LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31331/2019 proposto da:
SO.G.I.N. – Società Impianti Nucleari S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t. elettivamente domiciliata in Roma, Viale Liegi, 28 presso lo studio dell’Avvocato Antonio Grieco, che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al presente atto;
– ricorrente –
contro
S.I.C. S.r.l., e S.E.I.C.O. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., domiciliate in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentate e difese dall’Avvocato Vincenzo Scolavino, per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4855/2019 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 15/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.
FATTI DI CAUSA
1. SO.G.I.N. – Società Impianti Nucleari S.p.A. ricorre per cassazione con due motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, in accoglimento dell’appello principale e di quello incidentale, rispettivamente proposti da SO.G.I.N., da S.I.C. S.r.l. e S.E.I.C.O. S.r.l., quest’ultima in veste di parziale cessionaria del credito, ha condannato SO.G.I.N. al pagamento della somma di Euro 234.705,18 a titolo di risarcimento dei danni, riserve, ritenute sai ed interessi, in relazione al contratto di appalto stipulato da SO.G.I.N. con S.I.C. per la ricostruzione di un edificio della centrale nucleare del *****, da adibire a deposito per rifiuti radioattivi.
E’ stata in tal modo respinta l’impugnazione della committente nell’apprezzata illegittimità della risoluzione intimata in danno della appaltatrice ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136, commi 1, 2 e 3, quanto al contratto di appalto concluso tra le parti ed accolta la contraria ed eguale istanza dell’impresa.
In siffatto quadro la Corte di merito, all’esito di nuova consulenza tecnica di ufficio disposta nel grado, ha ritenuto che in seguito ad una serie di modifiche apportate ai progetti, meritevoli di perizia di variante per originarie carenze – in esito alle quali l’affidataria aveva eseguito, “in via sperimentale”, le relative opere al solo fine di dare soluzione ai problemi rappresentati dalla committenza -, non era configurabile il grave inadempimento di SIC (così per la difforme esecuzione delle fiorettature verticali a rinforzo del piano interrato della costruzione), legittimante la risoluzione intimata in data 9 maggio 2007 da SO.G.I.N., leggendo, invece, nella descritta vicenda l’inadempimento della committenza.
2. Resistono con controricorso S.I.C. S.r.l. e S.E.I.C.O. S.r.l.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo ia ricorrente fa valere la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, all. F, artt. 340, 341 R.D. n. 350 del 1895, art. 27, del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136 in relazione alla illiceità della risoluzione contrattuale intimata da SO.G.I.N. In ordine alla risoluzione del contratto di appalto, la Corte d’Appello aveva proceduto a valutare i soli contenuti della missiva di avvio della procedura D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136 limitando la propria valutazione al tema della irregolare esecuzione delle “fiorettature”, in tal modo omettendo di apprezzare il complessivo comportamento dell’appaltatrice i cui inadempimenti, insieme alle ripetute violazioni delle norme sulla sicurezza del lavoro, per le quali il titolare era stato sottoposto a procedimento penale, avevano pregiudicato il normale rapporto di fiducia tra impresa e responsabili della realizzazione dell’opera.
La circostanza che l’impresa avesse comunicato solo dopo le prove di trazione che gli inghisaggi al piano interrato erano stati effettuati “per prova”, con l’uso di un modesto quantitativo di resina, dimostrava la condotta subdola ed inadempiente della prima ed il venir meno del vincolo fiduciario che aveva legittimato la risoluzione del contratto.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonché dell’alt, art. 2697 c.c. in relazione alla “mancata contestazione” di SO.G.I.N. di parte delle somme richieste dall’appaltatrice e riconosciute in sentenza per l’importo di Euro 129.641,92.
Il giudice di primo grado erroneamente aveva riconosciuto, distintamente, la quantificazione delle riserve effettuata dal consulente tecnico di ufficio per Euro 3.766,26 e quale voce autonoma le lavorazioni eseguite e non contabilizzate da SIC per Euro 153.701,90.
3. Il primo motivo è inammissibile.
3.1. La risoluzione intimata da SO.G.I.N. D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 136 è fondata, pacificamente, sui lavori di fiorettatura contestati all’impresa come realizzati in modo difforme da quanto previsto nel contratto di appalto.
Su siffatta premessa in fatto resta fermo il principio circa il carattere “chiuso” del giudizio introdotto all’esito della risoluzione intimata dalla stazione appaltante, per atto unilaterale ed autoritativo pronunciato in autotutela D.P.R. n. 163 del 2006, ex art. 136 in forza del quale l’oggetto dell’accertamento giudiziale resta definito dai termini di contestazione portati dalle parti all’interno del procedimento e non può estendersi a differenti condotte di inadempimento.
