LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7739-2019 proposto da:
C.A., V.M., A.A., C.V., VI.RO., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL PARLAMENTO 3, presso lo studio dell’avvocato LUCA MAORI, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMILIANO MARIA SANGRO;
– ricorrenti –
contro
CA.CR.;
– intimato –
GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C.
COLOMBO 440, presso lo studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
Nonché da:
GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C.
COLOMBO 440, presso lo studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente incidentale –
contro
C.A., C.V., V.M., A.A., VI.RO., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL PARLAMENTO 3, presso lo studio dell’avvocato LUCA MAORI, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMILIANO MARIA SANGRO;
– controricorrenti all’incidentale –
avverso la sentenza n. 647/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 29/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO.
FATTI DI CAUSA
1. C.G., V.M., C.V., A.A., C.A. e Vi.Ro. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Perugia Ca.Cr. e Alleanza Toro s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno cagionato dalla morte del loro congiunto C.M. a seguito di sinistro stradale verificatosi in data *****. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.
2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando i convenuti in solido al pagamento dei seguenti importi: in favore di C.G. e V.M., genitori della vittima, Euro 300.000,00 ciascuno, all’attualità, nonché Euro 15.000,00 per spese funerarie e Euro 5.500,00 per l’autovettura; in favore di C.V., sorella della vittima, Euro 100.000,00 all’attualità; in favore di A.A. e C.A., nonni conviventi della vittima, Euro 30.000,00 ciascuno, all’attualità; in favore di Vi.Ro., nonna non convivente della vittima, Euro 20.000,00 all’attualità. Rigettò inoltre la domanda risarcitoria per il lucro cessante e condannò i convenuti in solido alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 35.000, per compenso professionale.
3. Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori ed appello incidentale la società assicuratrice.
4. Con sentenza di data 29 agosto 2018 la Corte d’appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannò il Ca. e la società assicuratrice, in solido fra di loro, al pagamento in favore di C.A. e A.A. dell’ulteriore somma, rispetto a quella già riconosciuta, di Euro 40.000,00 ciascuno, ed al pagamento in favore di Vi.Ro. dell’ulteriore somma di Euro 30.000,00, nonché a corrispondere su tutte le somme liquidate gli interessi sulla somma devalutata al 2008 e rivalutata di anno in anno fino alla sentenza di primo grado; dispose infine la compensazione delle spese del grado di appello.
Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, premesso che il sinistro si era verificato perché l’autovettura condotta dal Ca. aveva tamponato ad alta velocità un autocarro Iveco che, ribaltatosi sul lato sinistro ed occupato il senso di marcia contraria, era stato urtato dall’autovettura condotta dal C., che quest’ultimo si era trovato in una condizione di assoluta imprevedibilità senza poter effettuare manovre di emergenza, avendo trovato improvvisamente un ostacolo non illuminato (la strada non era illuminata ed il mezzo aveva perso la funzionalità dei gruppi ottici) e che lo stesso aveva osservato una condotta esente da colpa, mancando elementi per ritenere che non avesse rispettato la velocità adeguata, risultando anzi provato che viaggiava ad una velocità al di sotto del limite previsto. Aggiunse, quanto al danno parentale liquidato in favore dei nonni della vittima, che spettavano gli ulteriori importi sopra indicati, mentre corretta era “la liquidazione operata a favore della sorella C.V., liquidazione vicina ai massimi, in considerazione del fatto che, al di là del dolore e della sofferenza per la morte del fratello, la stessa non conviveva più con quest’ultimo essendosi già creata e organizzata una propria vita”. Osservò inoltre, quanto al danno patrimoniale da lucro cessante in relazione al mancato apporto di C.M. all’impresa familiare nella quale aveva da poco iniziato a lavorare, che mancavano prove in ordine all’effettivo apporto di lavoro e di risorse che il predetto avrebbe potuto offrire all’impresa, come pure mancavano prove circa le dedotte perdite patrimoniali conseguenti alla morte del medesimo, trattandosi di impresa familiare portata avanti dal padre del C. nell’ambito della quale questi aveva da poco iniziato a lavorare e mancando qualsiasi prova circa il suo fattivo contributo.
