Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22749 del 12/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giusep – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16124-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCAUURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EDILSYSTEM SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, V. PIEMONTE 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPADA, rappresentata e difesa dall’avvocato SEBASTIANO SALLEMI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2012 della COMM. TRIB. REG. SICILIA SEZ. DIST. di CATANIA, depositata il 31/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

CONSIDERATO

che:

Dall’esposizione in fatto contenuta nel ricorso e nel controricorso, emerge che l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della s.r.l. Edilsystem avviso di accertamento con cui rettificava, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per l’anno 2003, l’imposta dovuta ai fini irpeg, iva e irap, oltre sanzioni, sulla base della ritenuta inesistenza delle operazioni intercorse con la ditta P.M..

Tale atto era impugnato dalla società Edilsystem, sotto il profilo del difetto di motivazione e di prova per le operazioni ritenute fittizie dal fisco.

La commissione provinciale di Ragusa, ritenendo che l’accertamento fosse basato su mere congetture, accoglieva il ricorso.

Tale sentenza, impugnata dalla Agenzia delle Entrate, era confermata in sede di appello dalla CTR della Sicilia, sez. staccata di Catania, che riteneva insussistente la prova del fatto posto a base della rettifica.

Contro la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a tre motivi.

Si costituisce con controricorso la società Edilsystem, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

La società contribuente deposita, a seguito della fissazione della camera di consiglio, memoria difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la tesi della ricorrente, una volta che l’Agenzia abbia ritenuto, sulla base di presunzioni semplici, ma gravi precise e concordanti, la falsità ideologica delle fatture, è onere del contribuente provare la effettività delle prestazioni svolte e portate in detrazione.

Con il secondo motivo, deduce insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo l’Agenzia, la sentenza non aveva minimamente motivato sulle circostanze dedotte, in grado di integrare la presunzione di cui all’art. 2727 c.c., e quindi di modificare il risultato interpretativo.

Con il terzo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto le ragioni poste a base del provvedimento impugnato erano state specificamente indicate. Premesso che il ricorso, contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, non è inammissibile, in quanto non tende ad una rivalutazione del merito, i motivi primo e secondo, data la loro stretta correlazione, vanno esaminati congiuntamente e sono fondati.

Per quello che qui interessa, in ipotesi di fatture che l’Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente, o anche solo soggettivamente, inesistenti, l’amministrazione stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, ma non può mettersi in discussione che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d) (cfr., tra le tante, Cass. 21953/07, che fa riferimento alla possibilità che l’amministrazione produca elementi anche indiziari a sostegno della pretesa fiscale azionata, nonché Cass. n. 5873 del 2019).

Del resto costituisce principio di carattere generale che la prova dei fatti possa essere data anche mediante presunzioni.

Il ricorso quindi alla prova presuntiva è del tutto legittimo anche in materia di fatturazione per operazioni inesistenti. Del resto questa Corte ha più volte affermato che la prova per presunzioni costituisce una prova “completa”, e quindi il giudice di merito, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, aveva l’obbligo di verificare l’attendibilità dei fatti specificati dalla Agenzia, e se avessero i requisiti delle presunzioni. Non si vuole negare che il giudice del merito non abbia il potere di affermare che i fatti addotti non avessero i requisiti della precisione e gravità, sempre che egli fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria.

Nel caso il giudice del merito non ha fatto buon governo del potere discrezionale di valutare le prove in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento. Infatti il giudicante si è limitato ad affermare, senza procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi acquisiti, che l’agenzia si era basata su mere deduzioni soggettive dei verificatori. Ne’ ha posto in relazione tra loro i singoli elementi indicati nell’accertamento, per eventualmente escludere che la combinazione di tali elementi fosse in grado di fornire una valida prova presuntiva.

A fronte degli elementi di prova presuntiva forniti dall’amministrazione attraverso la motivazione dell’accertamento, ove considerati congrui dal giudice, viene a ricadere sul contribuente l’onere di fornire la prova piena in ordine all’esistenza effettiva delle prestazioni documentate dalle fatture in contestazione, e nel caso il giudice del merito pare aver tratto la prova dal solo fatto che fossero state emesse le fatture.

Nel caso, nell’accertamento si dava atto che presso la ditta Poidomani era stato rinvenuto un documento analitico da cui emergeva che essa impresa avesse emesso fatture in parte vere ed in parte inesistenti, indicando il dovuto per le operazioni inesistenti quale l’iva applicata alle fatture “false”; l’ufficio ha inoltre fatto riferimento ad ulteriori elementi quali la mancata esibizione di documenti di trasporto, di ordini e di commissioni.

La Ctr si è limitata a valorizzare isolatamente il documento rinvenuto, senza attribuire ulteriore rilievo al fatto che in ordine alle operazioni considerate false non era stata esibita alcuna documentazione complementare.

Come si vede la Ctr ha svalutato senza alcuna motivazione, se non l’affermazione che tali circostanze erano mere deduzioni, e contro ogni più elementare dato suggerito dall’esperienza, la circostanza che gli appunti che l’imprenditore ha vergato e conservato hanno rilevanza non secondaria ai fini in esame: vari erano i dati indicati nell’accertamento e che avrebbero meritato per il loro significato un maggiore approfondimento e soprattutto una valutazione unitaria e complessiva.

Anche il terzo motivo, con cui l’Agenzia censura l’affermazione che l’accertamento non contenesse una motivazione sufficiente, sotto il profilo della L. n. 212 del 2000, art. 7, va accolto.

Nella specie, l’avviso di rettifica (riportato in ricorso per autosufficienza) motivava rinviando non solo al p.v. della G. di F. consegnato alla parte, ma anche indicava le ragioni sottese all’accertamento e cioè emissione di fatture per operazioni non avvenute, specificando che a carico dell’emittente era pure stato disposto il rinvio a giudizio, e che non era stata esibita per tali fatture alcuna documentazione relativamente al trasporto, preventivi, ordini. Tanto appare sufficiente ad individuare la causa giustificativa del recupero impositivo ed a porre la società in grado di apprestare le proprie difese.

Al riguardo va anche sottolineato che occorre distinguere nettamente la questione relativa alla esistenza della motivazione dell’atto impositivo, quale “requisito formale di validità” dell’avviso di accertamento, dalla questione attinente, invece, alla indicazione ed alla effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che attiene alla fondatezza della pretesa.

Pertanto, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CIR della Sicilia, in diversa composizione, per un nuovo esame, in base ai principi sopra evidenziati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia (in diversa composizione) che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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