LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26690-2016 proposto da:
D.B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MOZZI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
FIDEURAM – INTESA SANPAOLO PRIVATE BANKING S.P.A. (già Banca Fideuram S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 22, presso lo studio dell’avvocato STUDIO GEMMA-TRONCI, rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELE SCIARRILLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3987/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/06/2016 R.G.N. 11303/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2021 dal Consigliere Dott. PICCONE VALERIA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
– con sentenza in data 8 giugno 2016, la Corte d’Appello di Napoli, confermando la decisione di primo grado, ha respinto l’impugnazione proposta da D.B.F. nei confronti della Banca Fideuram S.p.A., avverso la sentenza che aveva respinto l’opposizione da lui avanzata all’ingiunzione di pagamento per la somma di Euro 192,806,46 oltre accessori ed ha, altresì, disatteso la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, condannandolo alla rifusione delle spese di lite;
– in particolare, la Corte, seguendo il medesimo iter motivazionale di primo grado, ha valorizzato il contenuto del negozio intercorso fra le parti – circa l’attività di promotore finanziario del D.B. – e, segnatamente, la clausola che prevedeva l’erogazione, in favore dell’opponente, di un contributo mensile ad integrazione delle provvigioni maturate nel mese di competenza, per un periodo di sessanta mesi;
– con riguardo a tale specifica pattuizione, il giudice d’appello, condividendo l’assunto di primo grado, ha escluso la configurabilità della somma considerata in termini di minimo garantito, deducendo dalla definizione di “mero anticipo”, la chiara volontà delle parti di considerare la relativa erogazione di carattere provvisorio e, pertanto, come semplice acconto, suscettibile, a determinate condizioni, di ripetizione;
– la Corte ha, poi, escluso il carattere vessatorio della clausola e reputato corretta la valutazione del primo giudice circa l’irrilevanza della prova addotta da parte opponente in ordine al difetto del presupposto del mancato raggiungimento degli obiettivi – quale requisito per la restituzione degli anticipi;
– attesa la genericità della stessa;
– per la cassazione della sentenza propone ricorso D.B.F., affidandolo a sette motivi;
– resiste, con controricorso, la Fideuram – Intesa San Paolo Private Banking S.p.A..
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
– con il primo motivo di ricorso, si censura la decisione impugnata ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2 per violazione del contraddittorio;
– con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 1341 c.p.c., commi 1 e 2 e art. 1469 c.p.c.;
– con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 111 Cost., comma 1 e art. 426 c.p.c., con riguardo alla ritenuta tardività delle eccezioni concernenti la vessatorietà delle clausole;
– con il quarto motivo si allega la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 2697 c.c. e art. 421 c.p.c., in ordine alla mancata acquisizione della prova richiesta;
– con il quinto motivo si denunzia la violazione degli artt. 1218,1456 e 2697 c.c. e art. 412 c.p.c.;
– con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione dell’art. 429 c.p.c., sempre in relazione alla mancata ammissione della prova richiesta;
– con il settimo motivo si allega la violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 416 c.p.c., comma 2;
– i primi tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, non possono trovare accoglimento;
– va preliminarmente rilevato che, come definitivamente chiarito di recente dal Supremo Collegio (cfr., sul punto, S.U. n. 25573 del 12/11/2020) la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata;
quanto, poi, alla lamentata violazione dell’art. 1341 c.c., giova evidenziare che consolidata è la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. n. 20461 del 28/09/2020) nell’affermare che, in tema di condizioni generali di contratto, perché sussista l’obbligo della specifica approvazione per iscritto di cui all’art. 1341 c.c., comma 2, non basta che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contenuto del contratto in modo che l’altra parte non possa che accettarlo o rifiutarlo nella sua interezza, ma è altresì necessario che lo schema sia stato predisposto e le condizioni generali siano state fissate, per servire ad una serie indefinita di rapporti, sia dal punto di vista sostanziale, perché confezionate da un contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti, sia dal punto di vista formale, in quanto predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie;
– il difetto, in fatto, di tale presupposto, come accertato dal giudice di merito, con valutazione sottratta al sindacato di legittimità, induce ad escludere, con tranquillante certezza, la configurabilità della lesione lamentata;
– il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo, che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, non possono essere accolti;
– giova preliminarmente rilevare, al riguardo, che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra tante, Cass. n. 23940 del 2017);
– quanto alla lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c., va rilevato che, nel giudizio di legittimità deve essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia data il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, poiché l’interpretazione della domanda e la individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come tale, al giudice di merito e, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 21.12.2017 n. 30684);
– nel caso di specie, l’interpretazione della originaria domanda sul punto è stata adeguatamente argomentata dalla Corte territoriale che, conseguentemente, sempre con idonea motivazione, ha ritenuto difettosa di prova l’argomentazione avanzata;
– occorre, anzi, sottolineare come tutte le censure considerate, in realtà, nella sostanza, si traducano in doglianze concernenti la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta, mirando ad ottenere da questa Corte una rivisitazione del merito, inammissibile in sede di legittimità;
– in particolare, le censure di parte ricorrente si appuntano sul ragionamento probatorio, ampiamente argomentato dalla Corte la quale ha escluso di poter giungere a valutazione diversa da quella del primo giudice circa le richieste istruttorie atteso, ancor prima della genericità delle prove articolate, lo stesso difetto di allegazione circa argomenti a sostegno dell’addotto raggiungimento degli obiettivi che avrebbe inibito il recupero delle somme corrisposte a titolo di anticipo;
– va premesso che, come hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità;
– d’altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza t impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018);
– nel caso di specie, parte ricorrente non indica in alcun modo come fosse stata formulata l’originaria domanda né cerca di supplire a tale omissione allegandone stralci, onde appare impossibile a questa Corte stabilirne il tenore, allo scopo di poter valutare, senza incorrere in una rivisitazione del merito, inammissibile in sede di legittimità, il contenuto della stessa e la dedotta violazione interpretativa da parte della Corte d’appello, con le conseguenze in termini di inammissibilità dell’impugnativa ad essa riconnesse;
– va poi rilevato che, secondo quanto statuito recentissimamente dalle Sezioni Unite, per a violazione delle disposizioni che presiedono all’ammissione delle – prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione delle relative norme, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), ed inoltre anche una violazione dell’art. 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);
– nel caso di specie, del tutto generica appare la stessa censura del percorso; motivazionale di secondo grado anche in sede di legittimità, talché la stessa non può che essere disattesa;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto;
– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 6000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 14 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021
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