Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.24890 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25540-2017 proposto da:

D.S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE XXI APRILE 11, presso lo studio dell’Avvocato CORRADO MORRONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato CHIARA DE SIMONE;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA, *****, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA BARBERINI 12, presso lo studio dell’Avvocato ALFONSO MARIA PAPA MALATESTA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5191/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/01/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO.

FATTI DI CAUSA

1. D.S.C. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 5191/16, del 5 settembre 2016, della Corte di Appello di Roma, che – rigettando il gravame da esso esperito contro la sentenza n. 2587/11, dell’11 ottobre 2011, del Tribunale di Latina – ha confermato, per quanto qui ancora di interesse, la declaratoria di inammissibilità della domanda di risarcimento danni, proposta dall’odierno ricorrente nei confronti del concessionario del Servizio nazionale di Riscossione per la Provincia di Latina (oggi, Agenzia delle Entrate-Riscossione) e del funzionario responsabile, B.A., in relazione alla illegittima iscrizione di ipoteca, su beni immobili di sua proprietà, per l’importo complessivo di Euro 51.234.00, pari al doppio del credito iscritto a ruolo e non pagato al momento dell’iscrizione.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di avere impugnato, nel luglio 2004, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, una cartella esattoriale di pagamento, dell’importo complessivo di Euro 23.649,07, emessa a titolo di imposte e interessi per ritardata iscrizione a ruolo, notificatagli dall’allora concessionario del Servizio nazionale di Riscossione per la Provincia di Latina, Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a.

Sul presupposto dell’illegittimità della cartella, l’adito giudice tributario accoglieva l’istanza cautelare, sospendendo l’esecuzione del provvedimento.

Di seguito, tuttavia, ed esattamente il 7 dicembre 2004, il D.S. riceveva comunicazione – da parte del suddetto concessionario, con firma in calce del funzionario B.A. – di iscrizione di ipoteca su beni immobili di sua proprietà, per il già ricordato importo complessivo di Euro 51.234.00, pari al doppio del credito iscritto a ruolo e non pagato al momento dell’iscrizione.

Radicato, pertanto, procedimento ex artt. 700 e 669-bis c.p.c., con ricorso depositato il 15 dicembre 2004, il D.S. chiedeva al Tribunale di Latina, in via d’urgenza, la cancellazione dell’ipoteca.

Con ordinanza cautelare del 1 febbraio 2005, l’adito Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere (essendo intervenuta, in data 30 dicembre 2004, la cancellazione dell’ipoteca da parte del concessionario), fissando, pertanto, termine per introduzione del giudizio di merito, destinato a definire anche le spese del giudizio.

Instaurato il giudizio di merito, nel quale si costituiva la società Equitalia Gerit S.p.a., poi divenuta Equitalia Sud S.p.a., subentrata alla Banca Monte dei Paschi di Siena (nella qualità di acquirente del ramo di azienda relativo all’attività di riscossione tributi), la causa veniva istruita solo documentalmente. All’esito di essa, il Tribunale di Latina dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di cancellazione dell’ipoteca, nonché l’inammissibilità di quella risarcitoria proposta dall’attore, ritenendo quest’ultima preclusa a norma dell’art. 96 c.p.c., comma 2.

Proposto gravame dal D.S., lo stesso veniva rigettato dal giudice di appello.

3. Avverso la decisione della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione il D.S., sulla base di quattro motivi.

3.1. Il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77 e art. 2818 c.c., comma 2, nonché degli artt. 24,111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e, in particolare, all’obbligo di adottare un’interpretazione restrittiva delle norme che pongono preclusioni al diritto di agire in giudizio.

Si censura, in particolare, la sentenza impugnata laddove essa ha applicato anche all’ipoteca esattoriale i principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di ipoteca giudiziale, senza considerare le differenze tra le due fattispecie, così ponendo un ostacolo all’esperimento dell’ordinaria azione aquiliana ex art. 2043 c.c., optando per un’applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2, in contrasto con le disposizioni costituzionali e la norma CEDU sopra richiamate, alla stregua delle quali deve ritenersi che la disposizione processuale “de qua” sia di stretta interpretazione, e non suscettibile di estensione analogica.

Si deduce, altresì, l’omessa considerazione sia della natura esattoriale dell’ipoteca iscritta e della oggettiva impossibilità di applicare, rispetto ad essa, il canone della normale prudenza ex art. 96 c.p.c., comma 2, sia del fatto che l’iscrizione ipotecaria risulta avvenuta in violazione dell’ordinanza con cui il giudice tributario aveva sospeso, in via cautelare, l’impugnata cartella esattoriale.

3.2. Il secondo motivo – nuovamente proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – denuncia, innanzitutto, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dei principi disciplinanti il processo innanzi alle commissioni tributarie, in particolare dell’art. 19 suddetto decreto legislativo, nella formulazione “ratione temporis” applicabile, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77 oltre che, nuovamente, dell’art. 2043 c.c. e art. 96 c.p.c., comma 2, nonché degli artt. 24,111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, con particolare riferimento al principio secondo cui la domanda risarcitoria deve poter essere provata in riferimento a tutte le voci di danno reclamate e con tutti i mezzi previsti dall’ordinamento.

