Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26315 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso principale 15829/2019 proposto da:

M.G., e S.B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAPPELLETTA DELLA GIUSTINIANA, 68, presso lo studio dell’avvocato GIANNI CECCARELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato BARTOLOMEO FALCONE;

– ricorrenti –

contro

SE.DA., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO A.

PONCHIELLI n. 6, rappresentato e difeso dagli AVVOCATI FABRIZIO AZZOLA, e DOMENICO APICE;

– resistente –

nonché nei confronti di:

ICAZA BELIZA TRUST ORPORATION LTD;

– intimata –

e sul ricorso incidentale proposto da:

SE.DA.;

– ricorrente incidentale –

contro

M.G. e S.B.;

e nei confronti di:

ICAZA BELIZE TRUST CORPORATION LTD;

avverso la sentenza n. 393/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 06/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Presidente Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA.

RILEVATO

che:

1. M.G. e S.B. hanno proposto ricorso per cassazione contro Se.Da. e la Icaza Belize Trust Corporation LTD avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 6 marzo 2019, con cui quella corte ha dichiarato inammissibile l’intervento spiegato in giudizio in grado di appello dalla Icaza Belize Trust Corporation LTD ed ha parzialmente riformato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Bergamo.

2. Detto tribunale era stato adito contro i qui ricorrenti nel maggio del 2011 dal Se., il quale – sulla premessa che con scrittura privata del 25 marzo 2010 i convenuti si erano riconosciuti nei suoi confronti debitori, sulla base di una precedente scrittura privata del 5 ottobre 2006, della somma di Euro 6.000.000,00 con previsione di corresponsione in sessanta rate mensili di Euro 100.000,00 cadauna dal settembre 2010 all’agosto del 2015, e che, tuttavia, avevano pagato solo la somma di Euro 230.000,00 e si era verificata la decadenza dal beneficio dei termini concessi – aveva chiesto la loro condanna al pagamento della residua somma di Euro 5.770.000,00 oltre interessi.

I convenuti si costituivano in giudizio e deducevano che la domanda era inammissibile, giacché la clausola n. 5 della scrittura del marzo del 2010 aveva espressamente stabilito che nel caso di mancato rispetto di quanto in essa contenuto sarebbe rimasta in vigore la scrittura dell’ottobre del 2006. Inoltre i medesimi contestavano ulteriormente la fondatezza dell’avversa pretesa assumendo che quest’ultima era stata preceduta da un atto negoziale del 19 luglio del 2004, con cui le parti si erano determinate a procedere ad un’operazione immobiliare finalizzata all’acquisto e ristrutturazione di un immobile sito in *****, per cui l’attore si era impegnato a corrispondere la somma di Euro 3.160.000,00 da trarsi dalla permuta di 24 appartamenti siti in *****, senza però ottemperare a tale impegno, in quanto gli immobili non erano di sua proprietà. I convenuti sostenevano altresì di avere corrisposto l’importo di Euro 1.530.000,00 anziché quello di Euro 230.000,00 e di esso in via riconvenzionale chiedevano la condanna dell’attore alla restituzione.

Disposto il deposito delle memorie di cui dell’art. 183 c.p.c., comma 6, nella prima di esse l’attore contestava la legittimazione dei convenuti all’azione di ripetizione di indebito per la somma ulteriore rispetto ad Euro 230.000,00, assumendo che essa non era stata corrisposta dai medesimi e, in via subordinata, chiedeva la condanna degli stessi, per il caso di invalidità o inefficacia dei titoli negoziali fatti valere, alla restituzione della somma di Euro 3.500.000,00 percepita dal M. per la cessione delle unità immobiliari site in ***** nel villaggi turistico denominato “*****” e numerate dal numero *****.

I convenuti replicavano che la somma di Euro 1.300.000,00 era stata corrisposta da un loro intermediario tramite bonifici ed eccepivano l’inammissibilità per tardività della domanda subordinata e comunque il difetto di legittimazione passiva del M., atteso che il medesimo aveva stipulato l’atto negoziale e ricevuto la somma non in proprio, ma quale legale rappresentante della società SICOT (Sinai Company for Turistic Development), che dunque avrebbe dovuto essere destinataria della domanda.

