LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2339-2020 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
AZIENDA VINICOLA ALLA GROTTA s.r.l., in fallimento, persona del curatore fallimentare, Dott. S.A., rappresentata e difesa, per procura in calce al controricorso, dall’avv. Antonio Mario CAZZOLLA, ed elettivamente domiciliata in Roma, al viale Giuseppe Mazzini, n. 134, presso lo studio legale dell’avv. Giuseppe Mario CIPOLLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1071/14/2019 della Commissione tributaria regionale dell’EMILIA ROMAGNA, depositata in data 30/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.
RILEVATO
che:
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emessa ai fini IVA, IRES ed IRAP nei confronti dell’azienda vinicola Alla Grotta s.r.l. per recupero a tassazione dei costi relativi ad operazioni intercorse con la ditta Cuordivino di D.R.T. nell’anno d’imposta 2009, che l’amministrazione finanziaria riteneva oggettivamente inesistenti, la CTR con la sentenza impugnata, in parziale accoglimento dell’appello della società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, annullava l’avviso di accertamento con riferimento alla ripresa a tassazione ai fini IRES ed IRAP, confermando quella ai fini IVA. Sosteneva la CTR che, pur essendo provata che le vendite erano state effettuate “”in nero” da parte del reale fornitore” (il D.R.), essendo provata “la sostanziale inattività” di tale ditta, quelle intercorse tra le due ditte andavano qualificate come operazioni soggettivamente e non oggettivamente inesistenti, in quanto la ditta cedente “si era prestata ad emettere le fatture, a ricevere il pagamento e a stornarlo all’effettivo cedente”, la contribuente aveva pagato gli importi delle fatture e non vi era prova di restituzione dei corrispettivi, sicché i costi erano deducibili ai soli fini delle imposte dirette.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
3. Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.
CONSIDERATO
che:
1. Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni della controricorrente di improcedibilità ex art. 369 c.p.c. ed inammissibilità per difetto di autosufficienza del ricorso.
2. La prima eccezione è manifestamente infondata in quanto “In tema di giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 25, comma 2, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369 c.p.c., comma 3, a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte” (Cass. n. 28695 del 2017). A ciò aggiungasi che la mancata produzione in giudizio dei documenti richiamati nel ricorso è causa di improcedibilità dello stesso ex art. 369 c.p.c. solo ove non consenta di dedurre con certezza l’oggetto della controversia e le ragioni poste a fondamento della pronuncia. Circostanza nella specie niente affatto verificatasi (arg. da Cass. n. 14347 del 2020).
3. Del pari manifestamente infondata è l’eccezione di difetto di autosufficienza in quanto il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a porre questa Corte in grado di avere piena cognizione della controversia.
4. Venendo al merito, con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, art. 2697 c.c., TUIRD.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito con modificazioni dalla L. n. 44 del 2012, per avere la CTR, a fronte della rilevata fittizietà della ditta cedente qualificato le operazioni commerciali accertate come soggettivamente inesistenti pur in assenza di prova dell’effettività delle stesse; prova che incombeva sulla società contribuente e che non poteva desumersi dall’avvenuto pagamento delle fatture.
5. Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., sostenendo che la CTR, là dove aveva ritenuto che la ditta cedente “si era prestata ad emettere le fatture, a ricevere il pagamento e a stornarlo all’effettivo cedente”, senza che però risultasse provata dalla società contribuente l’esistenza di un reale fornitore, aveva violato “la consistenza dell’onere probatorio” gravante su quest’ultima.
6. Con il terzo motivo ha dedotto la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61 e art. 132 c.p.c., là dove la CTR non ha dato adeguata contezza delle ragioni per le quali dalla “sostanziale inattività della ditta fornitrice” aveva desunto che questa “si era prestata ad emettere le fatture, a ricevere il pagamento e a stornarlo all’effettivo cedente”.
7. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti.
8. In tema di inesistenza delle operazioni commerciali, è orientamento giurisprudenziale consolidato, a cui va dato continuità, quello secondo cui “nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ossia sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi, contesti anche l’indebita detrazione dell’I.V.A. e la deduzione dei costi, ha l’onere di provare che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari (Cass. n. 20059 del 24/9/2014; n. 15741 del 19/9/2012; n. 27718 del 11/12/2013; n. 9363 del 8/5/2015; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C- 439/04; 21 febbraio 2006, C255/02; 21 giugno 2012, Euro 80/11); a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tale ultima prova non può tuttavia consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili o vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 17619 del 5/7/2018; n. 5406 del 18/3/2016; n. 18118 del 14/9/2016; n. 28683/15; n. 428 del 14/1/2015; n. 12802 del 10/6/2011; n. 15228 del 3/12/2001)” (Cass. n. 6865 del 2019).
9. A tali principi non si è attenuta la CTR che, rilevata la “sostanziale inattività” della ditta cedente, ha affermato, peraltro senza fornire adeguata motivazione delle ragioni sottese al raggiunto convincimento e neppure degli elementi probatori che a ciò l’hanno indotta – così che quella si risolve in una motivazione meramente apparente (cfr. Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata) – che la ditta fornitrice si era “prestata ad emettere le fatture, a ricevere il pagamento e a stornarlo all’effettivo cedente”, mentre invece, una volta accertata l’idoneità degli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria in ordine alla fittizietà della cedente e delle operazioni commerciali intercorse con la società contribuente, avrebbe dovuto pretendere da quest’ultima la prova rigorosa e piena dell’effettività di quelle operazioni, ancorché intercorse tra soggetti diversi e, quindi, eventualmente, con l’indicazione del reale contraente/fornitore, ai fini della loro qualificazione come soggettivamente inesistenti, che comunque la CTR giammai poteva desumere, come invece erroneamente ha fatto, dall’intervenuto pagamento delle fatture.
10. Da quanto fin qui detto consegue l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla CTR territorialmente competente per nuovo esame della vicenda processuale da effettuarsi alla stregua dei principi sopra richiamati e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021
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