Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26321 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17487/2019 proposto da:

FLLI C. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FREZZA, 59, presso lo studio dell’avvocato EMILIO PAOLO SANDULLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PARISIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ASSUNTA VENTORINO;

– controricorrente –

e contro

V.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2269/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che 1. La società F.lli C. S.r.l. ricorre per cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli numero 2269/2019 del 24 aprile 2019 con la quale è stato rigettato l’appello proposto dalla società ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Benevento con la quale sono state rigettate le domande principali e, in accoglimento della domanda in riassunzione proposta dalle resistente V.L. e A., è stata condannata al pagamento delle somme portate da due decreti ingiuntivi, nonché alle spese del giudizio, con rigetto della domanda residuale di arricchimento indebito proposta in via subordinata.

2. La controversia origina dalla pretesa della società qui ricorrente di far valere un accordo tra la medesima e le due resistenti, in base al quale queste ultime avrebbero potuto utilizzare autovetture nuove, nell’arco di un periodo di 80 mesi a far data dal 2 agosto 2003 e sino al 7 maggio 2010 pari all’importo complessivo di Euro 500 mensili, oltre Iva, in cambio di prestazioni professionali rese in via forfetaria dalle due professioniste; in via gradata la società aveva richiesto l’indennizzo indennizzo ex art. 2041 c.c., per ingiustificato arricchimento.

3. Le due avvocatesse V. si erano costituite in giudizio per opporsi all’accoglimento della domanda principale negando alcun rapporto contrattuale avente ad oggetto la messa a disposizione di autovetture, in quanto le autovetture di proprietà della società sarebbero state utilizzate dall’avvocato V.L. – ex coniuge del signor C.A., legale rappresentante della società qui ricorrente – in virtù di una concessione in uso gratuito in essere tra i due coniugi, concessione che si sarebbe protratta anche dopo l’intervenuta separazione tra i coniugi. Le medesime, pertanto, agivano per far valere compensi professionali come liquidati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che hanno dato luogo alla contestuale proposizione di 10 azioni monitorie, separatamente opposte le quali, ne hanno determinato la riunione alla presente causa.

4. Il Tribunale di Benevento con sentenza del 5 settembre 2014 rigettava le domande della società e accoglieva la domanda in riassunzione proposta dalle avvocatesse qui resistenti con conseguente condanna al pagamento delle somme portate nei decreti ingiuntivi; rigettata in via preliminare l’eccezione di prescrizione del diritto formulata dalle resistenti, il Tribunale ravvisava l’infondatezza della domanda di pagamento del corrispettivo per la messa a disposizione delle autovetture nuove e sostituite ogni due anni in considerazione della mancata dimostrazione della stipula del relativo contratto, nonché in virtù del preesistente rapporto di coniugio sussistente tra il titolare della società e V.L., dal quale era possibile desumere che le vetture erano state date in comodato gratuito per il soddisfacimento delle esigenze familiari. Ugualmente veniva respinta anche la domanda formulata ex art. 2041 c.c., sulla scorta di rilievo che l’utilizzo delle autovetture trovava giustificazione nel comodato d’uso. Scrutinando poi le questioni inerenti alle richieste di pagamento delle prestazioni professionali, il Tribunale escludeva l’applicabilità del principio di infrazionabilità del credito perché la fonte dell’obbligazione non era unica ma ravvisabile in distinti incarichi professionali, e pertanto liquidava le richieste in base a autonomi e distinti rapporti di patrocinio, senza ritenere che si trattasse di un unico rapporto obbligatorio come dedotto dalla ricorrente, e ciò sulla base delle tariffe professionali vigenti (D.M. n. 127 del 2004).

5. Proposto appello dalla società qui ricorrente, nell’atto di impugnazione si puntualizzava che l’accordo circa l’utilizzo delle autovetture da parte della ex coniuge del legale rappresentante della società sarebbe ampiamente provato per comportamenti concludente delle parti, posto che non è mai stato contestato l’utilizzo nei termini indicati; nell’accordo di separazione consensuale inoltre non vi sarebbe stato alcun patto contemplante la messa a disposizione gratuita di autovetture, ed anzi vi era l’espressa rinuncia dell’avvocato V. all’assegno coniugale di contribuzione al suo mantenimento, essendo anche dirimente in questo senso il fatto che le resistenti avrebbero spontaneamente restituito l’ultima autovettura ricevuta dopo aver rinunciato ai mandati professionali conferiti, non appena la ricorrente ha richiesto il pagamento del corrispettivo inerente alla relativa utilizzazione. Inoltre assumeva che dalla data di separazione consensuale le stesse resistenti si erano astenute dal richiedere il pagamento di compensi professionali. In fine si deduceva anche la violazione di principi del giusto processo, correttezza e buona fede nel’avere ritenuto la frazionabilità del credito delle resistenti, riconducibile invece a un unico e unitario rapporto contrattuale, invocando in proposito il divieto della frazionabilità del credito sancito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con sentenza numero 23.726 del 15 novembre 2007.