Si rileva, infatti, come la domanda di risarcimento danni non potesse, nella specie, trovare ingresso nel giudizio tributario, e ciò in ragione dell’evoluzione da esso conosciuta, nonché della sua stessa struttura. In particolare, si evidenzia come la pretesa risarcitoria non potesse essere introdotta mediante la proposizione di motivi aggiunti, dal momento che, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24 l’esercizio di siffatto potere è ipotizzabile solo contestualmente al deposito di documenti non conosciuti, ad opera delle altre parti o per ordine della Commissione tributaria. D’altra parte, poi, il giudizio tributario risulta imperniato sull’impugnazione del provvedimento impositivo, sicché l’indagine demandata al giudice è circoscritta ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’amministrazione, come dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado.

Inoltre, nel caso di specie, la domanda risarcitoria risultava avere ad oggetto voci di danno (danno biologico ed esistenziale, danno all’immagine professionale, perdita di chance, danno alla vita di relazione e danno morale) in relazione alle quali non sarebbe stato possibile configurare la giurisdizione del giudice tributario. Altrettanto sarebbe a dirsi, poi, quanto alla pretesa risarcitoria instaurata nei confronti del funzionario B.A..

La sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare le circostanze da ultimo indicate, ed inoltre che, in ragione dell’avvenuta cancellazione dell’ipoteca, il rapporto con l’incaricato alla riscossione dovesse considerarsi esaurito e, dunque, non più sindacabile innanzi alla giurisdizione tributaria.

3.3. Il terzo motivo – al pari dei precedenti proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che, a prescindere dall’applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 96 c.p.c., comma 2, la domanda risarcitoria sarebbe stata comunque infondata nel merito, in difetto di prova in ordine ai danni lamentati dal D.S..

Si ritiene che, così pronunciandosi, la Corte romana abbia violato o falsamente applicato l’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., nonché gli artt. 24 e 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 CEDU (con pregiudizio del diritto degli istanti all’ammissione delle prove articolate a sostegno della propria domanda), incorrendo, inoltre nel difetto di motivazione in ordine alle molteplici voci di danno allegate, con violazione anche dell’art. 1226 c.c. e dei principi in tema di ammissione delle prove orali. E’ denunciato, altresì, un vizio di omesso esame, in relazione ai fatti comprovati dalla documentazione in atti, ovvero l’insussistenza del debito del D.S., la posteriorità dell’iscrizione ipotecaria rispetto alla sospensione cautelare della cartella, nonché l’esistenza dello stesso danno riportato dall’interessato. Si assume, infatti, che dalla documentazione in atti emergerebbero tutti gli elementi idonei a consentire una liquidazione quantomeno equitativa del danno, soprattutto in relazione alla pubblicità della iscrizione ipotecaria e alla segnalazione Cerved, dovendo ritenersi il danno, anche all’immagine, “in re ipsa”.

In questo modo, pertanto, il giudice di appello sarebbe incorso in una motivazione apparente, o quantomeno gravemente difettosa in ordine alla prova del danno.

3.3. Il quarto motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ipotizzando violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e ss. e dei principi in tema di liquidazione delle spese, anche in rapporto al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, oltre che motivazione apparente o quantomeno apodittica sulle spese.

Si censura, in particolare, l’insufficiente liquidazione delle spese per la fase cautelare, nonché, soprattutto, l’ingiusta compensazione delle spese per la fase di merito, perché la condanna delle controparti di esso D.S. avrebbe dovuto fare seguito all’accoglimento della domanda risarcitoria.

Si assume, inoltre, il carattere del tutto apodittico della motivazione secondo cui la liquidazione delle spese sarebbe “perfettamente in linea con i valori medi fissati nelle tariffe professionali allora vigenti, in relazione al valore della controversia”.

4. L’Agenzia delle Entrate ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

5. E’ rimasto solo intimato il B..

6. Già fissata, per la trattazione del presente ricorso, udienza pubblica del 19 febbraio 2019 (in vista della quale il ricorrente depositava memoria), con provvedimento adottato direttamente in udienza veniva disposto rinvio a nuovo ruolo, per consentire al ricorrente di comprovare l’avvenuta notificazione del ricorso proprio al B..

Nell’imminenza della presente udienza, è stata depositata produzione documentale attestante l’avvenuta notificazione al medesimo, “illo tempore”, del suddetto ricorso.

7. Il ricorrente ha depositato nuova memoria, ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito indicati.

8.1. In via preliminare, infatti, va disattesa l’eccezione di inammissibilità dei primi due motivi di ricorso, sollevata dalla controricorrente.

Essa, in particolare, ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe fatto esplicita applicazione del principio della “ragione più liquida”, rigettando, pertanto, la domanda risarcitoria del D.S. sul presupposto dell’assenza di prova in ordine ai danni dallo stesso lamentati, ciò che renderebbe irrilevante ogni questione relativa alla applicabilità, o meno, dell’art. 96 c.p.c., comma 2, anche all’ipoteca esattoriale.

