LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29672-2019 proposto da:
R.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DE SANCTIS 25, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, MAURO SFERRAZZA, VINCENZO TRIOLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 989/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa PONTERIO CARLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto l’appello di R.M.G. avverso la sentenza di primo grado, con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso; ha, tuttavia, respinto nel merito la domanda di parte appellante, in cassa integrazione, volta alla condanna dell’INPS al pagamento della somma dovuta a titolo di assegni familiari, per il periodo da febbraio a settembre del 2010;
2. la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto dimostrato l’avvenuto pagamento da parte dell’Istituto, attraverso la produzione dell’estratto archivio anagrafico e del tabulato per le prestazioni in pagamento;
3. avverso tale sentenza R.M.G. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui ha resistito l’INPS con controricorso; la ricorrente ha inoltre depositato istanza al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 376 c.p.c., comma 2;
4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO
che:
5. con l’unico motivo di ricorso R.M.G. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1199 e 2697 c.c.; degli artt. 115 e 116 c.p.c.; nonché omessa valutazione di una circostanza determinate, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
6. premesso che grava sul debitore che eccepisce l’avvenuto pagamento l’onere di fornirne la prova, la parte ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avere considerato prova idonea del pagamento una dichiarazione proveniente dallo stesso debitore e per non aver rilevato il contenuto confessorio della dichiarazione medesima, nel senso del mancato pagamento;
7. il ricorso non può trovare accoglimento;
8. deve anzitutto escludersi la violazione dell’art. 2697 c.c. atteso che i giudici di appello hanno correttamente attribuito all’Istituto l’onere di prova dell’avvenuto pagamento; neppure è fondata la censura di violazione degli artt. 115,116 c.p.c., rinvenibile, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014) nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.) o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale;
9. parimenti infondata è la dedotta violazione dell’art. 1199 c.c.; questa Corte ha precisato che “in tema di prova dell’estinzione satisfattiva del debito dell’ente pubblico previdenziale, la regola in base alla quale il debitore che effettui il pagamento ha diritto al rilascio della quietanza, ai sensi dell’art. 1199 c.c., non esclude che il pagamento possa essere provato per presunzioni, occorrendo, al fine di escludere l’ammissibilità di mezzi di prova diversi, un’apposita prescrizione di legge, al pari della disposizione contenuta nella legge di contabilità generale R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ex art. 55 e nel relativo regolamento (R.D. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 26 e s.s.) per i pagamenti eseguiti dallo Stato, non applicabili all’Inps. (Nella specie, in applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto raggiunta la prova dell’estinzione satisfattiva del debito dell’INPS sulla base della mancata contestazione da parte dell’assicurato e della compiuta indicazione dei dati del versamento da parte dell’Istituto previdenziale)” (Cass. n. 25251 del 2014; n. 23142 del 2009);
10. la censura che investe la lettura dei documenti prodotti dall’INPS al fine di dimostrare l’avvenuto pagamento e che si assume erronea in modo decisivo (v. Cass. 16812 del 2018; n. 19150 del 2016), è inammissibile in quanto formulata senza che il documento in questione fosse trascritto in modo integrale (nel corpo del ricorso è inserita una fotocopia parziale e non integralmente leggibile) e senza che lo stesso venisse depositato unitamente al ricorso per cassazione, come imposto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4;
11. per tali ragioni il ricorso deve essere respinto;
12. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;
13. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 300,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021
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