LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34030-2019 proposto da:
COMIFIN S.P.A IN LIQUIDAZIONE, con sede in *****, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore Dott. C.E., nonché SELMA BIPIEMME LEASING S.P.A., in persona della procuratrice speciale Dott.ssa O.G., quale mandataria/sostituto servicer, con facoltà di subdelega, di Pharma Finance 4 s.r.l., entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonio Nardone, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Milano, alla via Vivaio n. 24.
– ricorrenti –
contro
FALLIMENTO ***** S.A.S., in persona del curatore Avv. Roberta Napolitano, nonché M.N. e ***** S.A.S., con sede in *****, in persona del liquidatore dei relativi concordati Dott. Cr.Gi., tutti rappresentati e difesi, giusta procure speciali allegate in calce al controricorso, dall’Avvocato Alessandro Lanzi, con cui elettivamente domiciliano presso lo Studio Legale e Tributario DLA Piper, in Roma, alla via Dei Due Macelli n. 66.
– controricorrenti –
avverso il decreto n. cronol. 1561/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato in data 09/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 23/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza dell’11 novembre 2016, n. 306, il Tribunale di Napoli dichiarò il fallimento della ***** s.a.s.” e del suo socio accomandatario M.N..
1.1. La Comifin s.p.a., dichiarando di agire in proprio ed in qualità di sub-mandataria e subservicer di SelmaBipiemme Leasing s.p.a., a sua volta mandataria/sostituto servicer di Pharma Finance 4 s.r.l., propose due domande di insinuazione: la prima, avente ad oggetto la richiesta di ammissione al passivo “sociale” del credito maturato in relazione al leasing immobiliare n. *****; la seconda, invece, riguardante l’ammissione al passivo “personale” del socio fallito “in estensione” dei crediti maturati in relazione al contratto di finanziamento n. *****, alla fideiussione prestata per il leasing strumentale n. ***** ed alla fideiussione prestata per i leasing immobiliari n. ***** e n. *****.
1.2. Entrambe tali domande furono disattese dal giudice delegato, sicché la menzionata creditrice promosse distinte opposizioni L. Fall., ex art. 98, innanzi al tribunale partenopeo, i cui corrispondenti giudizi assunsero, rispettivamente, il n. 20505/17 (quello riguardante l’insinuazione al passivo sociale) ed il n. 20502/17 (quello afferente l’invocata ammissione al passivo personale) del ruolo generale di quell’ufficio. La curatela fallimentare si costituì solo in questo secondo giudizio.
1.3. Questi due procedimenti sono stati contestualmente trattati e decisi dall’adito tribunale, benché senza adozione di alcun provvedimento di loro riunione, all’udienza del 9 ottobre 2019, all’esito della quale risultano essere stati emessi formalmente due decreti, uno per ciascuno dei suddetti procedimenti (n. 1560 nel fascicolo del giudizio n. r.g. 20505/2017; n. 1561 nel fascicolo del giudizio n. 20502/2017), recanti, però, motivazioni affatto identiche.
1.3.1. In essi, sono stati esaminati i contratti ed i crediti oggetto di entrambi i procedimenti e si è pronunciato il rigetto delle due opposizioni.
