LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 8373 del ruolo generale dell’anno 2019 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, (fondazione di diritto privato; C.F.: *****), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dagli avvocati Giuseppe Tinelli, (C.F.:
TNLGPP53E31E506L), e Massimo Ridolfi, (C.F.: RDLMSM73H05H501R);
– ricorrente –
nei confronti di:
ADER – AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (C.F.: *****), in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.:
*****);
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 5487/2018, pubblicata in data 5 settembre 2018;
udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 20 maggio 2021 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di Equitalia Sestri S.p.A., agente della riscossione per la provincia di Asti, per gli importi dei crediti iscritti nei ruoli trasmessi all’agente nel 1999, rimasti insoluti e non riversati all’ente creditore (per complessivi Euro 5.783,67, oltre accessori).
L’opposizione della società ingiunta è stata rigettata dal Tribunale di Roma.
La Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece accolta, revocando il decreto ingiuntivo. Ricorre la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso l’ADER – Agenzia delle Entrate – Riscossione (subentrata all’agente della riscossione ingiunto nelle posizioni giuridiche soggettive per cui è causa).
Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Si premette che le questioni di diritto poste alla base del presente ricorso sono state già affrontate e decise da questa Corte, in controversie aventi identico oggetto (ma relative a diverse circoscrizioni territoriali), con esito favorevole per l’agente della riscossione (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12229 del 09/05/2019, Rv. 653891 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11972 del 19/06/2020, Rv. 657922 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 26531 del 20/11/2020; Sez. 3, Sentenza n. 15094 del 31/05/2021, queste ultime non massimate).
Il collegio intende conformarsi e dare piena continuità a detti precedenti, condividendo i principi di diritto in essi affermati.
2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 529, D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, artt. 1 e 2, art. 3 Cost., art. 35 Cost., comma 1, art. 36 Cost., comma 1, art. 38 Cost., art. 42 Cost., comma 3, art. 97 Cost., comma 2, nonché art. 117 Cost., comma 1, anche in relazione all’art. 6 CEDU (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
Il motivo è infondato.
Secondo la ricorrente, le disposizioni di cui alla L. n. 228 del 2012, non potrebbero ritenersi applicabili alla Cassa, in quanto ente di natura privata che non gode di sovvenzioni pubbliche, in base ad una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento, dal momento che le predette disposizioni determinerebbero sostanzialmente una sorta di espropriazione dei crediti iscritti a ruolo, in danno degli enti creditori, senza alcun indennizzo (sul piano formale e sostanziale per i crediti inferiori ad Euro 2.000,00 e, quanto meno su quello sostanziale, anche per quelli di importo superiore).
In proposito, nei precedenti di questa stessa Corte indicati in premessa è stato peraltro chiarito che la normativa cui fa riferimento la Cassa ricorrente non incide direttamente sul diritto di credito (neanche per i crediti inferiori ad Euro 2.000,00), ma esclusivamente sulla relativa iscrizione a ruolo, che essa è applicabile alla Cassa Forense e che tale applicabilità non è irragionevole né sospettabile di illegittimità costituzionale o di contrasto con il diritto dell’Unione Europea, in quanto ha lo scopo di razionalizzare i bilanci degli enti creditori, pubblici o privati, che provvedono alla riscossione mediante ruolo, inserendosi in un percorso normativo complesso di riordino del servizio di riscossione dei crediti previdenziali e in generale di pubblico interesse, avviato sin dal 1999, tale da escludere che si sia inteso semplicemente incidere su giudizi in corso in senso favorevole allo Stato (si veda, in particolare, il principio di diritto espressamente enunciato in Cass. n. 12229 del 2019: “alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ente privatizzato del D.Lgs. n. 509 del 1994, ex art. 1, ma deputato allo svolgimento di una funzione pubblica quale quella previdenziale, è concesso “ex lege” di provvedere alla riscossione mediante ruolo e pertanto, si applica ad essa la procedura, prevista dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 527-529, di annullamento del ruolo per i crediti più risalenti – antecedenti al 1999 – introdotta ai fini della razionalizzazione dei bilanci degli enti creditori pubblici o privati che provvedono alla riscossione mediante ruolo; la richiamata disciplina presenta un duplice profilo di ragionevolezza, tenuto conto che, per i crediti inferiori ad Euro 2.000,00, scongiura la antieconomicità della riscossione in ragione del presumibile rapporto negativo tra costi dell’esazione e benefici dell’eventuale riscossione e che, per quelli superiori ad Euro 2.000,00, non incide sui diritti di credito degli enti ma solo sulla procedura di riscossione, atteso che l’annullamento del ruolo non coincide con l’annullamento del credito sottostante, che ben potrà essere successivamente azionato dall’ente secondo l’ordinaria procedura”; analoghe conclusioni sono enunciate in Cass. n. 11972, n. 26531 del 2020 e n. 15094 del 2021, con specifica esclusione, altresì, di ogni dubbio di contrasto della disciplina in esame con norme e principi ricavabili dall’ordinamento sovranazionale Europeo).
In base a tali principi di diritto, cui il collegio intende dare piena continuità, le censure di cui al motivo di ricorso in esame non possono trovare accoglimento.
