Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26318 del 29/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23815/2019 proposto da:

POSTEL SPA, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLUCCI FULCIERI DE’ CALBOLI 5, presso lo studio dell’avvocato DARIO BUZZELLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PHD SRL IN LIQUIDAZIONE, domiciliata in Genova, via Assarotti, n. 48/&, rappresentata e difesa dall’Avvocato PIETRO PICIOCCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 283/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 26/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Presidente Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA.

RILEVATO

che:

1. La POSTEL s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione contro la PhD s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 26 febbraio 2019, con cui quella corte ha rigettato il suo appello principale e quello incidentale della controparte avverso la sentenza non definitiva n. 4016 del 2012 e quella definitiva n. 398 del 2014 pronunciata inter partes dal Tribunale di Genova.

2. La controversia veniva introdotta nel marzo del 2009 dalla PhD s.r.l. che chiedeva la condanna di POSTEL al pagamento in suo favore della somma di Euro 1,280.815,97 in conseguenza della risoluzione per inadempimento della medesima del contratto stipulato fra le parti il 12 luglio 2006 relativamente alla fornitura di sacchi ad uso postale alla convenuta, avente durata annuale e rinnovabile per uguale periodo. A sostegno dell’azione l’attrice lamentava di avere ricevuto ordini in misura inferiore alle previsioni contrattuali fino a che POSTEL aveva sospeso gli ordini.

POSTEL, costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda sostenendo che, come emergeva dall’art. B5) dell’accordo contrattuale le quantità annuali specificate nella clausola C erano solo indicative e non vincolanti, sostenendo, inoltre, che era stata l’attrice a rendersi inadempiente, non avendo avuto la disponibilità di scorte di merci sufficienti.

Con sentenza non definitiva il tribunale, previa qualificazione come “somministrazione”, dichiarava risolto il contratto per inadempimento della convenuta.

Con la sentenza definitiva accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria dell’attrice nella misura di Euro 198.888,2 oltre accessori.

Le sentenze venivano impugnate in via principale da POSTEL con riferimento alla qualificazione del contratto e all’affermato obbligo della medesima di richiedere forniture in una quantità minima, nonché quanto al danno riconosciuto all’attrice. Quest’ultima impugnava in via incidentale quanto alla determinazione del danno.

3. Al ricorso per cassazione ha resistito con controricorso l’intimata.

4. La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., ed in vista di essa parte ricorrente ha depositato memoria.

5. Poiché nelle more era sopravvenuto un impedimento del relatore designato, il Presidente del Collegio è stato designato in sostituzione alla trattazione.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia “erroneità della sentenza della Corte d’Appello di Genova nella parte in cui ha ritenuto di qualificare il rapporto tra le parti come contratto di somministrazione: violazione e falsa applicazione dell’art. 1559 e dell’art. 1362 c.c.”.

Il motivo dichiara di voler censurare la sentenza impugnata quanto alla motivazione con cui essa ha qualificato il contratto inter partes come somministrazione.

Con il secondo motivo si lamenta “erroneità della sentenza della Corte d’Appello di Genova nella parte in cui ha ritenuto sussistere un obbligo di Postel di rispettare una quantità minima di ordinativi di merce: violazione e falsa applicazione dell’art. 1559 e dell’art. 1560 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.”.

L’esame dei due motivi può avvenire congiuntamente, in quanto la loro illustrazione non solo afferisce al problema comune della qualificazione del contratto intercorso fra le parti, ma, per il modo in cui è strutturata in relazione alla motivazione della sentenza impugnata presenta ragioni plurime inammissibilità.

1.1. Prima di riferire come si articolano i due motivi e per quali ragioni si prestino a tale valutazione, è opportuno dare conto del tenore della motivazione della sentenza impugnata sui punti specificamente attinti dai due motivi.

