Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24896 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19947-2019 proposto da:

CENTRO FUTURA SRL, rappresentata e difesa dall’avvocato ARTURO TESTA, ed elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO N. 18, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI RIZZO;

– ricorrente –

contro

ASL NAPOLI ***** CENTRO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 10, presso lo studio dell’avvocato PAOLA PEZZALI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2579/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/03/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

la A.S.L. Napoli ***** Centro propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso ad istanza della Centro Futura s.r.l per il pagamento di prestazioni di riabilitazione, relative al mese di *****, effettuate in regime di accreditamento provvisorio col S.S.N.;

il Tribunale di Napoli revocò il d.i. (ritenendo non dovuti gli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002), ma condannò l’opponente al pagamento dell’importo capitale già ingiunto di 70.913,52 Euro, maggiorato degli interessi legali;

provvedendo sul gravame della Azienda Sanitaria Locale Napoli ***** Centro, la Corte di Appello, “in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza appellata”, ha rigettato “la domanda della (…) società, confermando la revoca del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale”, con compensazione delle spese di lite;

la Corte ha ritenuto che la Centro Futura non avesse “fornito la debita prova di tutti i fatti costitutivi della propria pretesa creditoria; in particolare, ha affermato che:

“a) il soggetto che si assuma creditore nei confronti di un’azienda sanitaria locale del corrispettivo delle prestazioni sanitarie erogate dopo il 1996 a soggetti assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale in quanto titolare di una struttura all’uopo provvisoriamente accreditata ha l’onere di fornire la prova, necessariamente documentale (…), (anche) del provvedimento di accreditamento provvisorio emesso in suo favore e del contratto da lui stipulato con l’azienda sanitaria locale che asserisca sua debitrice; b) la mancanza di tale prova è rilevabile anche d’ufficio dal giudice innanzi al quale penda, pure se in grado di appello, una controversia avente ad oggetto un siffatto diritto di credito e comporta il rigetto della domanda di chi di tale diritto allega di essere il titolare”;

il principio secondo cui sia i provvedimenti adottati sia i contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni sono soggetti, ad substantiam, al requisito della forma scritta “impone che la loro prova in giudizio possa essere data soltanto (…) mediante la (tempestiva) produzione dei documenti originali che li rappresentano direttamente o di una loro copia e dunque non anche mediante documenti depositati tardivamente come la copia del contratto stipulato tra le parti per l’anno 2008 che è pacifico che la parte appellata ha per la prima volta prodotto in giudizio allegandola alla sua comparsa conclusionale del 28 novembre 2017, o semplici presunzioni, quali quelle che in sostanza la società appellata vorrebbe che nella specie fossero tratte dai documenti da essa tempestivamente prodotti in giudizio, nessuno dei quali riproduce il detto contratto, e/o dal comportamento tenuto sia prima che nel corso del giudizio”;

“né, d’altronde, la società appellata può ritenersi provvisoriamente accreditata o comunque titolata all’erogazione delle prestazioni sanitarie”, in quanto l’efficacia della convenzione stipulata il 6.10.1993 è “comunque venuta meno al più tardi il 30 giugno 1996”;

ha proposto ricorso per cassazione la soc. Centro Futura s.r.l., affidandosi a due motivi illustrati da memoria; ha resistito, con controricorso, la ASL Napoli ***** Centro;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 167 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” e censura la Corte per avere “ritenuto che, pur in assenza di contestazione da parte della A.S.L. Napoli ***** e, anzi, in espresso riconoscimento da parte di quest’ultima, che il Centro Futura dovesse provare la propria qualità di soggetto provvisoriamente accreditato con il S.S.N.”, rilevando altresì che “identico ragionamento e(ra) da farsi con riguardo alla intervenuta sottoscrizione da parte del Centro Futura del contratto per l’anno 2008 nel cui ambito la stessa A.S.L. non ha contestato che rientravano le prestazioni oggetto di causa, assumendo una difesa incompatibile con la negazione della predetta condizione, ferma la circostanza per cui tale prova è stata fornita ab origine, avendo il Centro Futura prodotto in atti attestazione rilasciata dalla stessa A.S.L. Napoli ***** comprovante la sottoscrizione del contratto in data 05.02.2008”;

il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 atteso che omette di trascrivere (quanto meno nella parte necessaria a supportare l’illustrazione delle censure) i documenti richiamati, e ciò sia in riferimento all’esistenza dell’accreditamento col S.S.N. che in relazione al contratto del 2008, sulla cui base è stato richiesto il pagamento delle prestazioni effettuate nel mese di *****;

in particolare, evoca la citazione in opposizione senza indicare se e dove essa sarebbe esaminabile in quanto prodotta nel presente giudizio di legittimità e senza nemmeno – ai sensi di Cass. Sez. Un., n. 22726 del 2011 – dichiarare di voler fare riferimento alla sua presenza, in ipotesi, nel fascicolo d’ufficio del giudice di appello ed eventualmente all’interno di esso nel fascicolo di primo grado ivi ipoteticamente acquisito; da che consegue che la Corte non è messa in condizione di esaminare quanto si dice nel motivo; inoltre, fa riferimento ad un contratto del 2008, che si dice prodotto in sede monitoria, senza considerare che la sentenza lo dice inammissibilmente prodotto con la conclusionale di appello; con riferimento a tale documento, omette altresì di individuare sia il contenuto che l’atteggiamento di non contestazione della controparte;

per di più, il motivo svolge le deduzioni in punto di violazione del principio di non contestazione senza contrastare specificamente – a monte – l’assunto della Corte circa la necessità che del credito venisse fornita prova documentale, essendo fondato su provvedimenti e contratti che, in quanto stipulati con una pubblica amministrazione, richiedevano la forma scritta ad substantiam;

il secondo motivo denuncia “violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” e censura la sentenza rilevando che la Centro Futura aveva provato la propria qualità di soggetto provvisoriamente accreditato col S.S.N. con la tempestiva produzione in giudizio del rapporto di convenzione del 6.3.1993, della DGRC n. 491 del 2006 e della Delib. A.S.L. Napoli ***** n. 35 del 2006; aggiunge che non era necessaria neppure la produzione in giudizio del contratto con la A.S.L., risultando sufficiente “la sola prova relativa alla intervenuta sottoscrizione”; prova che era stata fornita mediante la tempestiva produzione della certificazione della A.S.L. di avvenuta sottoscrizione del contratto in data 5.5.2008;

il motivo è inammissibile giacché evoca l’art. 2697 c.c. senza denunciare un erroneo riparto dell’onere della prova, ma prospettando una diversa ricostruzione/lettura dei documenti (peraltro, come si è detto, solo richiamati) e degli altri elementi ritenuti significativi, in tal modo sollecita do una inammissibile rivalutazione della quaestio facti, del tutto generica è poi la doglianza (Ndr: testo originale non comprensibile).

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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