3. Con il secondo motivo si denunzia “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 276 c.p.c., comma 2 e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.
Con il terzo motivo si denunzia “Nullità della sentenza per violazione dell’artt. 112 c.p.c., c.d. “omessa pronuncia” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.
Il secondo e il terzo motivo sono connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
Secondo la ricorrente, la corte di appello avrebbe ritenuto erroneamente assorbito il proprio gravame incidentale, con il quale aveva sostenuto che i rapporti giuridici con l’agente della riscossione relativi ai crediti iscritti a ruolo nel 1999 dovevano ritenersi ormai esauriti, con perdita per quest’ultimo del cd. diritto al discarico a causa del mancato tempestivo invio delle comunicazioni di inesigibilità, non potendo del resto i relativi termini ritenersi prorogati ininterrottamente fino al sopraggiungere della L. n. 228 del 2012. Sussisterebbe pertanto, a suo avviso, con riguardo a tale questione, un vizio della decisione per difetto assoluto di motivazione o, in subordine, per omessa pronuncia.
3.1 Risulta in proposito assorbente il rilievo dell’infondatezza della questione di diritto posta alla base dei motivi di ricorso in esame, che va ribadita (anche per quanto possa occorrere, quale correzione e/o integrazione, sul punto, della motivazione della decisione impugnata, il cui dispositivo risulta comunque conforme a diritto).
Secondo quanto affermato nei precedenti di questa Corte richiamati in premessa, infatti, non si è affatto determinato il preteso esaurimento dei rapporti tra ente creditore ed agente della riscossione per essere intervenuta la scadenza dei termini per l’invio delle comunicazioni di inesigibilità di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, in virtù della soluzione di continuità verificatasi tra le varie proroghe di detti termini. Tale soluzione di continuità va infatti esclusa per le cd. “proroghe specifiche”, relative ai rapporti interessanti i ruoli trasferiti ai soggetti del gruppo pubblico Equitalia – e, successivamente, alla Agenzia delle Entrate-Riscossione, come nella specie – in conseguenza della cessazione dell’affidamento in concessione del servizio di riscossione (cfr., sul punto, in particolare, Cass. n. 15094 del 2021, nonché Cass. n. 11972 e n. 26531 del 2020, in cui è affermato il seguente principio di diritto, cui intende darsi continuità: “in tema di riscossione delle imposte mediante ruoli e di procedura di discarico dei crediti inesigibili, solo per l’agente della riscossione pubblico, e quindi anche per i ruoli trasferiti ai soggetti del gruppo pubblico Equitalia – e, poi, ad Agenzia delle Entrate-Riscossione – in conseguenza della cessazione dell’affidamento in concessione del servizio di riscossione, è stata prevista una proroga, ininterrottamente reiterata fino alla L. n. 228 del 2012, del termine di decadenza per l’invio della comunicazione di inesigibilità di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19; ne consegue l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 59, comma 4-quater, del citato decreto in quanto dettata esclusivamente per gli ex-concessionari privati e per le società private “scorporate”, resesi cessionarie del relativo ramo di azienda, in relazione ai quali soltanto viene in rilievo la questione della soluzione di continuità nelle proroghe dei detti termini, determinatasi tra la scadenza del termine dell’1 ottobre 2004 e la successiva proroga disposta con D.L. n. 282 del 2004").
3.2 Sebbene quanto appena osservato risulti assorbente ai fini della decisione dei motivi di ricorso in esame, per completezza di esposizione può altresì rilevarsi che (come già chiarito sia in Cass. n. 12229 del 2019 che in Cass. n. 15094 del 2021), per ritenere effettivamente esaurito il rapporto tra l’ente creditore e l’agente della riscossione, con la perdita del diritto al discarico per quest’ultimo, sarebbe stato comunque necessario l’espletamento ed il completamento (in senso negativo) della “procedura di discarico per inesigibilità e reiscrizione nei ruoli” di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, che richiede la comunicazione di inesigibilità da parte dell’agente della riscossione e/o in ogni caso un provvedimento espresso di diniego del discarico da parte dell’ente creditore, contestabile dall’agente della riscossione ed impugnabile davanti al giudice contabile.
In proposito, non potrebbe d’altra parte darsi seguito all’assunto della ricorrente, la quale sostiene che al diniego di discarico sarebbe equipollente l’azione giudiziaria proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, sussistendo la giurisdizione del giudice ordinario sul merito del rapporto.
Nei precedenti richiamati dalla stessa ricorrente a sostegno di tale assunto (cfr., per tutti: Cass., Sez. U., Ordinanza n. 10132 del 20/06/2012, Rv. 622752 – 01), la giurisdizione del giudice ordinario risulta in realtà affermata, in generale, sulla pretesa del riversamento degli importi esatti e con riguardo alla sola questione della pretesa natura pubblica della Cassa Forense (che è stata negata), non specificamente in relazione all’impugnazione del provvedimento di diniego di discarico, per il quale rileva invece l’espressa previsione della giurisdizione della Corte dei Conti, di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, senza che abbia rilievo la natura pubblica o privata dell’ente creditore (cfr., in particolare, sul punto, Cass. n. 15094 del 2021).
4. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021
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