Con sentenza dell’aprile 2016 il tribunale bergamasco dichiarava inammissibile la domanda subordinata per novità e rigettava la domanda principale di parte attrice reputando sia la reviviscenza dell’accordo del 2006 sia la fondatezza di quanto ulteriormente eccepito circa la carenza della proprietà delle unità immobiliari. Il tribunale invece accoglieva la domanda riconvenzionale nel presupposto che non fosse stata contestata la carenza di proprietà delle 24 unità immobiliari e comunque sulla base di un documento che ne attribuiva ad altri la proprietà, nonché reputando che le somme corrisposte tramite bonifici di provenienza di soggetti terzi fossero riferibili alla vicenda per cui era giudizio.

3. La sentenza veniva appellata dal Se. e nella resistenza del M. e del S., nonché con l’intervento dell’indicata società, la corte bresciana ha dichiarato quest’ultimo inammissibile e, pur condividendo l’avviso del primo giudice in ordine alla reviviscenza dell’accordo di cui alla scrittura del 2006, ha ritenuto che in forza di essa fosse parzialmente giustificato l’accoglimento della domanda dell’attore nel limite di Euro 1.630.000,00 risultante dalla sottrazione di quanto versato al medesimo (cioè Euro 1.530.000,00) dall’importo di Euro 3.160.000,00 che riteneva versato dal Se. in data 19 luglio 2004.

4. Al ricorso hanno resistito il M. ed il S. con congiunto controricorso, nel quale hanno svolto ricorso incidentale.

5. La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. ed in vista di essa parte ricorrente ha depositato memoria.

6. Poiché nelle more era sopravvenuto un impedimento del relatore designato, il Presidente del Collegio è stato designato in sostituzione alla trattazione.

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso incidentale dev’essere esaminato congiuntamente al principale, in quanto proposto in seno ad esso.

2. Con il primo motivo di ricorso principale si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 1218 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

L’intestazione del motivo è singolare, dato che indica una violazione e falsa applicazione di una norma del procedimento e di una norma di diritto sostanziale, ma le iscrive nel paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., anziché, rispettivamente, nel n. 4 e nel n. 3.

L’illustrazione del motivo, dopo avere rilevato che la corte bresciana avrebbe affermato “in linea con quanto sancito dal Tribunale di Bergamo (…) “la piena validità ed efficacia della convenzione del 05.10.2006”, in ragione (pag. 14 sentenza 393/2019) “della previsione in tal senso espressa nell’art. 5 di quello successivo del 25.03.2010"”, assume che, “preso atto dell’inadempimento alle previsioni di cui” a quest’ultimo, “i Giudicanti di entrambi i gradi di giudizio, hanno ritenuto oggetto della presente vertenza, la convenzione sottoscritta in data 05.10.2006”.

Procede, quindi, osservando che il tribunale, dopo avere rilevato l’errore del Se. nell’azionare il credito di cui alla scrittura del 2010, aveva accolto la riconvenzionale dei convenuti in quanto era risultato provato l’inadempimento del Se. per non essere stato il medesimo in grado di conferire gli appartamenti da permutare, perché non ne era proprietario e dunque l’accordo del 2010 si era risolto a causa di esso.

L’illustrazione continua assumendo che la corte territoriale ha ritenuto erronea la sentenza del tribunale su questo punto, rilevando che la conferma nella scrittura del 5 ottobre 2010 della già intervenuta dazione da parte del Se. al S. e al M. della somma di Euro 3.160.000,00 aveva valore di confessione stragiudiziale resa alla controparte e perciò idonea a fornire piena prova contro i medesimi, salvo per il caso di revoca per violenza o per errore di fatto, evenienze che nella specie non risultavano dimostrate, non emergendo quanto alla seconda in particolare che il Se. non fosse proprietario delle unità immobiliare in ***** e ciò sia sotto il profilo della non contestazione di tale circostanza sia sotto quello dell’efficacia probatoria della mancanza di quella proprietà prospettata dai convenuti sulla base del doc. n. 14 (che si dice prodotto nel fascicolo di primo grado dei medesimi), in quanto privo di elementi certi e comunque cronologicamente anteriore al contratto preliminare di compravendita del 28 luglio 2003 stipulato dal Se. con la Sicot (che si dice prodotto dall’attore come doc. n. 4 del fascicolo di primo grado), il quale evidenziava la piena disponibilità giuridica in capo al Se. delle unità immobiliari al momento della prima scrittura inter partes del luglio del 2004.

