LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14105-2016 proposto da:
GRUPPO BASSO S.p.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO CASELLATI;
– ricorrenti –
contro
CRIVELLER CONTRACTING COMPANY S.r.l., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 36, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO POLONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO BARUFFI;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2747/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 02/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/02/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
– punto di partenza della presente lite è la lettera d’intenti (qualificazione oramai assodata in questa sede), sottoscritta fra la Gruppo B. S.p.A. ( B.) e la Criveller Contracting Company S.r.l. ( C.), il 2 luglio 2007;
– con tale lettera la Gruppo B. S.p.A., la quale aveva in corso la realizzazione di un complesso polifunzionale comprendente, fra l’altro, spazi ad uso direzionale e commerciale, oltre a una struttura alberghiera con annesso centro congressi, manifestava l’intenzione di affidare la fornitura e posa in opera degli arredi e delle finiture a C.;
– la scrittura prevedeva un termine per la stipulazione del contratto;
– tale termine, inizialmente indicato al 31 luglio 2007, fu poi posticipato d’accordo al 15 settembre 2007;
– per quanto interessa in questa sede, il Tribunale di Treviso, adito dalla B. sulla base della diversa configurazione della scrittura quale accordo definitivo, ha riconosciuto che fra le parti non fu concluso alcun contratto, caratterizzandosi la scrittura del 2 luglio 2002 quale lettera di intenti;
– ha riconosciuto ancora che fra le parti erano intervenute trattative in fase avanzata, che non erano sfociate nella conclusione del contratto per causa imputabile alla B., tenuta quindi, nei confronti della controparte, al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.;
– contro la sentenza proponeva appello principale la B. e appello incidentale la C.;
– l’appellante principale, sempre per quanto interessa in questa sede, deduceva che la responsabilità della rottura delle trattative fosse da imputare alla C. e non alla B.;
– censurava inoltre la liquidazione del danno operata dal primo giudice;
– la corte d’appello rigettava il primo profilo di censura e accoglieva in minima parte il secondo, riducendo il quantum del risarcimento;
– rigettava l’appello incidentale della C., inteso a ottenere un risarcimento maggiore, riconoscendo che, trattandosi di responsabilità precontrattuale, la liquidazione operata dal primo giudice era stata correttamente circoscritta nei limiti dell’interesse negativo;
– per la cassazione della sentenza B. S.p.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi;
– C. ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a quattro motivi;
– B. ha depositato controricorso al ricorso incidentale;
– entrambe le parti hanno depositato memoria in vista dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO
che:
– il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1337 c.c.;
– la lettura della sentenza d’appello autorizza l’illazione che la corte di merito abbia riconosciuto che le trattative furono interrotte con lo scambio di corrispondenza intervenuto fra le parti il 26 settembre 2007;
– si sostiene che la suddetta identificazione temporale non tiene conto che le trattative proseguirono fino al 5 ottobre 2007;
– in tale data ci fu una riunione fra le parti nel corso della quale C. ha proposto un programma di lavori diverso, che B. non ha accettato;
– il rifiuto di aderire al nuovo programma naturalmente non può costituire fonte di responsabilità ai sensi dell’art. 1337 c.c.;
– il motivo è inammissibile;
– la ricorrente, infatti, non denuncia alcuna violazione della norma, nel significato chiarito da questa Corte (Cass. n. 640/2019), ma si duole della mancata considerazione di un fatto: in particolare di ciò che era avvenuto nella riunione del 5 ottobre 2007, per la cui dimostrazione – precisa ancora la ricorrente principale – la B. aveva articolato capitoli di prova erroneamente non ammessi;
– così identificato il contenuto della censura, è inutile chiedersi se vi siano margini per operare la diversa qualificazione del motivo, quale denuncia non di violazione di legge, ma di omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
– e ciò non solo perché la mancata ammissione dei capitoli non ha costituito oggetto di censura, ma anche perché il motivo in ipotesi appropriato incorreva nella preclusione della c.d. doppia conforme, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., applicabile nella specie ratione temporis, trattandosi di giudizio d’appello introdotto dopo l’11 settembre 2012, D.L. 83 del 2012, ex art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012;
– il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1337 c.c.;
– la corte d’appello, nell’esaminare la corrispondenza intercorsa fra le parti il giorno 26 settembre 2007, ha invertito l’ordine logico e temporale degli eventi;
– ha considerato il tenore della corrispondenza inviata da B., contenente la richiesta di una ulteriore proroga per la firma del contratto definitivo, quale espressione del rifiuto ingiustificato di concludere proficuamente la trattativa in corso, senza avvedersi che quella corrispondenza costituiva una risposta a una lettera di pari data della stessa C., con la quale questa aveva già manifestato la volontà di recedere;
– il motivo è inammissibile;
– ancora una volta, sotto la veste della violazione di legge, si intende accreditare una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dalla corte d’appello;
– si deve aggiungere che la corte d’appello ha operato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, che non si è fermata alla considerazione della singola corrispondenza;
– sulla base di tale valutazione complessiva ha ravvisato nella condotta della B. l’espressione dell’intenzione di non concludere il contratto neanche nel termine del 17 settembre 2007, indicato nella richiesta di proroga del precedente 21 settembre 2007;
– tanto ciò è vero che la corte di merito ha poi identificato nella data del 5 ottobre 2007 quella di definitiva interruzione delle trattative;
