LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35342-2019 proposto da:
C.I., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIOVANNI RANDACCIO 1, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO MUSA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE PATRONELLI;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore e procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato LELIO MARITATO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI;
– controricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 646/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 27/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO
che:
La Corte d’Appello di Lecce ha accolto l’appello principale proposto dall’INPS e da S.c.c.I s.p.a. nei confronti di Agenzia delle Entrate Riscossione e di C.I. ed ha dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto, quanto alla liquidazione delle spese, da quest’ultima avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva accolto l’opposizione avverso avvisi di addebito notificati alla C. ed aventi ad oggetto il pagamento di differenze sull’importo dovuto per contributi dovuti per lavoratori dipendenti, derivanti dal ricalcolo della retribuzione prevista per i contratti di riallineamento in vigore nel 2006 e per la considerazione di un numero di ore di lavoro maggiore rispetto a quello osservato dai lavoratori agricoli a tempo determinato dipendenti da aziende del brindisino;
il primo giudice aveva dichiarato prescritta la pretesa dell’INPS individuando il dies a quo del relativo termine nella data entro la quale i datori di lavoro avrebbero dovuto inviare all’INPS i modelli DMAG;
la Corte d’appello ha osservato che la questione di fondo aveva formato oggetto di un vasto contenzioso per cui era stata esperita una prassi tendente ad ottenere in via prioritaria i pronunciamenti della Corte di cassazione;
sul punto ed a seguito di Cass. nn. 2432 e 3798 del 2019, le rappresentanze delle parti datoriali avevano invano cercato di raggiungere un accordo con l’INPS;
ciò premesso, la Corte territoriale ha condiviso, quanto all’individuazione del dies a quo della prescrizione, i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità con le sentenze nn. 2432 e 3798 del 2019 e, per il resto, ha condiviso la tesi dell’INPS in merito alla illegittimità delle modifiche apportate in sede di stipula ai contratti di riallineamento al fine di mantenere i vantaggi contributivi previsti dal D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 5;
quanto alle ore di lavoro sulle quali era stato calcolato l’importo, infine, la Corte ha rilevato che esse erano inferiori a quelle previste dal contratto di riallineamento perché parametrate ad un salario giornaliero riferito a 5 ore di lavoro e non a 6,50, come previsto dalla contrattazione provinciale di categoria;
nel caso di specie, inoltre, non si era in presenza di contratti part time formalmente stipulati, né le previsioni si riferivano ai soli lavoratori a tempo indeterminato, come preteso dalle aziende agricole;
la Corte d’Appello ha poi dichiarato assorbito l’appello incidentale; avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione C.I. sulla base di quattro motivi;
resiste l’INPS con controricorso;
la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.
CONSIDERATO
Che:
col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2935 c.c., D.L. n. 2 del 2006, art. 1, comma 6, conv. in L. n. 81 del 2006, art. 6, comma 14, D.L. n. 536 del 1987, conv. in L. n. 48 del 1988, D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17 e 18, e D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 6, comma 1, posto che i giudici d’appello avevano fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data di scadenza del termine per effettuare il pagamento dei contributi dichiarati, vertendosi invece in ipotesi di prescrizione del diverso diritto ad accertare eventuali differenze contributive non dichiarate dal contribuente;
con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.L. n. 388 del 1989, art. 1, commi 1 e 2, L. n. 463 del 1983, art. 7, del D.L. n. 11 del 1997, art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, della L. n. 608 del 1996, art. 5, come modificato dalla L. n. 196 del 1997, art. 23,artt. 1175,1337 e 1318 c.c., del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 5, comma 5, convertito dalla L. 28 novembre 1996, n. 608, e del D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 20, ed artt. 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto nulli e comunque inefficaci nei confronti dell’INPS gli accordi di riallineamento e gradualità sottoscritti in Provincia di *****, rispettosi invece delle richiamate disposizioni di legge o aventi efficacia di legge tra le parti;