1.3.2. In particolare, il tribunale ha ritenuto che: i) “con riferimento al procedimento n. 20303/17 e con riferimento ai tre leasing di cui al 20502/17, nessun credito compete all’opponente posto che tutti i contratti risultano risolti per inadempimento del conduttore e vi è restituzione dei beni al fornitore”; ii) “trattasi pacificamente di leasing traslativi (essendo previsto un pretto di riscatto irrisorio) e che alla data della risoluzione/inadempimento risultava essere stato pagato quasi per intero il preso di acquisto, onde, ai sensi dell’art. 1526 c.c., “se la risoluzione del contratto ha luogo per inadempimento del conduttore, il locatore deve restituire le rate riscosse e salvo il diritto all’equo compenso ed il risarcimento del danno””; iii) “nella fattispecie, l’equo compenso non può che essere parametrato al valore locativo che, nel primo caso esaminato (n. 20505/17), trova riscontro nell’allocazione sul mercato operata dalla stessa curatela e che negli altri casi può ragionevolmente parametrarsi in misura pari a circa il 50% dell’acquisto capitalizzato nel periodo in considerazione”; iv) “laddove sia convenuto che “le rate pagate restano acquisite al venditore a titolo di indennità”, il capoverso dell’art. 1526 c.c., prevede comunque il potere del giudice di ridurre ad equità l’indennità convenuta ai sensi dell’art. 1384 c.c., onde, anche sotto tale profilo, nessun ulteriore importo può essere ricavato in virtù di tali contratti dovendo essere ridotta l’eccedenza della penale nei limiti di quanto già versato alla società di leasing; v) “con riferimento al finanziamento n. *****, è desumibile dalla stessa prospettazione dell’opponente l’intercorso pagamento di tutte le rate ad eccezione di quelle maturate tra ottobre 2015 e aprile 2016 allorquando residuava un capitale di soli Euro 27.250,08 (onde risulta restituire Euro 800 mila circa a fronte di Euro 650 mila oggetto di finanziamento)”; vi) “anche con riferimento a tale ultima fattispecie, non vi è prova dell’esistenza di un credito residuo da parte dell’opponente, il quale non ha provato la legittima applicazione di tassi superiori alla misura minima garantita del 4% e che slatta circostanza può dirsi assorbente rispetto ad ogni altra questione di rito e di merito ivi compresa la eventuale nullità della clausola determinativa degli interessi che rinvia per relationem ad una vicenda per sua natura non compatibile di espressione in un dato numerico…”; vii) quanto agli ulteriori “Euro 53.867,74, trattasi di mera duplicazione della partita già richiesta (RG 20505/17)”, esulando “dal presente giudizio di merito eventuali responsabilità risarcitorie nei confronti della fallita per la illegittima negoziazione di un immobile affetto da irregolarità urbanistiche”.
2. Contro il decreto recante il n. 1561/2019, formalmente reso nel giudizio di opposizione n. 20502/2017 r.g., ricorrono per cassazione la Comifin s.p.a. in liquidazione e la Selma Bipiemme Leasing s.p.a., quest’ultima quale mandataria/sostituto servicer di Pharma Finance 4 s.r.l., affidandosi a tre motivi. Resistono, con unico controricorso, il Fallimento della ***** s.a.s.”, in persona del suo curatore, nonché M.N. e la ***** s.a.s.”, entrambi in persona del Dott. Cr.Gi., liquidatore del concordato del fallimento ***** s.a.s.” e del concordato del fallimento Dott. M.N.. Risultano depositate memorie ex art. 380-bis c.p.c., di entrambe le parti costituite.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e della L. Fall., art. 99, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il decreto impugnato è affitto da nullità per carenza di motivazione”. Si censurano le “gravi lacune motivazionali del decreto impugnato” e le descritte “affermazioni inconciliabili” ed inidonee “ad esplicare le ragioni della decisione e, in ogni caso, a far comprendere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento”, contenute nello stesso, del quale, pertanto, si invoca la nullità;
II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., e della L. Fall., artt. 72 e 72-quater, nonché della L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale ha erroneamente rigettato l’opposizione ed escluso la sussistenza dei crediti relativi al leasing applicando al caso di specie le disposizioni dell’art. 1326 c.c.”. Si ascrive al tribunale di aver disatteso i principi sanciti dalle decisioni rese da Cass. n. 18543 del 2019 e da Cass. n. 8980 del 2019 quanto alla disciplina concretamente applicabile alle fattispecie di leasing per cui è causa;
III) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 99, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.c., comma 1, n. 3, in quanto a fondamento della decisione il Tribunale ha posto circostanze non dedotte in corso di causa ed anzi contrarie a quanto incontrastabilmente emerso”. Si assume che, nell’articolare la propria decisione, il tribunale era partito dal presupposto che i beni oggetto dei contratti di leasing erano stati riconsegnati: circostanza, quest’ultima, non dimostrata e che, con riferimento al contratto n. *****, oggetto del giudizio n. r.g. 20505 del 2017, neppure era stata mai dedotta, ponendosi addirittura in contrasto con quanto pacificamente riconosciuto dalle parti.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. Invero, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 9 ottobre 2019), deve ritenersi ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciatile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020, Cass. n. 23620 del 2020 e Cass. n. 395 del 2021) o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., n. 24395 del 2020).