Essa, nel disattendere il motivo di appello della ricorrente che censurava la qualificazione del contratto come somministrazione operata dal primo giudice e nell’individuare l’obbligo di cui dice l’intestazione del secondo motivo in funzione sempre di quella qualificazione, si è così articolata nel disattendere il primo motivo di appello della ricorrente, che attingeva quelle questioni:

“Poste qualifica la scrittura in parola come “contratto quadro”; esso avrebbe disciplinato una serie di futuri rapporti contrattuali con specifici diversi singoli ordini e pertanto Poste non era tenuta a richiedere quantitativi minimi di merce, né vi sarebbe stata alcuna illegittima sospensione degli ordini da parte di Postel; conseguentemente PhD non poteva pretendere di essere indennizzata per la mancata vendita di merce alla medesima Postel. Il contratto quadro prevede la validità annuale; la clausola B5) recita: “le quantità annuali oggetto del presente accorto sono riportate alla sezione C: detti quantitativi derivano da indicazioni di consumo fornite dalle Poste Italiane e/o rilevate da Postel s.p.a.; sono da intendersi indicativi, sono passibili di modifiche in corso d’opera e non costituiscono vincolo contrattuale per Poste s.p.a.”. Il successivo articolo B7) prevede: “PhD srl dovrà organizzare la produzione e l’approvvigionamento delle merci in modo da essere sempre in grado di consegnare mensilmente, per ogni articolo, un quantitativo pari al circa un dodicesimo del totale (annuo) indicato nella sezione C. PhD s.r.l. dovrà al contempo sempre mantenere disponibile a deposito, per ogni articolo, una quantità corrispondente al consumo mensile previsto a titolo di copertura di esigenze straordinarie: resta inteso che qualora detta scorta venisse erosa la stessa dovrà essere ripristinata al più presto. Ogni variazione rispetto alla norma sopra indicata dovrà essere comunicata a PhD compatibile (sic) con i tempi medi di approvvigionamento, ovvero 90 g.g.”. Tali pattuizioni nel loro senso letterale – secondo l’interpretazione del contratto ex art. 1362 c.c., fonte primaria ermeneutica – sono significative della volontà dei contraenti di stipulare un negozio di somministrazione, ove le singole forniture corrisposte corrispondono ad un bisogno reiterato e durevole del somministrando, mentre la quantità complessiva della prestazione non è determinabile a priori, prima dell’inizio dell’esecuzione del contratto, ma diventa determinabile nel corso di detta esecuzione, essendo tale la tipicità del contratto di somministrazione. Nel caso in esame le(sic) quantità complessiva della prestazione era prevista in via generica nella sezione C; la periodicità e la continuità delle prestazioni, da assicurarsi secondo quanto previsto dalla clausola B7, sono altri elementi essenziali del contratto di somministrazione in funzione di un fabbisogno del somministrante (Cass. 7380/91), ove la periodicità delle prestazioni da parte del PDH è connotata dalla connessione delle stesse ad un’unica esigenza di approvvigionamento di Postel. Infatti “il contratto di somministrazione si distingue dalla vendita a consegne ripartite perché nel primo caso la periodicità o la continuità delle prestazioni si pongono come elementi essenziali del contratto stesso in mozione di un fabbisogno del somministrato (ove non sia stata determinata l’entità della somministrazione), sì che ogni singola prestazione è distinta ed autonoma rispetto alle altre, mentre la vendita a consegne ripartite è caratterizzata dalla unicità della prestazione, rispetto alla quale la ripartizione delle consegne attiene soltanto al momento esecutivo del rapporto (Cass. sent. n. 7380 del 04/07/1991). Pertanto le difese di Postel dell’insussistenza dell’obbligo di un determinato quantitativo minimo di fornitura sono in fatto in antitesi con la natura stessa del contratto di somministrazione, dalla stessa voluto e stipulato come emerge dalla semplice lettura del contratto. In ogni caso la parte appellante non ha dedotto quale altro criterio interpretativo avrebbe portato ad una diversa decisione, e non ha esposto per quale ragione il criterio che si assume violato risulterebbe male applicato dall’esegesi seguita dal giudice di merito”.