con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 10,14,27,3040 e 45 c.c.n.l., per gli operai agricoli e florovivaisti 6 luglio 2006, D.Lgs. n. 66 del 2003, artt. 3 e 16, delle Dir. comunitarie n. 104 del 1993 c.c., e Dir. n. 2000/34/cc, D.M. 28 dicembre 1995, art. 5, comma 4, D.L. n. 510 del 1996, e dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui era stato riconosciuto il diritto dell’INPS a calcolare la contribuzione sulla base del salario giornaliero riferito a 6,50 ore piuttosto che a quello effettivamente svolto in azienda pari a 5 ore giornaliere;
con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 39 Cost., del D.L. n. 2 del 2006, art. 1,D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 20, della L. n. 389 del 1989, art. 1,D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 4, del c.c.n.l. 10 luglio 2002, art. 28, c.c.n.l. 6 luglio 2006, art. 28, c.p.L. della Provincia di Brindisi 20 settembre 2004, art. 19, della Delib. CIPE n. 42 del 2000, nella parte in cui la sentenza aveva ritenuto la ricorrente decaduta dal diritto agli sgravi ed alle agevolazioni fiscali previsti per le aziende operanti in zone svantaggiate a causa di una insussistente erroneità del calcolo della contribuzione dovuta;
il primo motivo, relative alla individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dell’obbligo contributivo in esame, è infondato dovendosi dare continuità alle ordinanze di questa Corte di cassazione n. 2432 e n. 3798 del 2019, né rileva, per l’inconsistenza dell’argomento, la differenziazione suggerita dalla ricorrente tra obbligo contributivo derivante da dichiarazioni del datore di lavoro ed obbligo contributivo in caso di mancata dichiarazione giacché l’obbligazione rimane quella contributiva soggetta alla medesima disciplina della prescrizione;
questa Corte ha affermato che in tema di contributi agricoli, il termine di prescrizione non decorre dalla data di presentazione delle denunzie periodiche della manodopera da parte del datore, ma dalla scadenza del termine fissato per legge per il pagamento degli stessi, dal momento che, per il “favor debitoris” costituente la “ratio” di tali previsioni, l’INPS non può esigere il pagamento prima della scadenza e, di conseguenza, non può decorrere la prescrizione, secondo il criterio generale di cui all’art. 2935 c.c.;
il secondo motivo, che complessivamente contesta la decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il programma di riallineamento contributivo del 2004 per ritenuta contrarietà al disposto del D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 5, convertito nella L. n. 608 del 1996, è infondato;
questa Corte di cassazione (vd. Cass. n. 25367 del 2019 e numerose altre conformi) ha ritenuto che:
il D.L. n. 510 del 1996, art. 5, convertito, con modificazioni, in L. n. 608 del 1996, ha introdotto, al dichiarato fine di sospendere “la condizione di corresponsione dell’ammontare retributivo di cui al D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 6, comma 9, lett. a), b) e c), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389”, l’istituto del riallineamento retributivo, più correttamente, l’adesione del datore di lavoro all’accordo di riallineamento retributivo con la previsione del graduale riallineamento dei trattamenti economici dei lavoratori ai livelli previsti nei corrispondenti contratti collettivi nazionali di lavoro;
si è riconosciuto, ai predetti accordi, validità pari a quella attribuita ai contratti collettivi nazionali di lavoro di riferimento, quale requisito per l’applicazione, a favore delle imprese, di tutte le normative nazionali e comunitarie. Sempre il richiamato art. 5, al comma 3, secondo periodo, prevedendo, quanto agli sgravi contributivi, che “l’applicazione nel tempo dell’accordo provinciale comporta la sanatoria anche per i periodi pregressi per le pendenze contributive ed a titolo di fiscalizzazione di leggi speciali in materia e di sanzioni a ciascuna di esse relative ovvero di sgravi contributivi, per le imprese di cui al comma 1”, rivela l’intento del legislatore di consentire al datore di lavoro, che aderisca all’accordo provinciale di riallineamento, di fruire dei benefici contributivi e della fiscalizzazione degli oneri sociali limitatamente ai lavoratori già dipendenti del datore di lavoro al recepimento dell’accordo provinciale incentivandolo con il graduale recepimento della contrattazione collettiva (al più tardi, entro trentasei mesi dal recepimento dell’accordo provinciale) e con lo sgravio contributivo quale conseguenza del dichiarato fine sospensivo richiamato nell’incipit del più volte richiamato art. 5;