2.2. Il vizio di omessa o apparente motivazione di un provvedimento decisorio sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass. n. 9017 del 2018, in motivazione; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Più in particolare, al fine di non incorrere nella motivazione apparente, equiparabile a difetto assoluto di motivazione, il contenuto della stessa deve comprendere il racconto sia del processo dinamico di formazione dell’atteggiamento psicologico del giudicante espresso nella decisione assunta, sia del risultato del passaggio logico dall’ignoranza, quale iniziale posizione statica, alla conoscenza sotto la specie del giudizio, quale posizione statica finale di approdo a seguito dell’attività di acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 9017 del 2018, in motivazione; Cass. n. 1450 del 2009). E’ perciò possibile ravvisare una motivazione apparente laddove le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.
2.3. Un simile vizio, da apprezzare non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva, è insussistente nella specie.
2.3.1. Giova premettere che, in questa sede, è impugnato il decreto del Tribunale di Napoli n. 1561/2019, reso con specifico riferimento al giudizio di opposizione L. Fall., ex art. 98, recante il n. r.g. 20502/17, intrapreso da Comifin s.p.a., in proprio e nelle indicate qualità, al fine di contestare la mancata ammissione al passivo “personale” del socio accomandatario M.N., dichiarato in estensione a quello della ***** s.a.s.”, dei pretesi crediti maturati in relazione al contratto di finanziamento n. *****, alla fideiussione prestata per il leasing strumentale n. ***** (non adempiuto dalla utilizzatrice e debitrice principale) ed alla fideiussione prestata per i leasing immobiliari n. ***** e n. ***** (non adempiuti dalla utilizzatrice e debitrice principale). Si prenderanno, dunque, in esame esclusivamente i due capi di decisioni riguardanti questa domanda di insinuazione (mentre quella ulteriore, avente ad oggetto la richiesta di ammissione al passivo “sociale” del credito maturato in relazione al leasing immobiliare n. *****, sarà trattata scrutinandosi il diverso ricorso proposto dagli stessi soggetti oggi ricorrenti avverso il decreto n. 1560/2019 del medesimo Tribunale di Napoli, di tenore identico a quello n. 1561/2019, ma reso all’esito giudizio L. Fall., ex art. 98, recante il n. 20505/17, specificamente intrapreso da quei soggetti per contestare il rigetto della relativa domanda oppostogli dal giudice delegato).
2.3.2. Fermo quanto precede, il menzionato decreto n. 1561/2019 nel rigettare le richieste della parte opponente, ha escluso dal passivo del fallimento “personale” del socio accomandatario M.N. sia il credito derivante dal contratto di finanziamento n. ***** sia il credito derivante dalle fideiussioni prestate per i contratti di leasing nn. *****, ***** e *****.
2.3.2.1. Circa il primo, il tribunale, dopo aver preso atto di quanto dichiarato dalle parti (cfr. pag. 3 del decreto impugnato) circa l’entità del finanziamento, la misura degli interessi (pretesi al tasso dell’8,4%, ma riconoscibili non oltre la misura minima garantita del 4%) e di quanto restituito fino alla data del fallimento, ha essenzialmente rilevato non esserci “prova dell’esistenza di un credito residuo da parte dell’opponente, il quale non ha provato la legittima applicazione di tassi superiori alla misura minima garantita del 4%, e che siffatta circostanza può dirsi assorbente rispetto ad ogni altra questione di rito e di merito ivi compresa la eventuale nullità della clausola determinativa degli interessi che rinvia per relationem ad una vicenda per sua natura non compatibile di espressione in un dato numerico…”. Per tale ragione, quel giudice ha concluso nel senso che quanto incassato da Comifin fosse già interamente satisfattivo dell’intera pretesa creditoria. L’iter logico ivi rinvenibile e’, quindi, agevolmente ricostruibile nel senso che il rimborso concretamente effettuato da parte del fallito era avvenuto sulla base di un tasso di interesse (8,4%) ben maggiore di quello (4%) che sarebbe stato legalmente esigibile, sicché, ricalcolandosi il dovuto applicandosi il tasso minore, non sarebbe residuato alcun suo debito nei confronti di Comifin s.p.a..