5. Hanno proposto ricorso per cassazione C.G., V.M., C.V., A.A., C.A. e Vi.Ro. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso Generali Italia s.p.a., che ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi. Resistono con controricorso al ricorso incidentale C.G., V.M., C.V., A.A., C.A. e Vi.Ro.. Il Collegio ha proceduto in camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 – bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale, con adozione della decisione in forma di sentenza per la particolare rilevanza della questione di diritto per la quale era stata fissata la trattazione in pubblica udienza. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni motivate ritualmente comunicate alle parti. E’ stata depositata memoria di parte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Muovendo dal ricorso principale, con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2043,2056,1226,2697 e 2729 c.c., D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 137, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente in via principale che l’effettivo apporto di lavoro e risorse che il C. avrebbe potuto offrire all’impresa, come pure le perdite patrimoniali conseguenti al decesso, erano provati sulla base dell’atto notarile dichiarativo di costituzione dell’impresa familiare, delle dichiarazioni di coloro che avevano attestato la costante presenza della vittima presso l’impresa familiare e delle progressive perdite patrimoniali subite dall’impresa familiare dopo il venir meno dell’apporto del defunto C.. Aggiunge che l’affermazione secondo cui mancava la prova del “fattivo” contributo era in contraddizione, in modo da rendere incomprensibile la giustificazione del decisum, con quella sulla mancanza di un “effettivo” contributo, perché “fattivo” implica che un effettivo contributo vi sia. Osserva ancora che, stanti i problemi di salute dei genitori e della sorella, l’apporto lavorativo di C.M. era fondamentale e che deve essere riconosciuto il risarcimento quanto meno pari a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale previsto dall’art. 137, comma 3 cod. assicurazioni.
1.1 Il motivo è inammissibile. La censura contiene più sub-motivi. Con un primo sub-motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per errata valutazione della prova. Al riguardo è sufficiente rammentare che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016).
Non coglie la ratio decidendi il secondo sub-motivo avendo il giudice di merito soltanto affermato che si trattava di impresa familiare portata avanti dal padre del C., nell’ambito della quale questi aveva da poco iniziato a lavorare e che, alla luce di ciò, mancava qualsiasi prova circa il suo fattivo contributo. Infine incomprensibile è il terzo sub-motivo, e pertanto inidoneo a raggiungere lo scopo della critica della sentenza, perché rinvia al criterio di determinazione del danno patrimoniale nel caso di danno alla persona, previsto dall’art. 137 cod. assicurazioni, mentre qui non viene in rilievo il danno alla persona, ma il pregiudizio derivato ai parenti dalla morte del congiunto.
2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché violazione o falsa applicazione degli artt. 2043,2054,1223,1226,2727 c.c., D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 137, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, la sorella del congiunto ancora al 10 maggio 2010, come risultante dal certificato di residenza e di stato di famiglia, conviveva con i genitori e quindi con il fratello M. e che nella stessa comparsa di costituzione in appello della società assicuratrice si affermava che C.V. avrebbe avuto potuto costituire un suo nucleo familiare estraniandosi da quello di origine, sicché al momento dell’appello tale nucleo non si era ancora formato. Aggiunge che il giudice di appello in modo contraddittorio afferma che a favore dei genitori e della sorella era stato liquidato il danno in modo da sfiorare i valori massimi della forbice, laddove invece il 92% del massimo era stato liquidato solo per i genitori, mentre per la sorella la liquidazione ammontava a circa il 70%, e che comunque doveva essere assicurata la parità di trattamento a parità di danno. Osserva infine che errato è considerare dirimente la residenza ai fini della determinazione del pretium doloris.