1.2. Può passarsi ora allo scrutinio dei due primi motivi.

L’illustrazione del primo motivo, dopo la preliminare dichiarazione individuatrice dell’oggetto della censura, identifica la motivazione criticanda facendo riferimento, con il riprodurle, solo alla clausola B5) per come riprodotta nella sentenza ed altresì alla clausola che indica come B6 e che invece la sentenza ha indicato come B7. Peraltro, la clausola indicata – evidentemente per mero errore materiale – come B6 viene evocata e riprodotta solo nella sua prima proposizione e non nella seconda, presente nella riportata motivazione della decisione impugnata.

L’illustrazione del primo motivo si limita altresì, di seguito, a fare riferimento alla proposizione della motivazione, successiva alla riproduzione delle clausole de quibus, che inizia con le parole “Tali pattuizioni (…)” e finisce con la parla “somministrazioni”. Evoca, cioè, la motivazione della sentenza impugnata limitatamente alle ultime cinque righe della pagina 3 ed alle prime due righe della pagina 4.

Ebbene, già l’assunzione della clausola B7) (erroneamente indicata come B6) in senso del tutto parziale pone la successiva argomentazione e, dunque, il motivo in una relazione di mancanza di correlazione con la motivazione della sentenza impugnata: è palese che il non avere assunto una parte consistente (e palesemente significativa) della clausola B7) come oggetto della critica da svolgersi nel motivo alla sentenza impugnata rende l’argomentare successivo del tutto privo di correlazione con la detta motivazione, con la conseguenza che già solo per tale ragione il motivo impinge nella ragione di inammissibilità derivante dal consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, ribadito anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 7074 del 2017. In sostanza, non avendo assunto la motivazione della sentenza impugnata in quanto resa anche nella contemplazione espressa della seconda parte della clausola B7), il motivo per ciò solo si presenta inidoneo allo scopo di svolgere l’essenziale funzione di critica della stessa.

La stessa considerazione deve farsi per il fatto che il motivo non assume come oggetto della doglianza tutta la motivazione con cui la corte di merito, dopo le prime due righe della pagina 4, ha argomentato la qualificazione del contratto come somministrazione: poiché detta motivazione viene ignorata, il motivo presenta nuovamente ed in modo se possibile ancora più esiziale l’appena segnalata ragione di inammissibilità.

1.3. Mette conto, peraltro, aggiuntivamente di rilevare che la sopra riportata motivazione della sentenza impugnata, dopo avere svolto le considerazioni giustificative della qualificazione del contratto come somministrazione ignorate dal motivo in esame, ha espressamente affermato che la stessa non aveva “dedotto quale altro criterio interpretativo avrebbe portato ad una diversa decisione, e non” aveva “esposto per quale ragione il criterio che si assume violato risulterebbe male applicato dall’esegesi seguita dal giudice di merito” di primo grado.

Ora, è palese che la sentenza impugnata ha in tal modo enunciato due rationes decidendi autonome rispetto a quella concernente la condivisione della qualificazione come somministrazione del contratto.

La prima costituita dall’inidoneità del motivo di appello a spiegare quale criterio di esegesi avrebbe dovuto indurre a qualificare il contratto diversamente, cioè come vendita a consegne ripartite.

La seconda costituita dalla mancata esposizione e dunque spiegazione del perché il criterio esegetico assunto dal motivo di appello come violato, cioè quello dell’art. 1362 c.c., era stato violato dal primo giudice.

Ebbene, il primo motivo si disinteressa di queste due rationes decidendi e tanto integra ulteriore ragione di sua inammissibilità, atteso che la sentenza resterebbe sorretta dall’una e dall’altra anche se il motivo non presentasse le ragioni di inammissibilità in precedenza indicate.

1.4. Si rileva, inoltre, che le enunciazioni che, successivamente all’inidonea ed esiziale mancanza di assunzione della motivazione della sentenza impugnata nella sua interezza, vengono svolte nell’illustrazione del motivo, non contengono alcuna enunciazione del perché il criterio esegetico dell’art. 1362 c.c., sarebbe stato violato. Non solo: nemmeno si identifica quale fra i diversi criteri indicate nella norma, che, com’e’ noto, ha contenuto gradato e composito, sarebbe stato violato.