Reputa, per contro, questo collegio che il riferimento al principio della “ragione più liquida”, pur contenuto nella sentenza impugnata, sia errato.

Il giudice di appello, infatti, ha affermato, in prima battuta, che “l’art. 96 c.p.c., comma 2, è applicabile in via analogico-estensiva a tutti i giudizi tributari in cui siano impugnati avvisi di accertamento tributario ovvero cartelle di pagamento”, così confermando, tra l’altro, la statuizione di inammissibilità della domanda, alla quale era pervenuto il primo giudice, rilevando, difatti, che i primi tre motivi di gravame (che investivano proprio questa problematica) “non colgono nel segno”.

A dispetto, dunque, del richiamo al principio della “ragione più liquida”, la Corte capitolina ha definito il giudizio mediante una conferma della già ritenuta inammissibilità della domanda, ciò che conferisce all’affermazione relativa all’insussistenza della prova del danno carattere di argomento “ad abundantiam”, come tale sottratto alla necessità dell’impugnazione (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 10 aprile 2018, n. 8775, Rv. 648883-01; nello stesso senso Cass. sez. Lav, sent. 22 ottobre 2014, n. 22380, Rv. 633495-01).

Occorre, infatti, dare seguito al principio -. enunciato da questa Corte al suo massimo livello nomofilattico – secondo cui, qualora il giudice, “dopo una statuizione di inammissibilità” (tale dovendosi ritenere, come detto, quella della Corte territoriale, secondo cui l’art. 96 c.p.c., comma 2 “e’ applicabile in via analogico-estensiva a tutti i giudizi tributari in cui siano impugnati avvisi di accertamento tributario ovvero cartelle di pagamento”, donde l’inammissibilità della domanda fatta valere in autonomo giudizio), “con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito” (qui costituite da quelle relative all’assenza di prova del danno), “la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare” le stesse, sicché “e’ ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2007, n. 3840, Rv. 595555-01; in senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. 2, sent. 2 maggio 2011, n. 9647, Rv. 616900; Cass. Sez. Un., sent. 17 giugno 2013, n. 15122, Rv. 626812-01; Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 17004, Rv. 636624-01; Cass. Sez. 6-5, ord. 9 dicembre 2017, n. 30393, Rv. 646988-01; Cass. Sez. 1, ord. 16 giugno 2020, n. 11675, Rv. 657952-01).

8.2. Ciò premesso, individuata la sola “ratio decidendi” utilmente scrutinabile in quella fondata sull’applicazione “analogico-estensiva” dell’art. 96 c.p.c., comma 2, i primi due motivi di ricorso, che investono tale statuizione, risultano fondati.

8.2.1. Deve, invero, farsi applicazione di quanto affermato recentemente dalle Sezioni Unite di questa Corte, tra l’altro proprio con riferimento ad una controversia – eguale, sotto il profilo della sua scansione cronologica, a quella presente – avente “ad oggetto un’iscrizione ipotecaria eseguita ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1972, n. 603, art. 77”, comunicata al ricorrente “con atto dell’agente della riscossione” al quale “si applica ratione temporis la disciplina anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 26-quinquies, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che ha ampliato la categoria degli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, ad esse devolvendo espressamente anche le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del provvedimento d’iscrizione di ipoteca sugli immobili, al quale l’Amministrazione finanziaria può ricorrere in sede di riscossione delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 31 maggio 2016, n. 11379, Rv. 639974-01).

Secondo il Supremo Collegio, infatti, “qualora la domanda di risarcimento dei danni sia basata su comportamenti illeciti tenuti dall’Amministrazione Finanziaria dello Stato o di altri enti impositori, la controversia, avendo ad oggetto una posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario, è devoluta alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, non potendo sussumersi in una delle fattispecie tipizzate che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, rientrano nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie; infatti, anche nei campo tributario, l’attività della P.A. deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, per cui è consentito al giudice ordinario – al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato accertare se vi sia stato, da parte dell’Amministrazione, un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo” (così Cass. Sez. Un., sent. n. 11379 del 2016, cit.).

Su tali basi, pertanto, si è ritenuto che “la domanda proposta nei confronti del concessionario per la riscossione dei tributi, avente ad oggetto il comportamento asseritamente illecito prospettato come causa del danno lamentato e del risarcimento preteso – tenuto da quest’ultimo nel procedere all’iscrizione di ipoteca ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77 appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, integrando l’indagine sulla legittimità di tale condotta” (peraltro, nel caso che qui occupa, legittimità esclusa proprio dal giudice tributario con apposita pronuncia) “una mera questione pregiudiziale, e non una causa di natura tributaria avente carattere pregiudiziale e, in quanto tale, da decidersi da parte del giudice munito della corrispondente giurisdizione” (così, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 11379 del 2016, cit.).

8.2.2. Il primo e il secondo motivo di ricorso vanno, dunque, accolti (con assorbimento dei restanti) e la sentenza impugnata va cassata in relazione, rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese anche del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti il terzo e il quarto, e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi – in forma camerale, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176 -, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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