2.1 Il motivo è inammissibile. Nella valutazione del danno liquidato in favore della sorella della vittima il giudice di merito ha considerato rilevante la circostanza della mancanza della convivenza. La censura ha riguardo al fatto che invece la convivenza vi fosse. Trattandosi di circostanza che ha costituito oggetto di controversia non viene in rilievo un errore revocatorio. Il motivo di censura non verte comunque sulla valutazione, il che avrebbe significato ricadere nel giudizio di fatto insindacabile nella presente sede di legittimità, ma su un errore di percezione riferito al certificato di residenza e di stato di famiglia. Viene così in rilievo l’indirizzo di questa Corte secondo cui mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. n. 9356 del 2017, n. 19293 del 2018 e n. 27033 del 2018). Deve tuttavia trattarsi di errore decisivo, che consenta di affermare che la sentenza sia l’effetto di quell’errore. Sulla base di quanto prospettato in ricorso deve concludersi nel senso che manca il requisito della decisività perché mentre la certificazione di cui si parla nel motivo di ricorso attesta la residenza alla data del 10 maggio 2010, il sinistro mortale è avvenuto in data *****. La prova documentale non è dunque riferita all’epoca del decesso del congiunto, ben potendo essere concepibile che a tale epoca la convivenza con il nucleo familiare non vi fosse o fosse cessata da tempo e che si sia ricostituita all’epoca documentata dalla certificazione. Quanto alla questione del nucleo familiare, il giudice di merito ha soltanto affermato che la sorella si era “già creata e organizzata una propria vita”, il che rappresenta giudizio di fatto come tale insindacabile nella presente sede di legittimità.
Nella censura si imputa poi alla decisione impugnata l’avere contraddittoriamente affermato che la liquidazione avrebbe sfiorato il valore massimo della tabella pur essendo stata fissata a circa il 70% del detto valore. In realtà tale affermazione nella motivazione è riferita alla liquidazione in favore dei genitori, mentre per ciò che concerne la sorella si parla di “liquidazione vicina ai massimi”, che è quanto a cui il giudice di merito ha evidentemente ritenuto corrispondere una liquidazione pari a circa il 70% del valore massimo.
Incomprensibile poi, e pertanto inidoneo a raggiungere lo scopo della critica della decisione, è il richiamo alla parità di trattamento a parità di danno, posto che quest’ultimo presupposto non ricorre, alla stregua della valutazione del giudice di merito insindacabile nella presente sede di legittimità.
Infine, quanto al riferimento alla convivenza quale criterio per valutare la maggiore prossimità o minore prossimità del legame parentale, rientra nella competenza del giudice di merito il ricorso ad un elemento presuntivo quale quello in discorso.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e D.M. n. 55 del 2014, art. 4 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha omesso di pronunciare sul motivo di appello avente ad oggetto l’errata liquidazione del compenso del difensore da parte del Tribunale per non avere considerato che le parti assistite erano sei e che quindi doveva disporsi l’aumento previsto dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, come già richiesto nella nota spesa depositata. Aggiunge che il Tribunale non aveva minimamente motivato sulle ragioni per le quali fosse precluso il detto aumento.
3.1. Il motivo è fondato. Va premesso che il giudizio è caratterizzato dal cumulo iniziale e soggettivo di domande in situazione di litisconsorzio facoltativo ai sensi dell’art. 103 c.p.c.. Il Tribunale, cui competeva la valutazione circa l’unicità dell’opera difensiva (Cass. n. 11591 del 2015 e n. 21064 del 2009), ha liquidato un compenso unico per gli attori, rispetto al quale, come è noto, l’aumento previsto dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, costituisce una mera facoltà sottoposta però all’onere della motivazione, sia nell’evenienza che l’aumento sia disposto, sia nell’evenienza contraria (Cass. n. 461 del 2020).
In sede di appello vi è stato il parziale accoglimento del gravame della parte vittoriosa, la quale, come del resto si dà atto nella stessa pronuncia impugnata (pag. 4), aveva impugnato anche il capo della decisione di primo grado relativo alle spese. In tale evenienza vale il seguente principio di diritto: il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione; tuttavia, anche in ragione dell’operare del c.d. effetto espansivo interno di cui all’art. 336 c.p.c., comma 1, l’accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado abbia emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non comporta, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione di tale condanna, sicché la preclusione nascente dal giudicato impedisce al giudice dell’impugnazione di modificare la pronuncia sulle spese della precedente fase di merito, qualora egli abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa in primo grado (Cass. n. 27606 del 2019).
Poiché vi era motivo di appello, non vi era giudicato sulla statuizione di primo grado sulle spese e la corte d’appello aveva il dovere di provvedere sul gravame avente ad oggetto la pronuncia sulle spese. Fondata è quindi la censura per omessa pronuncia.
4. Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente in via incidentale che il giudice di appello ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di gravame incidentale avente ad oggetto l’istanza di compensazione, non inferiore alla metà, delle spese di primo grado, stante la reciproca soccombenza per il riconoscimento solo della metà del quantum richiesto. Aggiunge che, ove il giudice di appello avesse pronunciato sul motivo di appello incidentale, lo avrebbe ragionevolmente accolto alla luce della compensazione disposta per il grado di appello.
4.1. Il motivo è fondato. La ricorrente ha assolto l’onere processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 avendo specificatamente trascritto il contenuto della comparsa di costituzione in appello contenente il motivo di impugnazione incidentale. La corte territoriale ha in modo evidente omesso di pronunciare sul motivo di appello in questione.
5. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 2054, c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha omesso di scrutinare se fosse stata data la prova liberatoria che il C. avesse fatto tutto il possibile per evitare il danno (art. 2054), avendo considerato non applicabile la presunzione di concorso di colpa per avere ritenuto che sembrava che la vittima avesse mantenuto una condotta di guida diligente e rispettosa del codice della strada.
5.1. Il motivo è inammissibile. In tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, nel caso di scontro tra veicoli, ove il giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell’altro dall’art. 2054 c.c., comma 2, ma è tenuto a verificare in concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta (fra le tante da ultimo Cass. n. 7479 del 2020). Il giudice di merito ha accertato che il C. si era trovato in una condizione di assoluta imprevedibilità senza poter effettuare manovre di emergenza, avendo trovato improvvisamente un ostacolo non illuminato e che lo stesso aveva osservato una condotta esente da colpa, mancando elementi per ritenere che non avesse rispettato la velocità adeguata, risultando anzi provato che viaggiava ad una velocità al di sotto del limite previsto. In tal modo il giudice di merito ha verificato in concreto se la vittima avesse o meno tenuto una condotta di guida corretta, giungendo ad una risposta positiva. Il motivo di censura non coglie pertanto la ratio decidendi e resta privo di decisività.
6. La Corte di cassazione può decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nel caso di violazione o falsa applicazione non solo di norme sostanziali ma anche di norme processuali (nella specie, quella di cui all’art. 91 c.p.c.), purché non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (Cass. n. 24866 del 2017). Nel caso di specie, non essendo necessari altri accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito. L’identità di posizione processuale dei sei attori, unitamente alla circostanza delle diverse conseguenze sul piano risarcitorio, giustifica l’applicazione dell’aumento previsto dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2. Ai sensi di tale disposizione il compenso di Euro 35.000,00 deve essere pertanto aumentato nella misura del 20 per cento per ogni soggetto oltre il primo e dunque di Euro 7.000,00 (20 per cento di 35.000,00) per cinque soggetti. Competono pertanto in favore degli attori, oltre Euro 350,00 per spese ed accessori, come liquidato dal tribunale, Euro 70.000,00 per compenso. La condanna alle spese resta in tali termini nei confronti del solo Ca.Cr. perché, decidendo nel merito in ordine all’accoglimento del motivo di ricorso incidentale proposto da Generali Italia s.p.a., il parziale accoglimento della domanda costituisce ragione di compensazione delle spese nella misura di un terzo limitatamente alla ricorrente in via incidentale (cfr. Cass. n. 3438 del 2016).
7. Il parziale accoglimento di entrambi i ricorsi sul punto delle spese processuali liquidate in primo grado costituisce ragione di compensazione delle spese di legittimità.
PQM
accoglie il terzo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, dichiarando per il resto inammissibili i ricorsi;
cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e, decidendo la causa del merito, dispone in relazione alle spese processuali del giudizio di primo grado la compensazione di un terzo delle spese fra gli attori C.G., V.M., C.V., A.A., C.A. e Vi.Ro. da una parte e Generali Italia s.p.a. (già Toro Assicurazioni s.p.a.) dall’altra, condannando per il resto Generali Italia s.p.a. in solido con Ca.Cr. al rimborso delle spese in favore degli attori, liquidate le spese per l’intero in Euro 350,00 per esborsi ed Euro 70.000,00 per compensi oltre accessori sulle somme come per legge;
dispone la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021
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