L’illustrazione si risolve, dopo avere evocato giurisprudenza e dottrina sulla nozione del c.d. “accordo quadro”, nella postulazione che la corte territoriale avrebbe omesso di considerare la clausola B6), comma 1, del contratto, là dove essa prevedeva che “Phd consegnerà i prodotti a Postel S.p.a. sulla base degli Ordini di Consegna (OdC) che verranno trasmessi a PhD S.r.l. dall’Ufficio Acquisiti… di Postel S.p.a.”. Tale clausola evidenzierebbe che necessitavano degli ordini di consegna per manifestare l’intenzione di Postel di acquistare e ricevere quantitativi di merce e tanto evidenzierebbe la mancanza del “requisito, insito nel contratto di somministrazione, dell’unitarietà del negozio”.

L’assunto appare non solo assertorio, ma si fonda su una circostanza che non si dice se e dove era stata evidenziata ed in che termini nel giudizio di merito e segnatamente in appello, in tal modo non risultando dimostrato che la corte territoriale se ne dovesse occupare. Si aggiunga che ci si astiene dal coordinare la clausola con le altre.

Sicché, se anche la prospettazione de qua fosse esaminabile e non assorbita dalle plurime ragioni di inammissibilità del motivo, essa sarebbe anche di per sé inammissibile per novità e comunque per assoluta genericità.

1.5. Il primo motivo e’, dunque, dichiarato inammissibile.

1.6. Il secondo motivo assume come oggetto di critica la motivazione della sentenza impugnata limitatamente all’affermazione che: “Pertanto le difese di Postel dell’insussistenza dell’obbligo di un determinato quantitativo minimo di fornitura sono in fatto in antitesi con la natura stessa del contratto di somministrazione, dalla stessa voluto e stipulato come emerge dalla semplice lettura del contratto”.

Anche nel motivo in esame si deve rilevare che si omette di considerare ciò che precede la parte di motivazione in questione.

Inoltre, nemmeno si spiega come e perché sarebbe violato l’art. 1362 c.c. e con riferimento a quale criterio esegetico.

Il motivo si presta, pertanto, alle medesime valutazioni di inammissibilità esposte a proposito del primo, attesa la sua tecnica di deduzione.

Impinge, poi, nell’ulteriore inammissibilità determinata dalla mancata censura delle segnalate due autonome rationes decidendi.

Inoltre, evoca la clausola B5) circa il carattere meramente indicativo e passibile di modifica dei quantitativi, ma anche qui non si preoccupa di coordinarla con la successiva clausola B7).

1.7. Anche il secondo motivo e’, pertanto, inammissibile.

2. Con il terzo motivo si prospetta “erroneità della sentenza non definitiva e della sentenza definitiva in punto di riconoscimento del danno asseritamente occorso a PhD. Violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.” e si censura il rigetto della doglianza della Postel riguardo alla quantificazione del danno riconosciuto alla controparte.

Il motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 2697 c.c., del tutto al di fuori dei canoni indicati da Cass. n. 11892 del 2016 e ribaditi – in motivazione non massimata sul punto – da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e poi – sia quanto all’art. 115 c.p.c. al art. 116 c.p.c. – da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020. Infatti, si sollecita una rivalutazione della quaestio facti sulla base di riferimento alla c.t.u. e alle c.t.p., così richiedendo un sindacato sulla decisione di merito impugnata del tutto al di fuori dei limiti nei quali dell’art. 360 c.p.c., n. 5, lo consente riguardo alla quaestio facti, sicché, se anche – fermo che non denuncia effettivamente la violazione delle norme indicate e, dunque, è inammissibile sotto tale profilo – il motivo si apprezzasse ai sensi di tale paradigma sarebbe comunque inammissibile.

In fine, anche questo motivo omette di considerare la complessiva motivazione resa dalla corte territoriale per disattendere l’appello sul punto, dato che di essa evoca solo quattro righe.

2.1. Il motivo è dichiarato inammissibile.

3. Il ricorso, stante l’inammissibilità di tutti i suoi motivi, è dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro settemilatrecento, oltre Euro duecento per esborsi, le spese generali e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472