LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6802-2016 proposto da:
B.P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo studio dell’avvocato FABIO PULSONI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati DANIELA BRIOLI, SILVIA MARESCA;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO VIA *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO, 45, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MATTEO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LILIANA CIROCCO, BRUNO SAZZINI;
F.F., erede di F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MALCESINE, 30, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PORCELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BIAVATI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 563/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 19/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/05/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
viste le conclusioni motivate, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
vista la memoria depositata dal ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. B.P.P. ha proposto ricorso articolato in sette motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 563, pubblicata il 19 marzo 2015.
Resistono con distinti controricorsi il Condominio di Via *****, e F.F., erede di F.A., morta in data *****.
2. La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Bologna il 20 novembre 2008, ha accertato il diritto di proprietà di B.P.P. su tutte le porzioni immobiliari di cui alla compravendita del 6 ottobre 1998 conclusa con F.A.; ha determinato il confine fra tali proprietà e quelle limitrofe comuni secondo le risultanze della CTU; ha dichiarato il diritto di B.P.P. di spostare il cancello pedonale di entrata all’edificio condominiale per un tratto sufficiente a consentire l’apertura di un passo carraio sul cortile di sua proprietà esclusiva. La sentenza impugnata ha altresì respinto le domanda di garanzia per evizione proposta dal B. nei confronti di F.A., nonché la domanda dallo stesso avanzata di risarcimento dei danni per la perdita del posto auto e per il “forzoso slittamento” dei lavori edili rispetto all’originario programma.
La Corte d’appello di Bologna ha ritenuto infondate le eccezioni di usucapione avanzate dal Condominio di Via ***** per l’acquisto della servitù di passaggio sul vialetto interno di accesso al fabbricato, insistente su area di proprietà esclusiva B., nonché della servitù di “parcheggio” sull’area esterna alla recinzione condominiale (particelle ***** del mappale *****) venduta da F.A. al B.. I giudici di secondo grado hanno affermato che l’attività di parcheggio delle autovetture non concreta una utilità per il fondo dominante, e cioè per il fabbricato condominiale, ma soltanto per i proprietari delle singole unità immobiliari. Parimenti non provato è stata reputato il passaggio continuato per venti anni da parte di tutti i condomini attraverso il cancello esistente sul subalterno ***** del mappale *****, atteso che l’atto di vendita da parte del dante causa di F.A. risaliva al 1979, quello stipulato da quest’ultima era del 14 settembre del 2000 e la domanda del B. era stata notificata il 30 ottobre 2000, mentre la costituzione del Condominio di Via ***** risaliva quantomeno al 1980 (data del quarto anno di compravendita).
Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va superata l’eccezione svolta in memoria dal ricorrente circa la inammissibilità del controricorso Condominio di Via *****, potendosi intendere sufficiente che il controricorso, inteso soltanto a contrastare l’impugnazione altrui, non contenga, agli effetti dell’art. 370 c.p.c., comma 2, che richiama l’art. 366 c.p.c., comma 1, una autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, ma si limiti, come nella specie, a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata ovvero alla narrazione di essi contenuta nel ricorso (ex multis, Cass. Sez. 3, 21/09/2015, n. 18483).
1. Il primo motivo del ricorso di B.P.P. censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2055,1292,1293,1294 c.c., nonché la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), per avere la Corte d’appello ritenuto che la domanda risarcitoria fosse stata proposta nei soli confronti del Condominio di Via ***** e non anche avverso F.A., in considerazione della natura solidale dell’obbligo.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 832,2727,2729,2697 c.c., per aver esaminato solo alcune componenti del danno risarcibile, quali la perdita del posto auto o di più posti auto per l’impossibilità di servirsi del cortile e i maggiori costi sopportati per la realizzazione dei lavori.
Il terzo motivo allega la violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per la carente e/o insufficiente motivazione circa la limitazione della pronuncia al solo Condominio e alle voci di danno richiamate in motivazione, con esclusione del resto.
Il quarto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 61,191,161 c.p.c. e art. 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto meramente esplorativa e inammissibile la richiesta CTU, avente carattere percipiente.
Il quinto motivo del ricorso di B.P.P. si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223,2056 e 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., perché la sentenza impugnata non ha esaminato i profili del lucro cessante e ha esaminato solo in parte i profili del danno emergente.
Il sesto motivo allega la violazione degli artt. 1223,1226,2056 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per il mancato esame dei profili di lucro cessante e segnatamente del danno da perdita di chances, nonché dell’eventuale valutazione equitativa dei danni.
Il settimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 96 e 132 c.p.c., nonché la violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere escluso l’esistenza dei presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. dei resistenti, ed in particolare del Condominio, in ragione della ritenuta complessità della controversia.