– il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2056,1223 e 2697 c.c.;
– la sentenza è oggetto di censura in tre punti riguardanti la liquidazione: a) la condanna al risarcimento del danno comprendente l’acquisto di materiale che la C. avrebbe potuto utilmente riutilizzare nella propria attività: la prova dell’impossibilità dell’utile riutilizzo spettava alla C.; b) la condanna al risarcimento del danno ha incluso non solo le spese sostenute, ma anche quelle da sostenere; c) sono stati accordati la rivalutazione e gli interessi a partire dal 5 ottobre 2007 sulla totalità delle somme, comprese le spese non ancora sostenute;
– i profili di censura sub a) e b) sono infondati;
– la sentenza impugnata, nella parte in cui si imputa all’appellante di non avere fornito la prova della possibilità del reimpiego del materiale acquistato, è in linea con la giurisprudenza della Corte: la prova della compensatio lucri cum damno è a carico di chi propone le relativa eccezione (Cass. n. 8853/2017; n. 1562/2010; n. 77/2003);
– invero, “il principio secondo il quale il risarcimento, mirando a ristabilire il patrimonio del danneggiato nello stato in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, non deve costituire fonte di lucro per il danneggiato stesso, onde se dal fatto dannoso sia derivato anche qualche vantaggio, questo deve essere valutato e sottratto all’ammontare della perdita, presuppone per la sua applicazione che il debitore abbia fornito la prova dell’assunto arricchimento dell’altra parte, e non si sia limitato ad indicare un possibile o anche probabile vantaggio” (Cass. n. 58/1962);
– sulla censura sub b) (risarcimento del costo del materiale non ancora pagato), la corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui per la risarcibilità del danno patrimoniale futuro è sufficiente la prova che il danno si produrrà secondo una ragionevole e fondata attendibilità, non potendosene pretendere l’assoluta certezza (Cass. n. 495/1987);
– in tema di liquidazione del danno, la locuzione “perdita subita”, con la quale l’art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il vinculum imi s, nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare (Cass. n. 4718/2016; n. 22826/2010);
– è fondato invece l’ultimo profilo di censura di cui al motivo in esame;
– la corte d’appello, dovendosi operare la liquidazione del danno al momento della pronuncia, ha correttamente incluso nel computo anche le spese che la parte non aveva ancora sostenuto in quel momento, procedendo alla loro rivalutazione;
– tuttavia, sulla somma relativa avrebbe dovuto calcolare l’incidenza dell’anticipata corresponsione, rispetto all’epoca futura in cui le stesse avrebbero dovuto essere in concreto sborsate (Cass. n. 1484/1994);
– erroneamente, invece, la corte d’appello ha accordato la rivalutazione sull’intera somma, senza distinguere fra le spese sostenute e quelle ancora da sostenere;
– la sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione a tale aspetto;
– il primo motivo del ricorso incidentale censura la sentenza (violazione e falsa applicazione degli artt. 167-183 c.p.c.) nella parte in cui la corte d’appello ha affermato che la B. avrebbe tempestivamente e ritualmente contestato la domanda risarcitoria;
– il motivo è manifestamente infondato;
– come ha esattamente riconosciuto la corte d’appello, la B. aveva contestato in radice la domanda risarcitoria e non c’era perciò bisogno di una specifica contestazione delle singole voci del risarcimento;
– il secondo motivo e il terzo motivo censurano la sentenza per violazione dell’art. 1337 c.c.;
– i motivi sono infondati;
– la sentenza impugnata, laddove la corte d’appello ha negato che fosse risarcibile la perdita di utile, è certamente in linea con i principi della responsabilità precontrattuale, non essendo risarcibili i lucri e i vantaggi che il contraente avrebbe potuto realizzare se il contratto fosse stato concluso (Cass. n. 12313/2003; n. 4718/2016);
– si deve rimarcare che il mancato utile è cosa diversa dalla “diminuzione patrimoniale patita in ragione delle attività sprecate a favore di Gruppo B. nelle more delle prolungate trattative” (pag. 18 del controricorso);
– è analogamente infondata, in ragione dei medesimi principi, la pretesa di liquidare le spese generali sulla totalità dei lavori oggetto del futuro contratto (quarto motivo);
– in quanto al fatto che non siano stati computati nel danno il non avere preso in considerazione altri incarichi, il rilievo allude a un principio esatto (Cass. n. 4719/2016);
– tuttavia, trattasi di questione di cui non c’e’ alcuna menzione nella sentenza impugnata, per cui la ricorrente, a pena di inammissibilità della censura, avrebbe dovuto chiarire se e in che termini (Cass. n. 20694/2018) fu dedotta in appello l’esistenza di contratti non conclusi a causa dell’affidamento riposto nel positivo esito delle trattative in corso con la B.;
– in quanto alla mancata considerazione dei vantaggi conseguiti da B. per l’attività svolta da C. in vista della conclusione del contratto, i medesimi non sono risarcibili ai sensi dell’art. 1337 c.c., ma avrebbero al limite giustificato l’azione di indebito arricchimento, compatibile con l’azione di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale (cfr. Cass. 4620/2012);
– (nel controricorso al ricorso incidentale si assume che tale azione era stata proposta da C.);
-in conclusione, sono infondati il primo e il secondo motivo del ricorso principale; il terzo motivo del ricorso principale è fondato nei limiti di cui sopra;
– il ricorso incidentale è infondato;
-la sentenza deve essere cassata in relazione al terzo motivo del ricorso principale e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione affinché, nella liquidazione del danno futuro, tenga conto del criterio di cui sopra;
-la corte di rinvio liquiderà le spese del presente giudizio;
ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”.
PQM
accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il terzo motivo del ricorso principale; rigetta il primo e il secondo motivo dello stesso ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 17 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021
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