Mette conto di rilevare che la motivazione in tal senso della sentenza impugnata viene evocata in modo del tutto indiretto, salvo la riproduzione di due brevi passi, uno alla pagina 10 ed altro alla 11 del ricorso e senza una precisa indicazione della corrispondenza della indiretta riproduzione ad una specifica parte della stessa.

L’illustrazione del motivo a questo punto prosegue – dall’ultima proposizione della pagina 11 – con la parte che dovrebbe argomentare quanto lamentato nella sua intestazione ed assume che l’affermazione della corte bresciana circa quella disponibilità non avrebbe tenuto “conto dell’evidenza che il Se. non ha impugnato la sentenza di primo grado sul punto relativo all’accertata circostanza della mancata titolarità di diritto alcuno dell’appellante in ordine alle predette unità, laddove il tribunale afferma essere “provato per tabulas (doc. 14 convenuti) sia in virtù di non contestazione”, la mancanza del titolo da parte del Se.”, il che avrebbe “comportato il passaggio in giudicato di detto capo della sentenza, fondato su un autonomo presupposto di fatto (la prova documentale di cui al doc. 14 dei convenuti) e di diritto (la intervenuta mancata contestazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c.) e che, peraltro, costituisce la premessa fondamentale logico-giuridica da cui discende la pronuncia”.

Immediatamente di seguito si deduce che “la Corte d’Appello di Brescia, invece, ignorando l’eccezione già sollevata dall’appellata sul punto, ha esaminato, con la pronuncia oggi impugnata, detto capo ritenendo: I. di non dare rilievo alla circostanza che il Se. mai ha replicato né tantomeno fatto appello riguardo alla mancata titolarità degli appartamenti (…) II. che alcun rilievo avesse ai fini della decisione il fatto che il Se. non abbia mai contestato i contenuti di cui al doc. 14 dei convenuti, ovverossia, la lista dei proprietari, rilasciata alla Domina Vacanza (società che gestisce comproprietà alberghiere in Italia e all’estero) che attesta che le 24 unità immobiliari site nel complesso ***** alla data del 07.04.2005 erano di proprietà di terze persone e non anche del Se.”.

Quindi, si conclude quella che dovrebbe essere evidentemente l’esposizione della violazione dell’art. 115 c.p.c., asserendo che “pertanto, la Corte territoriale in violazione delle previsioni di cui all’art. 115 c.p.c., non ha ritenuto provata una circostanza di focale importanza ai fini del decidere e che ha determinato la decisione del contendere odierno”.

2.1. Il motivo, per quanto concerne ciò che si è fin qui riferito e che dovrebbe, come s’e’ detto, illustrare la violazione dell’art. 115 c.p.c., si palesa inammissibile sotto plurimi profili.

In primo luogo, prospetta una prima censura del tutto eccentrica rispetto all’intestazione del motivo, là dove ragiona di una violazione riguardo al preteso passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado che in essa vi sarebbe stato sia riguardo alla prova documentale di cui al doc. n. 14 sia riguardo alla mancata contestazione.

La censura non trova innanzitutto esatta corrispondenza normativa né nella intestazione del motivo né nella illustrazione: sia nella prima che nella seconda avrebbe evidentemente richiesto l’evocazione della norma dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e, dunque, la deduzione della violazione della cosa giudicata interna.

Invece, nell’argomentare dei ricorrenti nulla si coglie al riguardo, dato che la norma de qua nemmeno viene evocata.