2. I primi sei motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in forza della loro connessione, attenendo tutti al rigetto delle pretese risarcitorie di B.P.P.. Le censure rivelano comuni profili di inammissibilità, attesa la carenza di riferibilità alle rispettive rationes decidendi della sentenza impugnata (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) e sono comunque del tutto infondate.
2.1. La sentenza di appello contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. La Corte d’appello di Bologna ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di F.A., essendo stata respinta la domanda di evizione proposta in via subordinata da B.P.P. a titolo di garanzia contro la propria dante causa per il caso in cui fossero stati accertati i diritti del Condominio. La sentenza impugnata ha così inteso che, una volta accertati il pieno diritto di proprietà di B.P.P. su tutte le porzioni immobiliari di cui alla compravendita del 6 ottobre 1998, come il diritto del medesimo attore di spostare il cancello pedonale di entrata all’edificio condominiale, il compratore non aveva più ragione alcuna per avvalersi dell’azione di garanzia per evizione contro la venditrice, giacché azione inevitabilmente subordinata all’esito del contemporaneo accertamento del diritto del Condominio terzo sul bene alienato. Trova in tal senso giustificazione l’argomentazione addotta dalla sentenza impugnata secondo cui le restanti domande risarcitorie rimanevano proposte “nei confronti del solo Condominio”.
La domanda del B. di condannare ” F.A. e/o il Condominio convenuto, secondo i rispettivi titoli e per quanto di rispettiva competenza… anche se del caso in via solidale” per tutti i danni conseguenti le contestazioni di causa non è stata perciò oggetto di omessa pronuncia, passibile di censura per violazione dell’art. 112 c.p.c., come ipotizza il ricorrente. La domanda verso la convenuta F. è stata piuttosto correttamente interpretata dai giudici del merito alla stregua della motivazione che sorregge sul punto la decisione della Corte d’appello di Bologna. L’attore, come fatti costitutivi di un medesimo evento dannoso ed in funzione di un unico di risarcimento del danno, aveva dedotto, in via logicamente alternativa, a fondamento di domande distinte ed autonome nei confronti di ciascuno dei convenuti, da un lato il comportamento illecito del Condominio di Via *****, che pretendeva di avere diritti di servitù su porzione della proprietà esclusiva B., dall’altro il comportamento illecito della venditrice F. per l’eventuale danno da evizione.
2.2. La sentenza impugnata ha poi respinto la domanda del B. per il risarcimento dei danni cagionati dalla “perdita del posto auto”, cagionato dalla perdita della possibilità di avvalersi dell’area cortiliva, non avendo l’attore dimostrato di aver subito esborsi (riconducibili, ad esempio, alla necessità di prendere in locazione altri spazi) ed apparendo soltanto “esplorativa” la CTU richiesta.
Del pari, la Corte di Bologna ha reputato non provata, sia nell’an che nel quantum, la pretesa di risarcimento per il “forzoso slittamento” dei lavori edili rispetto all’originario programma, che ne prevedeva la definizione nel primo semestre dell’anno 2000, con riguardo alle spese per la installazione di un secondo cantiere, all’incremento dei costi di mano d’opera e materiali, agli esborsi per ispezioni, perizie, rilievi, ecc.
2.3. In ordine alla prima voce risarcitoria, il ricorrente allega il “fatto incontestato” della mancata fruizione dell’area cortilig4 sia a titolo personale, con le relative utilità o comodità, che mediante concessione del godimento a terzi a titolo oneroso.
Quanto al primo profilo, questa Corte ha più volte sostenuto, sin da remoti precedenti, che il proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento di un terzo diretto a limitare tale uso e godimento costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene e legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica, mediante cessazione di tale turbativa e ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, ma anche il risarcimento dei danni; arrivando spesso alla conclusione che il danno, in tale ipotesi, è in re ipsa, in quanto automatica conseguenza della limitazione del godimento e della diminuzione temporanea del valore della proprietà, senza neppure che vi sia necessità di una specifica attività probatoria, salva concreta determinazione del danno stesso in sede di liquidazione, cui eventualmente procedere anche in via equitativa. In tal senso, l’azione risarcitoria si dice volta a porre rimedio all’imposizione di una servitù di fatto, causa di un inevitabile perdita di valore del fondo che si produce per l’intero periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso (cfr. indicativamente, ancora di recente, Cass. Sez. 6 – 2, 09/11/2020, n. 25082; Cass. Sez. 6 – 2, 13/05/2019, n. 12630; Cass. Sez. 2, 31/08/2018, n. 21501; Cass. Cass. Sez. 2, 16/12/2010, n. 25475; ed invece, in epoca ben più risalente, Cass. Sez. 2, 03/10/1974, n. 2576; Cass. Sez. 2, 23/02/1965, n. 299; Cass. Sez. 2, 21/07/1962, n. 2007).
