Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26320 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14713/2019 proposto da:

I NICCOLAI DI C. C. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34-B, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO BUFALINI;

– ricorrenti –

contro

M.M., rappresentato e difeso dall’Avv. ANDREA BRIGANTI DONATI, elett. dom. presso l’indirizzo PEC;

– controricorrente –

e contro

D.M.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 433/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. La società ricorrente I Niccolai di C. C. S.r.l., con atto notificato il 6 maggio 2019, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, numero 433/2019, pubblicata il 25 febbraio 2019 emessa in un giudizio avviato dalla società ricorrente nei confronti di M.M. per ottenere il pagamento di una penale contrattuale stabilita in un contratto di somministrazione di caffe’ stipulato nel 2001 con D.M.R., il quale nel settembre 2005 aveva ceduto l’azienda, esercente un bar, a M.M..

Il ricorso è stato trattato con fissazione della adunanza camerale ex art. 380 bis c.p.c., n. 1. Il ricorrente e il resistente hanno depositato memorie.

2. Per quanto interessa in questa sede, il giudizio era stato avviato innanzi al Tribunale di Pistoia con decreto ingiuntivo opposto dal resistente M. che a sua volta aveva chiamato in manleva il D.M.. Il Tribunale di Pistoia aveva ritenuto che la pretesa creditoria fosse infondata in quanto tra il primo e il secondo contratto, stipulato successivamente al passaggio dell’azienda, era intervenuta una novazione implicita del contratto precedente, risultando la diversità di oggetto tra il primo e secondo: il primo per una somministrazione di caffe’ e connesso comodato dello spazio per un bancone bar; il secondo per una vendita di caffe’ a consegne ripartite e connessa locazione di beni strumentali, oltre all’obbligo di vendere caffe’ unicamente di una certa marca e miscela.

3. Impugnata la sentenza dalla società qui ricorrente, la Corte d’appello di Firenze accoglieva la censura inerente al fatto che non si trattasse di una novazione, ma nel merito confermava la statuizione di rigetto della pretesa per motivi diversi. Assumeva che il contratto non si fosse novato nei suoi elementi essenziali, ma che ciononostante non ci si trovasse di fronte a un contratto rimasto inadempiuto dopo la stipula di un diverso contratto, posto che il rapporto contrattuale era rimasto invariato nei suoi elementi essenziali (oggetto della fornitura e ripartizione frazionata delle consegne di caffe’), pur avendo subito una diversa regolamentazione nei quantitativi di caffe’, escludendosi quindi che si fosse aggiunta una nuova obbligazione di fornitura di caffe’ alla precedente, tenuto conto che la successione nel rapporto contrattuale era intervenuta automaticamente ex art. 2558 c.c., fatto che ha comportato il subentro del cessionario nei contratti in corso, per il quale il monte acquisti di 2800 kg non era stato raggiunto in relazione al contratto originario del 2001, ma tuttavia non con riferimento agli acquisti complessivamente fatti dal 2001 al 2007 con riferimento a un monte di acquisti pattuito per 5050 kg.

RITENUTO

che:

4. Con il primo motivo si deduce violazione di legge, violazione o falsa applicazione dell’art. 1321 c.c., per avere ritenuto la Corte di merito possibile la modifica di alcuni patti relativi al primo contratto non conosciuto da colui che è succeduto nella gestione dell’attività dell’azienda ceduta.

5. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile in quanto il provvedimento risulterebbe carente nell’iter argomentativo da non consentire di comprendere il percorso logico giuridico della decisione.

6. I motivi sono da trattare congiuntamente in quanto connessi.

7. Quanto al primo motivo il ricorrente assume la violazione dell’art. 1321 c.c. e, dopo avere dissertato sulla funzione di tale norma, specificando che il patto modificativo possa essere configurabile solo in caso di esistenza di un collegamento tra contratto originario modificativo, assume che la Corte sarebbe incorsa in un evidente errore di diritto in considerazione del fatto che con il secondo contratto fatto sottoscrivere nel 2006 il resistente non poteva modificare alcunché per la semplice ma decisiva ragione che ignorava perfino l’esistenza del contratto da modificare.