Peraltro, anche a volerla ritenere evocata implicitamente (alla stregua di una lettura secondo i principi indicati da Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 e seguiti costantemente da questa Corte) per il tramite della sostanziale deduzione della violazione del giudicato siccome evocativa di quella del c.d. giudicato interno, la censura e, dunque, il motivo in parte qua, non sfugge comunque ad una valutazione di inammissibilità: risulta, infatti, violato l’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto:

a) per un verso, pur risultando rispettato l’onere di indicazione specifica quanto alla localizzazione in questo giudizio, riguardo alla sentenza di primo grado (atteso che nell’esposizione del fatto risulta indicata la sua presenza nel fascicolo di appello di parte ricorrente, che si dichiara di produrre in chiusura del ricorso), risulta inosservato o meglio non adeguatamente osservato quell’onere quanto alla riproduzione della parte della stessa in cui il primo giudice avrebbe affermato l’esistenza della non contestazione, a ciò non bastando per mancanza di chiarezza quanto indicato dall’espressione fra virgolette (pag. 9 del ricorso) “per tabulas (doc. 14 convenuti), sia in virtù di non contestazione”, sia perché da essa non emerge l’oggetto della non contestazione, sia e soprattutto perché nemmeno si indica la pagina della lapidaria riproduzione, così delegando la Corte a ricercarla e a ricercare detto oggetto;

b) per altro verso, nemmeno – a monte – si fornisce l’indicazione di ciò che nelle allegazioni dei ricorrenti, di cui ai loro atti difensivi, avrebbe costituito l’oggetto della non contestazione e della sede in cui tale oggetto sarebbe appunto rimasto privo di contestazione da parte del Se., con ulteriore inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6;

c) inoltre, il che è comunque decisivo, non si indica da un lato la parte dell’atto di appello del Se. da cui emergerebbe la mancata impugnazione del non meglio identificato capo di sentenza di primo grado e tantomeno la si riproduce, e dall’altro, pur alludendo la censura alla proposizione della relativa eccezione di giudicato da parte dei ricorrenti in appello, non solo non si riproduce né direttamente né indirettamente, con precisazione della parte corrispondente, l’atto in cui il giudicato sarebbe stato eccepito, ma anzi nemmeno lo si identifica: tutte tali carenze palesano ulteriormente la totale inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Mette conto di rimarcare che, poiché la censura si duole di una violazione da parte della corte territoriale di una cosa giudicata interna sull’affermazione dell’esistenza della non contestazione da parte del primo giudice, e non di una diretta violazione dell’art. 115 c.p.c., da parte di quella corte, l’esame della censura non richiede alte considerazioni sotto questo secondo profilo. Tanto si rileva non senza doversi osservare che comunque le carenze di osservanza dell’art. 366, n. 6, sopra indicate e particolarmente quelle sub b) avrebbero comportato una inammissibilità della censura stessa pur se proposta.

2.2. L’illustrazione del motivo continua, poi, dalla pagina 13 sino alle prime otto righe della pagina 16 e svolge considerazioni sull’apprezzamento che la corte territoriale ha fatto del contratto preliminare del 28 luglio 2003 per desumere che il Se. avesse disponibilità delle unità immobiliari.

La censura si risolve in una sollecitazione al riesame della quaestio facti a partire dalla posizione del soggetto con cui il Se. aveva stipulato il preliminare, cioè la Sicot, e in prosecuzione attraverso quella che sembrerebbe una ricognizione del suo contenuto, svolta senza rispetto dell’onere di riproduzione diretta od indiretta (con precisazione della parte corrispondente) e, dunque, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Inoltre, le considerazioni svolte sotto l’uno e l’altro profilo, in disparte che sono articolate senza una precisa indicazione delle posizioni assunte dalle parti nelle fasi di merito sui contenuti di detto documento, si pongono del tutto al di fuori dei limiti in cui la motivazione del giudice di merito può essere controllata sul punto, dato che sollecita una rivalutazione di una risultanza probatoria del tutto al di là di quanto indicato da Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 a proposito dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sicché, fermo che per tale parte il motivo non illustra come dovrebbe censure in iure e particolarmente quella di violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., preannunciata nell’intestazione, il motivo, anche se inteso, nella contemplazione del richiamo dell’art. 360, n. 5, come deducente in parte qua un vizio ai sensi di detto paradigma, risulterebbe inammissibile.