6. La Corte d’appello di Napoli ha accolto l’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., con riguardo al quarto motivo di appello, mancando la pedissequa trasposizione delle parti della sentenza impugnate e l’indicazione delle modifiche da effettuare; nel merito rigettava integralmente l’appello, in quanto l’istruttoria effettuata non avrebbe acclarato l’esistenza di un rapporto di noleggio oneroso, mentre vi erano alcuni elementi peculiari della fattispecie che facevano emergere l’esistenza di un rapporto di comodato gratuito, quanto meno relativamente alla posizione di V.L., risultando plausibile che i costi di manutenzione fossero stati sopportati dall’ex marito, legale rappresentante della società qui ricorrente. In egual modo veniva rigettata la domanda sussidiaria di ingiustificato arricchimento, stante la qualifica di mandato gratuito del rapporto.

7. Riteneva inoltre che i rapporti di patrocinio affidati alle due professioniste fossero molteplici e differenti, non potendosi ritenere sussistente un credito unico infrazionabile quando le attività professionali esperite si configurano come una serie plurima di attività difensive autonome; inoltre riteneva non corretto il richiamo operato all’art. 39 c.p.c., in tema di litispendenza, la quale presuppone che la stessa vertenza si sia incardinata dinanzi uffici giudiziari diversi, mentre i giudizi riuniti erano pendente innanzi allo stesso Tribunale.

8. Infine veniva rigettato il sesto motivo ritenendo documentalmente provata l’attività professionale delle resistenti svolta con riguardo ai quattro decreti ingiuntivi opposti.

CONSIDERATO

che:

9. Il primo motivo denuncia: omissione di pronuncia. Violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e del principio della corrispondenza tra chiesto il pronunciato. Nullità della sentenza gravata relazione all’art. 360, n. 4.

10. Il motivo è inammissibile.

11. Il motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., esordendo con il dire che “il vizio fondamentale della sentenza impugnata è quello di non aver affatto scrutinato i motivi di appello e, quindi, di non aver indicato le ragioni del loro rigetto”. Già questa dichiarazione, per così dire programmatica, evidenzia come in realtà ci si ponga del tutto al di fuori del profilo che corrisponde al vizio di cui all’art. 112 c.p.c., atteso che esso si configura, con specifico riguardo alla decisione resa in appello allorquando uno o più motivi non siano stati esaminati dalla sentenza resa dal giudice d’appello, e non già allorquando quel giudice li abbia esaminati e rigettati ma astenendosi dal precisare le ragioni del rigetto.

12. In quest’ultimo caso, il vizio deducibile è semmai l’assenza di motivazione sulla decisione di rigetto del o dei motivi di appello ed il paradigma normativo di riferimento è l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

13. La lettura della lunga esposizione si rivela conforme all’inidoneo “programma” annunciato, in quanto nelle pagine ad essa dedicate si procede a riassumere – dopo un rinvio alle pagine 28-35 – il primo motivo di appello e, quindi, dopo avere riprodotto una parte della sentenza di primo grado ed una parte della motivazione, si sostiene che la mera comparazione tra quanto riportato della prima e quanto riportato della seconda evidenzierebbe che il giudice di appello si sarebbe limitato a riproporre la motivazione della sentenza di primo grado.

14. Lo stesso iter espositivo – sempre rinviando alle pagine dell’atto di appello – viene proposto, sia pur senza riprodurre parti delle due decisioni di merito, a proposito del secondo, del terzo e del quarto motivo.

15. Poiché, come si è detto, il motivo non corrisponde al paradigma dell’art. 112, tanto basta a ritenerlo infondato, non senza doversi rilevare che non è possibile riconvertirlo a violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, atteso che si dice che la sentenza di appello si sarebbe adagiata su quella di primo grado, il che rappresenta una motivazione esistente.

16. Peraltro, la tecnica del rinvio generico alle pagine dell’atto di appello non consente nemmeno di riconvertire il motivo sub specie di omesso esame di fatti alla stregua dell’art. 360 c.p.c., n. 5, giusta gli insegnamenti di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013.

17. Il secondo motivo prospetta: “nullità della sentenza impugnata. Violazione dell’art. 111 Cost.. Violazione dell’art. 112 c.p.c.. Violazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari in particolare ex art. 360 c.p.c., n. 3”. Si denuncia che la sentenza sarebbe affetta da evidenti gravi perplessità e stridenti contraddizioni.