il D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 5, convertito dalla L. n. 608 del 1996, testualmente recita quanto segue: “E’ ammessa una sola variazione ai programmi di riallineamento contributivo, compresi quelli già stipulati, limitatamente ai tempi ed alle percentuali fissati dagli accordi provinciali, purché tale modifica sia oggettivamente giustificata da intervenuti rilevanti eventi non prevedibili e che incidano sostanzialmente sulle valutazioni effettuate al momento della stipulazione dell’accordo territoriale, ed a condizione che l’intesa di aggiustamento sia sottoscritta dalle medesime parti che hanno stipulato il primitivo accordo”;
la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, commi 1-7, pur mantenendo fermo l’intero quadro normativo vigente in materia, ha integrato gli effetti della contrattazione da riallineamento sotto l’aspetto contributivo, prevedendo uno sgravio sulla retribuzione dovuta nella misura della L. n. 608 del 1996, art. 5, comma 4;
per tal motivo, la riapertura dei termini operata dalla norma è stata limitata alla sola possibilità di recepimento dei contratti già stipulati e non alla stipula ex novo di nuovi accordi provinciali di riallineamento; inoltre, in ossequio al dettato della Commissione Europea, la legittimità dell’aiuto statale alle imprese riposa sulla limitazione nel tempo;
così la L. n. 608 del 1996, art. 5, comma 2, aveva concesso 12 mesi di tempo per stipulare gli accordi territoriali e quelli aziendali di recepimento da depositare presso gli Uffici Provinciali del lavoro e presso le sedi dell’INPS;
si e’, quindi, avuta l’esplicita previsione normativa, introdotta solo con la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, dello sgravio contributivo concesso ai datori di lavoro che abbiano aderito ad un accordo di riallineamento entro un anno dalla decisione della Commissione delle Comunità Europee;
si è così stabilita una disciplina per favorire l’emersione del lavoro irregolare rivolta ai datori di lavoro che abbiano aderito ad un accordo già stipulati, limitatamente ai tempi ed alle percentuali fissati dagli accordi provinciali, purché tale modifica sia oggettivamente giustificata da intervenuti rilevanti eventi non prevedibili e che incidano sostanzialmente sulle valutazioni effettuate al momento della stipulazione dell’accordo territoriale, ed a condizione che l’intesa di aggiustamento sia sottoscritta dalle medesime parti che hanno stipulato il primitivo accordo”;
la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, commi 1-7, pur mantenendo fermo l’intero quadro normativo vigente in materia, ha integrato gli effetti della contrattazione da riallineamento sotto l’aspetto contributivo, prevedendo uno sgravio sulla retribuzione dovuta nella misura della L. n. 608 del 1996, art. 5, comma 4;
per tal motivo, la riapertura dei termini operata dalla norma è stata limitata alla sola possibilità di recepimento dei contratti già stipulati e non alla stipula ex novo di nuovi accordi provinciali di riallineamento; inoltre, in ossequio al dettato della Commissione Europea, la legittimità dell’aiuto statale alle imprese riposa sulla limitazione nel tempo;
così la L. n. 608 del 1996, art. 5, comma 2, aveva concesso 12 mesi di tempo per stipulare gli accordi territoriali e quelli aziendali di recepimento da depositare presso gli Uffici Provinciali del lavoro e presso le sedi dell’INPS;
si e’, quindi, avuta l’esplicita previsione normativa, introdotta solo con la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, dello sgravio contributivo concesso ai datori di lavoro che abbiano aderito ad un accordo di riallineamento entro un anno dalla decisione della Commissione delle Comunità Europee;
si è così stabilita una disciplina per favorire l’emersione del lavoro irregolare rivolta ai datori di lavoro che abbiano aderito ad un accordo di riallineamento nel termine annuale dalla decisione della Commissione delle Comunità Europee, per la durata del programma di riallineamento, e comunque per non più di cinque anni, con condizioni, anche temporali, e requisiti per fruire dello sgravio contributivo;
la citata Decisione della Commissione Europea in materia di aiuto di Stato n. 236/A/2000, contenente misure a favore della regolarizzazione dell’economia sommersa, è del 17.10.2000, per cui il termine ultimo di un anno di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 1, per il recepimento, da parte delle imprese, dei contratti di riallineamento, regolati ai sensi e alle condizioni del D.L. 10 ottobre 1996, n. 510, art. 5, scadeva il 17.10.2001;
