LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34860/2019 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
M.S., titolare della ditta individuale “FORNO DI GESU'”, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Severina DI COMITE, presso il cui studio legale, sito in Reggio Emilia, alla via M. Fanti, n. 2, è
elettivamente domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1489/11/2019 della Commissione tributaria regionale dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 21/08/2019 e notificata in data 12/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/04/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
RILEVATO
che:
1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di maggior reddito d’impresa ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno d’imposta 2010, che l’amministrazione finanziaria effettuava con metodo analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nei confronti di M.S., titolare della ditta individuale denominata “Forno di Gesù”, esercente l’attività di forno-pasticceria, con la sentenza impugnata la CTR dell’Emilia Romagna rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, ritenendo inconsistenti gli elementi presuntivi indicati dall’ufficio e, come tali, inidonei a suffragare la rettifica del reddito d’impresa peraltro in presenza di una contabilità regolarmente tenuta. Rilevava altresì la violazione degli obblighi partecipativi di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. n. 427 del 1993, nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., censurando la statuizione impugnata per avere la CTR erroneamente ritenuto inconsistenti gli elementi presuntivi addotti dall’ufficio finanziario, tra cui la bassa redditività dell’impresa protrattasi nel tempo, a far ritenere di per sé complessivamente inattendibile la contabilità aziendale e, quindi, non giustificando il ricorso alla ricostruzione induttiva del reddito d’impresa.
2. Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere la CTR ritenuto violata la predetta disposizione nonostante l’assenza di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale gravante sull’amministrazione finanziaria e, comunque, l’effettivo espletamento di tre incontri con la contribuente in cui la stessa fu messa in condizioni di formulare osservazioni e deduzioni.
4. Per evidenti ragioni di ordine logico giuridico va esaminato preliminarmente il secondo motivo di ricorso, potendo la questione del contraddittorio risultare decisiva e rendere superfluo l’esame del primo motivo incentrato sulla legittimità dell’accertamento analitico induttivo.
5. Il motivo è fondato e va accolto.
6. Nella specie, in cui è indubitabile che l’amministrazione finanziaria abbia espletato un accertamento c.d. “a tavolino” e, quindi, senza procedere ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale, avendo la stessa parte controricorrente affermato che l’accertamento aveva preso le mosse da una richiesta da parte dell’Agenzia delle entrate di esibizione della documentazione contabile afferente il periodo di imposta 2010, cui seguivano incontri presso gli uffici finanziari (controricorso, pagg. 1 e 2), difetta il presupposto applicativo della L. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e, quindi, della necessità di concedere alla contribuente il termine dilatorio previsto dalla citata disposizione (cfr., ex multis, Cass. n. 27420 e n. 6219 del 2018, n. 3408 del 2017, n. 3142 del 2014, n. 13588 del 2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il tenore testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013, p. 3.1).
7. La sentenza impugnata ha quindi erroneamente applicato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, che, sempre in tema di contraddittorio, ha ribadito che l’applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è circoscritto ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, non essendo espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e non trovando quindi applicazione al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste. Nella specie, pertanto, l’amministrazione finanziaria, che non era tenuta a redigere un processo verbale di constatazione, neppure doveva attendere, prima di emettere l’avviso di accertamento, il decorso del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 12, in assenza di un dies a quo.
8. Quanto poi all’obbligo del preventivo contraddittorio nella fase amministrativa, le Sezioni Unite di questa Corte hanno posto la basilare distinzione, a seconda che si tratti o meno di tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione Europea, chiarendo che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071).
8.1. Ne consegue, da un lato, che con riferimento ai tributi non armonizzati (ad esempio l’IRPEF e l’IRAP, che pure vengono in rilevo nel caso di specie), l’amministrazione finanziaria non aveva nessun obbligo di attivare il contraddittorio nella fase amministrativa, e dall’altro, che, con riferimento all’IVA, l’invalidità dell’atto impositivo è condizionato alla avvenuta prospettazione – nella specie nemmeno dedotta – da parte della contribuente nel ricorso introduttivo delle ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato” (in tal senso Cass. Sez. U. citate; sulla questione della c.d. prova di resistenza e del suo esito negativo, cfr., ex multis, Cass. n. 1969 e n. 3408 del 2017, n. 3142 del 2014, n. 13588 del 2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il tenore testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013). Nello stesso senso si era anche pronunciata la Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 3 luglio 2014, in causa C129/13 e C-130/13, Kamino, affermando che “Il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”).
9. Deve, quindi, esaminarsi il primo motivo di ricorso che è parimenti fondato.
10. Al riguardo pare opportuno richiamare la giurisprudenza della Corte, secondo la quale “In tema di rettifica dei redditi d’impresa, l’accertamento analitico induttivo presuppone, a differenza di quello induttivo “puro”, che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile, sicché la ricostruzione fondata sulle presunzioni semplici, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi, dei quali risulta provata “aliunde” la mancanza o l’inesattezza” (Cass. n. 7025 del 2018) e che “In tema di accertamento dei redditi di impresa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, la ricorrenza dei presupposti per l’accertamento induttivo (anche nella ipotesi di inattendibilità dell’intera contabilità) non comporta l’obbligo dell’ufficio di avvalersi di tale metodo di accertamento, ma costituisce una mera facoltà che non preclude, pertanto, la possibilità di procedere ad una valutazione analitica dei dati comunque emergenti dalle scritture dell’imprenditore” (Cass. n. 18934 del 2018). Si è quindi precisato che “L’accertamento con metodo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (Cass. n. 20060 del 2014) e che “l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (Cass. n. 26036 del 2015).
11. Orbene, nella specie la CTR non si è attenuta ai predetti principi là dove ha escluso che gli elementi presuntivi offerti dall’amministrazione finanziaria, quali la bassa redditività protrattasi negli anni “non collimante con l’organizzazione di azienda familiare”, le incongruenze derivanti dall’utilizzo della materia prima (nella specie, farina), la presenza di un pasticcere non giustificata dall’esiguo quantitativo di dolciumi prodotti, la presenza di rilievi nel corso degli anni circa la mancata emissione degli scontrini, fossero idonei a giustificare l’accertamento analitico-induttivo.
12. Infine, pare opportuno ricordare il principio in base al quale “In tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa” (Cass. n. 7071/2020, Cass. n. 30803/2017), in quanto il requisito della concordanza ricorre solo nel caso di concorso tra più circostanze presuntive (cfr. Cass. n. 8484/2009).
13. In estrema sintesi, dalle considerazioni svolte consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa alla CTR territorialmente competente che provvederà a riesaminare la vicenda processuale alla stregua dei principi sopra enunciati nonché a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021