LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 38671-2019 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
OLLO STORE DI F.F. & C. SNC, nonché F.F., F.M., F.L., in qualità di legali rappresentanti della suddetta società, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ORLANDO FABIO MASSIMO, rappresentati e difesi dall’avvocato SIMONI ROBERTO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1564/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della TOSCANA, depositata il 13/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI PRISCOLI LORENZO.
RILEVATO
Che:
la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della società contribuente avverso avvisi di accertamento IVA per gli anni d’imposta 2010 e 2011, emessi sul presupposto che la parte contribuente fosse beneficiaria finale di operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere dalla fornitrice World trading s.r.l., quest’ultima considerata soggetto meramente interposto tra la parte contribuente società “cartiere”: riteneva la Commissione Tributaria Provinciale che la parte contribuente fosse partecipe di una c.d. “frode carosello”;
la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello della parte contribuente affermando in diritto che perché possa configurarsi una frode carosello occorre che l’Ufficio provi la consapevolezza, in capo alla parte contribuente, del ciclo frodatorio e in fatto che tale prova non è stata raggiunta in quanto gli elementi forniti dall’Ufficio non sono sufficienti: in particolare di nessun significato sono le circostanze relative alla trattative d’acquisto tramite Skype, la sussistenza di uno iato cronologico fra l’emissione della fattura e l’invio della merce o fra quest’ultimo e il pagamento del materiale acquistato, la richiesta della parte contribuente a World trading s.r.l. di reperire merce proveniente da un “canale Europeo”.
Avverso la suddetta sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato ad un motivo di impugnazione e in prossimità dell’udienza deposita memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre la parte contribuente si costituisce con controricorso e in prossimità dell’udienza deposita memoria insistendo affinché il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
Sulla proposta del relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
CONSIDERATO
Che:
Con il motivo d’impugnazione, dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, nonché dei principi della Corte di Giustizia UE formulati nelle sentenze 12.1.2006 (in cause C-354/03, 355/03, 484/03) e 6.7.2006 (in cause C-439/04, 440/04).
Il motivo è infondato e il rigetto del ricorso rende superfluo l’esame delle eccezioni di improcedibilità e di inammissibilità proposte dalla controricorrente.
Secondo questa Corte, infatti:
in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass. n. 15369 del 2020; Cass. n. 27566 del 2018).
La Commissione Tributaria Regionale si è attenuta ai suddetti principi là dove – affermando in diritto che, perché possa configurarsi una frode carosello, occorre che l’Ufficio provi la consapevolezza, in capo alla parte contribuente, del ciclo frodatorio e in fatto che tale prova non è stata raggiunta in quanto gli elementi forniti dall’Ufficio non sono sufficienti: in particolare di nessun significato sono le circostanze relative alla trattative d’acquisto tramite Skype, la sussistenza di uno iato cronologico fra l’emissione della fattura e l’invio della merce o fra quest’ultimo e il pagamento del materiale acquistato, la richiesta della parte contribuente a World trading s.r.l. di reperire merce proveniente da un “canale Europeo” – ha svolto una corretta applicazione del suddetto principio ponendo correttamente in capo all’Ufficio l’onere della prova della suddetta frode e non ritenendo raggiunta tale prova, seguendo un iter motivazionale ragionevole, che non può essere oggetto di contestazione in sede di legittimità.
Per il resto, le doglianze della ricorrente, pur formalmente volte a denunciare una violazione di legge, finiscono per investire e contestare la valutazione di merito della Commissione Tributaria Regionale e sono quindi insuscettibili di poter essere valutate in Cassazione attraverso la denuncia di un vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in quanto con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 5811 del 2019; Cass. n. 27899 del 2020).
In effetti, la valutazione da parte del giudice del merito dei dati istruttori offerti da entrambe le parti non è sindacabile in questa sede oltre i limiti, già esaminati, della congruità del ragionamento inferenziale, avuto riguardo alla fattispecie normativa applicabile nel caso di specie.
Infatti, “In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso” (Cass. n. 3541 del 2020), fattispecie che non è stata denunciata e che comunque non ricorre nel caso di specie. Ne’, comunque, può essere censurata in sede di legittimità la scelta operata dal giudice del merito – ai fini della valutazione della pregnanza di un determinato elemento indiziario, come anche di un coacervo di elementi- circa la selezione e la valutazione degli elementi, rientrando tali attività (di apprezzamento e di valutazione dell’idoneità degli elementi presuntivi) nei poteri del giudice del merito, incensurabili in sede di legittimità, se sorretti da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass. n. 29540 del 2019; Cass. n. 12002 del 2017). Così come è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione (Cass. n. 1234 del 2019).
Dunque il motivo di impugnazione è infondato e conseguentemente il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% dei compensi e agli accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021