E ciò anche a non voler considerare l’assoluta genericità delle deduzioni svolte nelle dette pagine, che comporterebbe anche un rilievo di mancanza di specificità alla stregua del principio di diritto affermato da Cass. n. 4741 del 2005, ribadito, ex multis, da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017.

2.3. Il primo motivo è dunque, dichiarato inammissibile.

3. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Il motivo è illustrato nei seguenti termini, che, per le ragioni che si diranno, conviene riportare integralmente:

“Sulla scorta dell’erroneo presupposto dell’avvenuto adempimento del Se. agli accordi inter partes, per avere lo stesso acquistato la titolarità in ordine agli appartamenti siti nel complesso *****, la Corte d’appello di Brescia, pertanto ha concluso “per la piena validità ed efficacia della convenzione del 5 ottobre 2006 e la conseguente piena operatività delle obbligazioni ivi contemplate a carico dei signori S.B. e M.”, con la conseguenza che, confermando la reviviscenza di tale accordo, vi è un “persistente credito in capitale in favore dell’appellante di Euro 1.630.000,00 (Euro 3.160.000,00 – Euro 1.530.000)” esclusi gli accessori attesa la previsione di un tasso usuraio. Ora, occorre anzitutto chiarire che il signor Se. ha agito in giudizio per ottenere l’adempimento dell’accordo del 25.03.2010 (doc. 2 fasc. primo grado convenuti), non modificando, sul punto, la propria domanda, nemmeno in replica alla domanda riconvenzionale dei convenuti. Peraltro, in sede di memoria ex art. 183 c.p.c., n. 1, l’avversa difesa aveva svolto un’ulteriore domanda ma relativa al rapporto dare/avere con la Sicot di cui al preliminare del 2003 (doc. 4, primo grado attore), senza nulla precisare circa l’accordo del 05.10.2006 (doc. 3 fasc. primo grado convenuti). Anche nel giudizio di appello, l’appellante, non ha formulato alcuna domanda in merito alla scrittura privata del 05/10/2006 nonostante il Tribunale abbia rigettato la domanda principale del Se. fondata sull’accordo del 2010 e precisato che “al più l’attore avrebbe potuto azionare la scrittura privata in data 5 ottobre 2006”. Pertanto, condannando i signori M. e S. all’adempimento delle previsioni di cui all’accordo del 05.10.2006 (doc. 3 fasc. primo grado convenuti) la Corte territoriale, condanna i convenuti ad adempiere le obbligazioni di una scrittura non azionata dall’attore, condannandoli a corrispondere la differenza che scaturisce da un importo non dovuto. La Corte territoriale ha deciso con l’impugnata sentenza in violazione delle previsioni di cui all’art. 112 c.p.c., disattendendo, peraltro, l’insegnamento di Codesta Ill.ma Corte (Cass. Civ. Sez. II sentenza 11289 del 10.05.2018: “La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il petitum che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio, sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle delle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali causa petenti dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti”.”..

3.1. La lettura dell’illustrazione del motivo, ad avviso del Collegio, non è idonea ad evidenziare il vizio di ultrapetizione lamentato, perché non fornisce una adeguata indicazione del petitum prospettato dal Se. in relazione allo svolgimento del contraddittorio dopo l’introduzione della domanda con la citazione originaria e lo svolgimento della fase di cui all’art. 183 c.p.c..

Infatti, a questo scopo sarebbe stata necessaria una riproduzione del contenuto della memoria di cui all’art. 183 c.p.c., n. 1, che evidenziasse in quali termini il Se. aveva replicato alla difesa svolta dai ricorrenti nella loro comparsa di costituzione. Il motivo si limita ad un rinvio alla memoria del tutto generico, che, come tale, risulta inosservante dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto omette di riprodurre direttamente od almeno indirettamente precisando la parte dell’atto oggetto di indiretta riproduzione il contenuto evidenziatore dell’atteggiarsi della prospettazione della memoria di replica del Se..