3.2- In materia di appalto di opere pubbliche, nel giudizio introdotto dall’appaltatore davanti al giudice ordinario nei confronti della stazione appaltante che abbia risolto unilateralmente ed autoritativamente il contratto, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, All. F, art. 340, comma 2, la valutazione giudiziale della legittimità dell’operato della P.A. o, comunque, del complessivo contegno delle parti deve essere condotta entro i limiti delle ragioni addotte e dei comportamenti dalle stesse posti in essere durante lo svolgimento della vicenda contrattuale, conclusa per effetto del provvedimento in autotutela, non essendo consentito – in ragione del principio dell’immutabilità della “causa petendi”, nonché dei suoi fatti costitutivi, anche quando è in contestazione la legittimità del provvedimento di rescissione – né alla P.A. di immutare le ragioni del provvedimento di rescissione, né all’appaltatore di modificare quelle addotte per contestarne la legittimità e neppure al giudice di sostituirle d’ufficio (Cass. 20/11/2015, n. 23813).
3.3. L’indicato provvedimento si traduce nella potestà dell’amministrazione, di risolvere autoritativamente ed unilateralmente il contratto quando l’appaltatore si renda colpevole di frode o di grave negligenza o di contravvenzione agli obblighi ed alle condizioni stipulate (Cass. n. 8534 del 2000) e tale mezzo di autotutela della stazione appaltante, essendo inidoneo ad incidere sulle posizioni di diritto soggettivo di ciascuna delle parti perché inerenti ad un contratto di natura privatistica (Cass. n. 1217 del 2000; SU n. 95 del 2001), non preclude all’appaltatore di contestarne la legittimità davanti al G.O. sia per ragioni sostanziali che procedurali al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti (Cass. n. 1642 del 1998; SU n. 1224 del 1976).
Ne’ è consentito ad entrambe le parti (e quindi anche alla p.A. committente) di chiedere, previa disapplicazione in via incidentale del provvedimento, la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte ex art. 1453 c.c. e ss. (ovvero per altra causa: cfr. Cass. n. 1217 del 2000), in tal caso obbligando il giudice, come del resto accade nelle fattispecie ordinarie, a procedere alla comparazione delle relative condotte, all’eventuale individuazione di reciproci inadempimenti (art. 1455 c.c.), e, quindi, all’accertamento della loro gravità mediante un apprezzamento complessivo, e non frazionato, del rapporto obbligatorio, con la conseguente pronuncia costitutiva tipica di questa normativa (in termini: Cass. n. 423 del 2007; Cass. n. 167 del 2005).
Là dove l’appaltatore deduca la mancanza di specifici presupposti per l’emissione del provvedimento risolutorio adottato in autotutela dalla p.A., ovvero vi contrapponga fatti giustificativi del proprio inadempimento – come è accaduto nel caso concreto – l’indagine del giudice, pur restando autonoma, cioè non vincolata alle risultanze sulle quali l’Amministrazione si è basata per far valere il suo diritto potestativo (Cass. n. 17499 n. 2008), deve rimanere necessariamente limitata alla valutazione circa l’effettiva sussistenza delle indicate situazioni e la corrispondente configurabilità del suddetto potere senza possibilità di sostituirvi ragioni di illegittimità, temi di indagini o, addirittura, azioni diverse da quelle proposte (Cass. SU n. 5841 del 1984).
3.4. A quanto rilevato si aggiunga che la Corte d’Appello ha escluso nella fattispecie in esame l’esistenza di una riconvenzionale della committente diretta ad estendere, al di là delle condotte contestate nel provvedimento unilaterale di cui all’art. 136 cit., ad ulteriori inadempimenti la domanda di risarcimento proposta, apprezzando a tal fine come generica ed inidonea la domanda di SO.G.I.N. che aveva richiesto l’accertamento del proprio diritto al risarcimento del danno senza sollecitare una valutazione complessiva delle condotte di controparte con conseguente inammissibilità, per loro novità, dei diversi contenuti.
3.5. Quale ulteriore profilo di inammissibilità vero è che per la portata censura la ricorrente deduce una erronea ricognizione della fattispecie a mezzo delle risultanze di causa e quindi per un procedimento che è estraneo al sindacato di legittimità e proprio invece della valutazione del giudice del merito che investe la ricostruzione del fatto materiale (Cass. 05/2/2019, n. 3340; Cass. 03/12/2019, n. 31546; Cass. 13/03/2018, n. 6035).
3.6. Ne’ la proposta critica da, poi, conto dell’errata interpretazione dell’art. 136 cit. non evidenziando per quali contenuti la norma consenta invece una valutazione complessiva dell’inadempimento imputabile all’appaltatore oltre le condotte rappresentate nel provvedimento solutorio.