8. Il motivo si risolve in una sollecitazione a rivalutare la quaestio facti, piuttosto che nella censura di violazione della norma di diritto dell’art. 1321 c.c. ed inoltre viola l’art. 366, n. 6, in quanto omette di riprodurre il contenuto dei documenti di cui discorre. Inoltre, lo scarno tenore dell’esposizione del fatto rende pure incomprensibili i riferimenti fatti al comportamento processuale ed alle difese del M..

9. Questo sulla base della sola lettura del motivo. Se si passa alla lettura della sentenza, peraltro, si evidenzia che l’illustrazione del motivo fa riferimenti ad essa del tutto incompleti e parziali, il che rende il motivo anche privo di effettiva idoneità a criticare la motivazione della sentenza impugnata.

10. La censura, difatti, involge una critica della sentenza incentrata sulla valenza dell’elemento di conoscenza del primo contratto in relazione alle modifiche contrattuali da operare.

11. Tuttavia l’argomentazione svolta non si rapporta alla intera ragione del decidere, posto che la sentenza ha ritenuto che non fosse decisivo scrutinare se il cessionario ignorasse o meno il precedente contratto, ma confrontare il contenuto del primo con quello del secondo, e ciò al fine di verificare se il primo rapporto si fosse mantenuto nei suoi elementi essenziali con l’apporto di modifiche non decisive, indicative solo di una diversa regolamentazione nel tempo in base al quantitativo totale da fornire.

12. Si tratta in realtà di una censura sull’attività interpretativa del rapporto contrattuale di somministrazione, avente carattere di durata, che non viene criticata sulla base dei corretti parametri normativi in ipotesi violati (artt. 1362 e segg.), ma solo sulla base di valutazioni in fatto che in questa sede sono del tutto insindacabili.

13. Oltretutto, non viene neanche menzionata la clausola contrattuale in questione, incorrendo la censura nel vizio di insufficiente deduzione ex art. 366 c.p.c., n. 6; difatti tale carenza nell’allegazione non permette di confrontarsi con la motivazione là dove la stessa sentenza osserva che la clausola contrattuale era chiara nel determinare l’applicazione della penale solo all’interruzione del rapporto e rispetto al residuo invenduto alla data dell’interruzione, che tuttavia la Corte di merito ha ritenuto non essersi mai, nei fatti, verificata.

14. Quanto alla motivazione di cui al secondo motivo, la censura si limita a criticare l’opinione della Corte d’appello laddove ha ritenuto inverosimile che il resistente si fosse assunto una ulteriore obbligazione di acquisto di caffe’ della medesima marca dovendo così aumentare addirittura del 150% gli acquisti settimanali a clientela invariata (cfr. pagina 15 rigo 11 seguenti della sentenza) limitandosi a ritenere che il giudizio personale soggettivo di verosimiglianza non può assurgere a base giustificativa del provvedimento giurisdizionale (cfr. pagina 15 del ricorso), senza però spiegare la ragione della nullità della sentenza dedotta sotto il profilo della motivazione perplessa ex art. 366 c.p.c., n. 4 e soprattutto senza rapportarsi al contenuto complessivo della decisione che non si dimostra intrinsecamente apparente, né incongruente, rispettando quindi il minimo costituzionale di cui ai precedenti resi dalle Sezioni Unite n. 8053/2014 e 22232/16.

15. Il motivo, infatti, è del tutto inidoneo ad evidenziare la censura di violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dato che nessuna spiegazione offre della “perplessità” ed obiettiva “incomprensibilità” che le addebita nell’intestazione e nemmeno del perché si tratterebbe di pseudo-motivazione, come sempre si indica nell’intestazione.

16. Pertanto, la motivazione non viene considerata nella sua complessiva articolazione.

17. Il motivo, in definitiva, risulta meramente assertorio e finisce per riproporre la questione – assolutamente di rivalutazione della quaestio facti – prospettata con il primo motivo.

18. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna alle spese, liquidate sulla base delle tariffe vigenti, oltre il raddoppio del Contributo Unificato, se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; per l’effetto condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte controricorrente, liquidate in Euro 3000,00, oltre Euro 200,00 per spese prenotate a debito dal Ministero, 15% di spese forfetarie e ulteriori oneri;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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