Vanno altresì richiamate altre pronunce di questa Corte che, parallelamente all’analogo percorso seguito per i danni non patrimoniali, negano l’astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene, affermando la necessaria correlazione della medesima risarcibilità al rapporto causale intercorrente tra “condotta materiale”, “evento lesivo” e “conseguenza dannosa”, sicché identiche risulterebbero le esigenze di prova sia per l’an che per il quantum – del danno non patrimoniale o patrimoniale (cfr. ad esempio, Cass. Sez. 3, 25/05/2018, n. 13071; Cass. Sez. 3, 04/12/2018, n. 31233; Cass. Sez. 3, 24/04/2019, n. 11203).
In realtà, anche allorché si confuta in giurisprudenza la configurabilità di un danno in re ipsa subito dal proprietario per l’indisponibilità della cosa, si riconosce comunque all’interessato la facoltà di darne prova mediante ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio, onerando lo stesso di indicare tutti gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui quali, in presenza dei requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c., possa desumersi l’esistenza e l’entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito.
Il danno patrimoniale correlato alla limitazione del godimento ed alla diminuzione temporanea del valore della proprietà imporrebbe, così, per scongiurare la meccanica identificazione del danno risarcibile con l’evento dannoso, quanto meno l’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di impiegare l’immobile per finalità produttive nel periodo della sua illegittima occupazione, atteso che il consentito utilizzo in materia delle presunzioni attiene all’attività probatoria e non anche a quella assertiva. E’ al riguardo, peraltro, difficile superare l’obiezione, diffusa in dottrina, secondo cui non vale, in concreto, a garantire la risarcibilità del danno-conseguenza da occupazione di immobile la sola imposizione di un onere di allegazione che consenta al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo comunque così in re ipsa la prova del pregiudizio.
Nella specie, dalla sentenza impugnata si ricava appunto che il B. non avesse adempiuto nemmeno al minimo onere di allegazione che potesse consentire ai giudici del merito di far uso delle presunzioni sull’esistenza dei danni collegati al mancato utilizzo dell’area di parcheggio, e il ricorso, in particolare nel secondo motivo, non specifica, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il “come” e il “quando” i fatti, fatti posti a sostegno della correlata pretesa risarcitoria, fossero stati analiticamente precisati dall’attore nel giudizio di primo grado prima della maturazione delle preclusioni assertive e di quelle istruttorie.
2.4. Tanto meno in re ipsa, e perciò tanto più condizionata ad una tempestiva specificazione degli elementi di fatto su cui si fonda la domanda, è la richiesta di risarcimento dei danni per il verificarsi di aumenti del costo dei materiali e della mano d’opera dovuti alla ritardata esecuzione di opere edilizie, che l’attore intendeva imputare alla condotta illecita del convenuto Condominio.
Il ricorso, nel fare elenco di elementi di fatto che dovevano fondare il danno risarcibile (in particolare nel quinto motivo) omette di specificare ulteriormente, come imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, “come” e “quando” tali fatti erano stati allegati e quali istanze l’attore aveva rivolto al Tribunale ed alla Corte d’appello nei propri scritti difensivi, prima della maturazione delle preclusioni sulla definizione del “thema decidendum”.
2.5. Si trattava, in ogni caso, di allegare e provare danni che non richiedevano, ai fini dell’accertamento della loro esistenza, la soluzione di particolari problemi tecnici, sicché la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio, certamente utile per la liquidazione degli stessi danni, ove quanto meno utilmente allegati, costituisce espressione di un potere discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità.
3. E’ infondato anche il settimo motivo di ricorso. La Corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. dei resistenti, ed in particolare del Condominio, in ragione della ritenuta “complessità della controversia”.
La responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 1, integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, sicché non può farsi luogo all’applicazione della norma nel caso di soccombenza reciproca (tra le tante, Cass. Sez. 2, 14/04/2016, n. 7409), configurabile anche quando siano accolte alcune e rigettate altre domande proposte nei confronti della stessa parte.
La Corte d’appello di Bologna, nell’escludere la condanna ex art. 96 c.p.c., ha comunque illustrato le ragioni per cui il comportamento del convenuto Condominio non integrava mala fede o colpa grave, e tale valutazione di merito non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della denunziata violazione di legge.
4. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato e, in ragione della soccombenza, il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti Condominio di Via *****, e F.F. le spese del giudizio di cassazione, negli importi liquidati in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in favore del Condominio di Via *****, in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, ed in favore di e F.F. in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021
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