18. Anche in questo caso il motivo denuncia, evocando a torto il paradigma dell’art. 112 c.p.c. e quindi quello dell’art. 111 Cost., comma 7, anziché quello codicistico dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, motivazione apparente e perplessa sempre sui motivi di appello evocati nel motivo precedente e per quanto ivi indicato, ma è palese che anche applicando alla doglianza la norma codicistica, si è fuori del vizio di cui ad essa, il quale deve evidenziarsi sulla base della sola lettura della motivazione e non di elementi aliunde.

19. Il motivo, inoltre, è inammissibile in quanto non si rapporta alla ratio decidendi ma solo ai precedenti in merito a detto vizio, senza che tuttavia la ricorrente si soffermi sui passaggi percepiti come inintelligibili della sentenza con riferimento al caso concreto.

20. Il terzo motivo fa valere: “violazione degli artt. 1321,1322,1325,1326 e 1327 c.c. e dei principi generali sul perfezionamento del contratto per fatti concludenti e sulla sua efficacia vincolante. Violazione art. 1362 c.c., commi 1 e 2, violazione del principio della letteralità. Violazione del valore ermeneutico del comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto. Violazione dei principi ermeneutici in tema di interpretazione del contratto. Violazione degli artt. 1803,1806 e 1808 c.c. e del principio che pone le spese per uso del bene in comodato a carico del comodatario. Violazione degli artt. 2697 2722 e dei principi generali sul riparto dell’onere della prova sull’ammissibilità della prova testimoniale violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

21. Quanto alla denuncia delle norme sull’esegesi dei contratti e delle altre, oltre l’assenza di attività chiaramene assertiva del come e del perché ognuna di esse sarebbe stata violata, il motivo non argomenta in iure né sotto il profilo della violazione di legge né sotto quello della falsa applicazione, e si risolve in una sollecitazione a rivalutare la quaestio facti, così ponendosi del tutto al di fuori dei limiti in cui è consentito il controllo sulla sua ricostruzione vigente dell’art. 360, n. 5, nel testo attuale. La violazione dell’art. 2697 e dell’art. 115 è dedotta senza rispettare i criteri indicati per il primo da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 (in motivazione non massimata) e per il secondo da Cass. n. 18192 del 2016 e da detta SS.UU. e da numerose conformi ribaditi. Il motivo è inammissibile.

22. Con il quarto motivo (indicato come motivo “V”) gradatamente si deduce “violazione degli artt. 2697 e 2722 c.c.. Violazione dell’art. 2041 c.c., violazione dell’art. 115 c.p.c. e del principio dispositivo. Violazione dei principi generali in tema di indebito arricchimento relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, e ciò in relazione alla statuizione di rigetto della domanda gradata di indennizzo per indebito arricchimento. Il motivo è inammissibile in quanto poggia su un assunto – in tesi ritenuto errato – relativo alla sussistenza del contratto di comodato gratuito che, invece, è stato affermato come provato dalla Corte di merito con valutazione insindacabile e collegata agli elementi di prova osservati.

23. Detto motivo, pertanto, nuovamente non argomenta in iure né sotto il profilo della violazione di legge né sotto quello della falsa applicazione, ma si limita a dissentire dalla ricostruzione e dall’apprezzamento del fatto di cui alla sentenza impugnata.

24. Il quinto motivo (indicato con il numero romano “VI”) deduce “violazione dei principi del giusto processo di correttezza e buona fede; violazione del principio di frazionabilità del credito e consequenziale inammissibilità delle domande frazionate di pagamento formulate dalle resistenti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

25. Il motivo è dichiaratamente detto consequenziale all’accoglimento del primo e, pertanto, stante la sorte di quest’ultimo, resta assorbito.

26. Il sesto motivo (indicato erroneamente come VII motivo) deduce: “violazione dell’art. 342 c.p.c. e del principio di specificità dell’impugnazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3". Si deduce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile ex art. 342 c.p.c., il quarto motivo di appello (relativo alla violazione della tariffa forense di cui al D.M. n. 127 del 2004) con argomentazioni manifestamente contrarie al diritto in tema di contenuto dell’appello.

27. Il motivo è fondato. Si rileva, in primo luogo, che la ricorrente ha chiaramente ed analiticamente indicato l’atto di appello in parte qua e lo ha indicato come prodotto, sicché risulta rispettato l’art. 366 c.p.c., n. 6. Mette conto, poi, di rilevare che la sentenza impugnata dapprima evoca la giurisprudenza di merito disattesa da Cass., Sex. Un., n. 27199 del 2017, che dichiara di condividere, ma, di seguito si astiene dall’applicare in concreto i suoi principi. Dalla lettura dell’atto di appello emerge che esso era specifico. Nell’atto di appello, nella parte in fatto, erano stati indicati gli errori commessi dal Tribunale nella ricostruzione del fatto e la lettura del quarto motivo di appello, in particolare alle pp. 42-65, evidenzia che esso era specifico. Ne segue che il quarto motivo di appello non avrebbe potuto dichiararsi inammissibile ed avrebbe dovuto essere scrutinato dalla corte territoriale. Sul punto la sentenza è cassata e il giudice di rinvio provvederà ad esaminare il merito del detto motivo.