nel caso di specie, la società ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto che l’accordo di riallineamento, di cui al contratto provinciale di lavoro 20 settembre 2004, art. 19, integrasse una seconda modifica dell’originario accordo, non consentita ai sensi del D.L. n. 510 del 1996, art. 5, e assume che la L. n. 608 del 1996, art. 5, non prevedeva, invece, alcuna limitazione all’arco temporale entro il quale dovesse concludersi il programma di riallineamento, né alcuna indicazione temporale per la stipula di un accordo di rimodulazione, rimesso alla disponibilità e discrezionalità delle contrapposte parti contrattuali con la conseguenza, per l’ente previdenziale, di dover prendere semplicemente atto della volontà delle parti contrattuali, di prolungare o reiterare, anche dopo il 2003, l’esperienza della gradualità retributiva, in ossequio alle previsioni del contratto collettivo nazionale all’epoca vigente, e di considerare tale retribuzione come base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, purché rispettosa dei minimali contributivi, come stabilito dalla L. n. 196 del 1997, art. 23;
la parte ricorrente, nell’illustrare il motivo, non nega che il dettato normativo ammetta una sola variazione ai tempi e alle percentuali fissate dagli accordi provinciali (D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 5), ma argomenta nel senso che quel dettato non impedisca sospensioni e successive riattivazioni purché giustificate e provenienti dalle stesse parti contrattuali, come nella specie la clausola di cui al contratto provinciale di lavoro del 2004, art. 19, costituente, per esplicita volontà delle parti contrattuali, non un nuovo accordo sibbene un’estensione dell’accordo di gradualità salariale già previsto dal contratto provinciale di lavoro scaduto il 31 dicembre 2003 e oggetto di sospensione applicativa in data 12 marzo 2002. Assume, per finire, che gli incrementi salariali previsti dal predetto accordo erano stati sospesi con successivi verbali, ed accordi, delle medesime organizzazioni sindacali firmatarie del contratto provinciale;
il motivo, in definitiva, non intacca la corretta ricostruzione posta in essere dalla Corte territoriale che ha ben chiarito, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata, che la variazione, pur di qualunque forgia e contenuto, poteva intervenire non più di una volta; il che rende il mezzo d’impugnazione anche carente quanto a specificità in quanto non tiene conto della ratio sottesa alla sentenza impugnata, sostanzialmente incentrata sulla indisponibilità del minimale contributivo previsto dalla speciale disciplina del riallineamento;
il terzo motivo, con il quale si intende incrinare la sentenza impugnata sotto l’ulteriore profilo della incidenza sul detto minimale dell’orario di lavoro previsto dal contratto collettivo di lavoro, è inammissibile in quanto non si confronta con la sentenza impugnata che ha correttamente affermato il principio secondo il quale il richiamo all’orario ordinario di lavoro indicato dal contratto collettivo ai fini del calcolo del minimale contributivo costituisce un parametron legale indisponibile; la sentenza ha, quindi, ritenuto che l’orario di lavoro su cui si parametra il minimale contributivo per quanto sopra detto è di 39 ore mensili e la disciplina dei “minimi salariali di area” non tollera decrementi retributivi neanche derivanti da riduzioni di orario di lavoro pattuiti tra le parti del rapporto di lavoro, mentre, nel caso di specie, si pretende, attraverso la riduzione in termini d’orario, di incidere sul calcolo della contribuzione senza neanche allegare la concreta sussistenza di contratti part time e basando l’assunto su di una interpretazione delle previsioni del c.c.n.l. 6 luglio 2006, (riportati ed allegati solo per stralci) che implica l’applicazione di disposizioni transitorie applicabili a concrete e storicamente realizzate situazioni cui non vi è traccia nella sentenza impugnata;
anche il quarto motivo, con il quale ci si duole del mancato riconoscimento del diritto agli sgravi è da rigettare;
da quanto sin qui esposto, risulta evidente che la ricorrente non ha dimostrato di aver maturato il diritto a fruire delle agevolazioni fondate sul rispetto del piano di riallineamento, dunque, non può riconoscersi il relative diritto, in applicazione del principio secondo il quale, in ogni caso, il diritto agli sgravi o alle agevolazioni è soggetto all’onere probatorio a carico di chi intende beneficiarne (sulla regola generale in ordine all’onere probatorio delle circostanze eccettuative dell’onere contributivo ordinariamente previsto, v., fra le tante, Cass. 3 maggio 2018, n. 10519);
al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo in favore solo dell’INPS, non avendo l’Agenzia delle Entrate Riscossione svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, nei confronti solo dell’INPS, in Euro 3000,00 per compensi, oltre ad giuro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 22 aprile 2020.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021