Si aggiunga che l’illustrazione omette di indicare in che termini vennero precisate le conclusioni all’atto della rimessione in decisione della causa in primo grado e che del tutto generico e privo di significatività è il riferimento al breve passo della sentenza di primo grado circa l’avere il Se. “al più (…) potuto azionare la scrittura provata in data 5 ottobre 2006”.

In presenza di tale genericità va poi considerato che la stessa prospettazione dà per scontato che la sentenza impugnata abbia ritenuto che l’operatività della scrittura del 5 ottobre 2006 scaturisse dalla clausola n. 5 dell’accordo del 25 marzo 2010, sicché, pur avendo il Se. agito pacificamente sulla base di quest’ultima rivendicando il suo adempimento sulla base di una decadenza dal beneficio del termine, la circostanza che in via di eccezione da parte dei convenuti e qui ricorrenti si fosse evidenziato che il loro preteso inadempimento avrebbe solo potuto determinare la reviviscenza ai sensi di quella clausola della scrittura del 2006, implica pur sempre che l’accoglimento della domanda sia avvenuto non sulla base di quest’ultima, ma sempre in realtà di quella del 2010, sebbene dandosi rilievo alla clausola di reviviscenza. Si vuol dire, cioè, che la rilevanza di tale clausola, nell’effetto dispositivo della reviviscenza della scrittura del 2006, implica pur sempre l’individuazione di un effetto che resta basato sulla scrittura di cui fa parte. La prospettazione del motivo confonde l’effetto della clausola di reviviscenza con il suo fondamento, con la sua fonte, che è la scrittura di cui tale clausola fa parte.

Il che, tanto più in mancanza dell’osservanza dell’onere dell’art. 366, n. 6, rende ulteriormente e decisivamente inammissibile il motivo sempre alla stregua del principio di diritto già sopra richiamato, ribadito dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 7074 del 2017, e, per altro verso, non consente di ritenere comunque pertinente alla decisione assunta dalla corte territoriale la censura.

Sotto il primo profilo non risulta, infatti, argomentato in modo specifico, sebbene al livello dell’onere di allegazione dei fatti fondanti il motivo di ultrapetizione, che quella corte, in relazione all’atteggiarsi del dibattito processuale, abbia pronunciato su una domanda non proposta, cioè fondata sulla scrittura del 2006, anziché su quella del 2010, sebbene considerata in relazione a quella del 2006 in quanto richiamata dalla clausola contrattuale.

Quest’ultima considerazione risulterebbe decisiva anche se si volesse ritenere che il Se. non abbia proposto una domanda sulla base della scrittura del 2006 all’esito della difesa dei ricorrenti. A giustificare quanto ritenuto dalla corte territoriale bastava l’originaria invocazione della scrittura del 2010, sebbene considerata al lume delle difese svolte dai qui ricorrenti e, quindi, per effetto del ridimensionamento della giustificazione di quanto preteso in base ad esse. Tale conclusione si giustifica per la sopra segnalata genericità dell’illustrazione del motivo circa lo svolgimento del contraddittorio.

Genericità che per tali ragioni non risulta – si badi – esclusa da quanto si è riferito, desumendolo dalla esposizione del ricorso, in ordine allo svolgimento processuale.

Sotto il secondo aspetto, la censura di ultrapetizione non si correla alla motivazione della sentenza, là dove essa, valorizzando la clausola di riviviscenza non ha inteso basare il parziale accoglimento della domanda del Se. sulla scrittura del 2006 o meglio non risulta averlo fatto in ragione delle segnalate genericità dell’illustrazione del motivo.

Da tanto deriva l’inammissibilità del secondo motivo.