3.7. E’ ancora inammissibile l’ulteriore contenuto della proposta censura là dove controdeduce al rilievo dei giudici di appello, secondo il quale la riconvenzionale della stazione appaltante è generica, non rappresentando, puntualmente, l’esistenza di ragioni di inadempimento diverse da quelle contestate con il provvedimento in autotutela mirando la prima a sollecitare, per la prima volta, rivalutazioni del fatto non fatte valere tempestivamente in giudizio.
4. Il secondo motivo sull’ammontare della riserva n. 9 e, segnatamente, sulle ulteriori somme richieste dall’impresa per aggiornamento della riserva stessa – relativa a opere contrattuali non eseguite fino alla data del 9 maggio 2007 che, ritenute non contabilizzate dalla direzione lavori hanno portato il valore della prima da Euro 24.059,98 ad Euro 153.701,87 – poi riconosciuta dai giudici di appello nella minore misura di Euro 129.641,92, non vale ad attaccare la motivazione sul punto resa dalla Corte di merito.
I giudici di appello hanno motivato dalla tardività della deduzione formulata in primo grado soltanto in sede di memoria istruttoria dall’impresa appaltatrice, per poi dedurre da siffatta ritenuta condotta processuale la conclusione sul carattere “non contestato” delle somme ulteriori.
4.1. L’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una “non contestazione”, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 28/10/2019, n. 27490; Cass. 03/05/2007, n. 10182).
Nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto a medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass., 07/02/2019, n. 3680).
4.2. Il motivo è comunque infondato.
La corte d’Appello ha ritenuto che l’impresa abbia tardivamente contestato in lite, in modo specifico, la debenza delle somme richieste in aggiornamento della riserva a tanto provvedendo soltanto nelle memorie istruttorie (p. 24 sentenza).
Come chiarito da questa Corte, la valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all’esaurimento della fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modificare, sia allegando nuovi fatti – diversi da quelli indicati negli atti introduttivi – sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte; in particolare, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall’attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall’art. 183 c.p.c., risultando preclusa, all’esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall’esercizio della facoltà deduttiva (Cass. 02/12/2019, n. 31402).
L’indicato principio va ulteriormente precisato nel senso che, agli effetti del giudizio sulla “non contestazione” dei fatti allegati dalla controparte, l’apprezzamento del giudice del merito deve essere correlato al vigente regime delle preclusioni in rito e può spingersi sino a valutare in termini di retrattabilità i primi sino alla prima memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 che, destinata alle precisazioni o modificazioni delle domande, eccezioni e conclusioni già proposte, vale a dare definizione al tema di decisione.
La seconda memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, – i cui contenuti sono di mera reazione alle iniziative avversarie e sono, come tali, destinati alle repliche rispetto alle domande ed eccezioni nuove o modificate dall’altra parte nella prima memoria ed alla proposizione di eccezioni che sono conseguenza delle prime, oltre che alla prima indicazione dei mezzi di prova e delle produzioni documentali – non può valere a porre in contestazione, in modo puntuale e per la prima volta in giudizio, “fatti non contestati” e rispetto ai quali, nel consolidarsi delle preclusioni processuali e, segnatamente, nel decorso del termine di cui alla prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, si sia venuto a definire il tema di decisione.
Si torna a dire quindi che, in corretta applicazione del precisato principio, la Corte d’Appello di Roma ha ritenuto intempestiva la contestazione dei fatti costitutivi della pretesa avanzata dall’impresa per ulteriori somme richieste in aggiornamento della riserva n. 9, già genericamente contestata nella sua spettanza nella comparsa di costituzione e risposta (p. 24 cit.).
La Corte di merito ha infatti rilevato che la contestazione ai fatti costitutivi della pretesa azionata è stata portata in modo puntuale solo con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, quella istruttoria, definita dalla disciplina ratione temporis applicabile (da valere ex art. 2, comma 3, lett. e ter), del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 1, comma 1, lett. a), ed ex art. 2, comma 3 quinquies, come sostituito dalla L. n. 263 del 2005, art. 1, comma 6, modificato dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater convertito con modificazioni nella L. n. 51 del 2006, per la quale l’indicata disposizione, a decorrere dal 1 marzo 2006 con applicazione ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, risultando il giudizio introdotto con citazione notificata in primo grado il 5 novembre 2009), per i contenuti suoi propri che sono di mera replica ai fatti avversari.
5. Il ricorso è pertanto, ed in via conclusiva, infondato e va rigettato.
La ricorrente va condannata a pagamento delle spese di lite secondo soccombenza come in dispositivo indicato.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a S.I.C. S.r.l. e S.E.I.C.O. S.r.l. le spese di lite che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021