 - (Omissis) | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 18 - Responsabilita' degli amministratori | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1218 - Responsabilita' del debitore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2021 - Legittimazione del possessore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Costituzione > Articolo 10 | Costituzione