4. Il ricorso principale e’, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

5. Il ricorso incidentale ha natura di impugnazione incidentale tardiva ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, in quanto la sentenza impugnata è stata notificata il giorno 14 marzo 2019 dal difensore del Se. in appello (che esercita, peraltro, il ministero anche in questo giudizio di legittimità). La notificazione risulta allegata e documentata dai ricorrenti.

Ne segue che la notificazione fece decorrere anche a carico del notificante Se. il termine breve per impugnare di cui all’art. 325 c.p.c., in relazione all’art. 326 c.p.c. (Cass. Sez. Un., n. 6278 del 2019). Poiché il controricorso contenente il ricorso incidentale è stato notificato il giorno 15 giugno 2019 è palese che la sua notificazione è avvenuta oltre i sessanta giorni dal perfezionamento della notificazione della sentenza verso i qui ricorrenti, il che assegna al detto ricorso incidentale il carattere di impugnazione incidentale tardiva.

Da qui la sua inefficacia, stante la dichiarata inammissibilità del ricorso principale.

– 5.1. Peraltro, i tre motivi del ricorso incidentale, se fossero stati scrutinabili sarebbero stati da dichiarare inammissibili, con conseguente inammissibilità del ricorso.

Il primo motivo – denunciante “falsa applicazione degli artt. 1353 e 1362 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” – si limita a svolgere delle mere affermazioni, senza illustrare la violazione dell’art. 1362, indicata nella intestazione. Nella seconda parte, nel presupposto della qualificazione della clausola contrattuale della scrittura del 2010 come clausola risolutiva espressa, postula, per predicare l’applicabilità del principio di diritto di cui a Cass. n. 22951 del 2015, la valutazione di circostanze di fatto in chiusura della pag. 33 e, peraltro, nemmeno dice se e come in appello la prospettazione qui fatta valere era stata fatta valere, sicché siamo pure in presenza di questione nuova o che appare tale.

Il motivo si sarebbe dovuto dire inammissibile per tali ragioni.

Il secondo motivo – denunciante “violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si sarebbe dovuto dire inammissibile, perché si risolve in una postulazione di rivalutazione della quaestio facti e non deduce la violazione dell’art. 115, nei termini indicati da Cass. n. 11892 del 2016 e ribaditi da consolidata giurisprudenza, nonché fatti propri – in motivazione non massimata – da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020, nel mentre la violazione dell’art. 2697 c.c., non è dedotta secondo i criteri indicati da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 sempre in motivazione non massimata e ribaditi, ex multis, da Cass. (ord.) n. 26769 del 2018.

Il terzo motivo – prospettante “falsa applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2, L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 2 e L. n. 394 del 2000, art. 1” – lamenta che la sentenza impugnata abbia escluso la debenza a favore del Se. sulla somma a lui riconosciuta degli interessi pattuiti nella scrittura del 5 ottobre 2006, reputandone il carattere usurario. Il motivo si fonda su una clausola della scrittura ma non fornendone l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e non consentendo nemmeno di collocare la clausola nell’economia del negozio non avrebbe consentito lo scrutinio della censura, prospettata sotto il profilo del carattere non usurario di quanto previsto da essa in relazione al D.M. 21 settembre 2006, emesso ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4. Fra l’altro, il motivo fa riferimento al D.M. del 2006, ma la sentenza a pag. 11 ragiona di debenza degli interessi a partire dal 19 luglio 2004.

6. Conclusivamente, il ricorso principale è dichiarato inammissibile e l’incidentale inefficace.

7. In ordine alle spese di questo giudizio va fatta applicazione del principio di diritto secondo cui: “In caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al “decisum” evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale.” (Cass. n. 4074 del 2014 e successive conformi).

Le spese vanno poste, dunque, a carico dei ricorrenti principali e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Viceversa, la declaratoria di inefficacia del ricorso incidentale non integra quel presupposto processuali per il ricorrente incidentale (Cass. (ord.) n. 1343 del 2019, ex multis.

P.Q.M.

– La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale. Condanna i ricorrenti principali alla rifusione al ricorrente incidentale delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro settemila, oltre Euro duecento per esborsi, le spese generali e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, a seguito di riconvocazione, il 31 agosto 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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