28. La Corte di merito, invece, non si pone in coerenza con quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza di cui a Cass. SU numero 27199 del 16 novembre 2017, là dove afferma che l’appello deve necessariamente trascrivere pedissequamente” il passo della sentenza impugnata, e, inoltre deve necessariamente indicare la proposta alternativa di decisione. E’ sufficiente, difatti, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

29. La censura, pertanto, avrebbe dovuto essere pienamente scrutinata ed esaminata, anziché essere erroneamente dichiarata inammissibile per difetto di formulazione della censura nei rigorosi e più ristretti termini indicati dalla Corte di merito, in contrasto con il precedente richiamato.

30. Con il settimo motivo (indicato come VIII motivo) si deduce “violazione dell’art. 39 c.p.c. e del principio del ne bis in idem in relazione alle domande di pagamento proposti con gli atti di riassunzione dei quattro giudizi incardinati ai numero 1479, 1481 1483 e R.G. 3657 del 2011 del Tribunale di Benevento, riuniti al presente giudizio e con le domande riconvenzionali proposte dei due giudizi di opposizione al decreto ingiuntivo incardinati coi numeri R.G. 3445 e 3708 del 2010 del Tribunale di Benevento. Si assume che la Corte d’appello abbia erroneamente rigettato il quinto motivo di appello, con il quale era stata richiesta la riforma della sentenza di primo grado perché le resistenti, dopo aver formulato un’unica domanda riconvenzionale al fine di ottenere il pagamento di tutti i crediti professionali maturati – e precedentemente oggetto di ben 10 decreti ingiuntivi – hanno poi riassunto i quattro giudizi d’opposizione al decreto ingiuntivo pendenti dinanzi ai giudici di pace, aventi tutti ad oggetto il pagamento dei crediti professionali, oggetto della domanda riconvenzionale. Tanto avrebbe operato in manifesta violazione delle norme dei principi sopra rubricati.

31. Il motivo è inammissibile, in quanto si disinteressa della motivazione, giusta o sbagliata che sia stata, enunciata dalla Corte territoriale a proposito del quinto motivo di appello: non correlandosi alla motivazione il motivo è inammissibile alla stregua del consolidato principio di diritto affermato da Cass. n. 359 del 2005 e ribadito da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017.

32. L’ottavo motivo (indicato come IX motivo) deduce: “violazione dell’art. 2697 c.c., del principio dell’onere della prova ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al sesto motivo di appello”, tramite il quale era dedotta la infondatezza, per carenza di prova, delle domande riconvenzionali e delle domande monitorie proposte dalle due legali. La Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto infondato il motivo, là dove assume senza un’effettiva motivazione e spiegazione che le prestazioni di cui ai decreti ingiuntivi dei fascicoli riuniti risultavano documentalmente provate mediante atti e verbali di causa.

33. Il motivo è fondato sotto il profilo in cui sostanzialmente assume una mancanza ed apparenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla spiegazione del come e del perché la documentazione genericamente evocata avrebbe fornito la prova delle prestazioni. La sentenza è cassata sul punto ed il giudice di rinvio provvederà a rendere una motivazione effettiva spiegando la ritenuta efficacia probatoria della documentazione.

34. Il nono motivo (indicato come X motivo) deduce violazione del D.M. n. 125 del 2014 (recte 2004) per errata e incongrua determinazione dei diritti di procuratore afferenti alle prestazioni professionali oggetto dei crediti contestati delle resistenti. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del sesto motivo, in quanto la corte di rinvio, dopo avere spiegato – in adempimento di quanto disposto con la cassazione per il motivo precedente – perché la documentazione prodotta in sede monitoria era idonea sul piano probatorio potrà e dovrà esaminare quando si lamenta con il motivo in questione.

35. Conclusivamente il ricorso va accolto con riguardo al sesto e ottavo motivo.

Gli altri motivi sono dichiarati inammissibili ad eccezione del quinto e del nono, che sono dichiarati assorbiti. La sentenza è cassata in relazione ai due motivi accolti, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto e l’ottavo motivo di ricorso. Dichiara inammissibili gli altri motivi, ad eccezione del quinto e del nono, che dichiara assorbiti. Cassa la sentenza in relazione ai due motivi accolti e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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