2.3.2.2. Quanto, invece, al credito derivante dalle fideiussioni prestate per i contratti di leasing nn. *****, ***** e *****, il decreto impugnato, dopo aver premesso gr. pag. 4) che si era al cospetto di “…leasing traslativi (essendo previsto un prezzo di riscatto irrisorio) e che, alla data della risoluzione/ inadempimento, risultava essere stato pagato quasi per intero il prezzo di acquisto, onde, ai sensi dell’art. 1526 c.c., “se la risoluzione del contratto ha luogo per inadempimento del conduttore il locatore deve restituire le rate riscosse e salvo il diritto all’equo compenso ed il risarcimento del danno””, ha affermato che: i) “nella fattispecie, l’equo compenso non può che essere parametrato al valore locativo che può ragionevolmente parametrarsi in misura pari a circa il 50% dell’acquisto capitalizzato nel periodo in considerazione”; ii) “laddove sia convenuto che “le rate pagate restano acquisite al venditore a titolo di indennità”, il capoverso dell’art. 1526 c.c., prevede comunque il potere del giudice di ridurre ad equità l’indennità convenuta ai sensi dell’art. 1384 c.c., onde, anche sotto tale profilo, nessun ulteriore importo può essere ricavato in virtù di tali contratti dovendo essere ridotta l’eccedenza della penale nei limiti di quanto già versato alla società di leasing”. Il tribunale, dunque, rilevando una sproporzione tra le somme versate dall’utilizzatore ed il debito residuo, ha ridotto l’indennità dei contratti di leasing che prevedevano la possibilità in favore del concedente di trattenere le somme incassate dall’utilizzatore. Non sussistendo, per quanto appena detto, un debito dell’utilizzatrice (poi fallita) per i contratti di leasing predetti, nemmeno sarebbe configurabile il preteso debito del M. per le corrispondenti fideiussioni.
2.3.3. In definitiva, con riferimento al rigetto dell’opposizione L. Fall., ex art. 98, riguardante la mancata ammissione al passivo personale del socio illimitatamente responsabile M.N., l’iter decisionale del tribunale è comunque chiaramente ricavabile dal decreto oggi impugnato, sicché, come si è detto in precedenza, non rilevandone – in relazione alla peculiare tipologia di vizio dedotto con la censura in esame ed al suo ristretto perimetro operativo definito dalla già riportata giurisprudenza di legittimità – la sua condivisibilità, o meno, la doglianza de qua deve essere respinta.
3. Analoga sorte negativa merita il secondo motivo di ricorso che, giova ricordarlo, ascrive al tribunale partenopeo di aver disatteso i principi sanciti dalle decisioni rese da Cass. n. 18543 del 2019 e da Cass. n. 8980 del 2019 quanto alla disciplina concretamente applicabile alle fattispecie di leasing per cui è causa. In particolare, si censura l’applicazione, ritenuta erronea, delle disposizioni di cui all’art. 1526 c.c., in luogo della previsione di cui alla L. Fall., art. 72-quater, la cui utilizzabilità, in via analogica, era stata affermata, invece, dai menzionati arresti di legittimità anche per i contratti di leasing risolti (come nella specie) prima del fallimento dell’utilizzatore.
3.1. L’infondatezza di questo motivo va ricercata nel fatto che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la recente sentenza del 28 gennaio 2021, n. 2061, hanno espressamente disatteso l’indirizzo interpretativo inaugurato dalle suddette decisioni oggi invocate dalle ricorrenti, contestualmente affermando i seguenti principio di diritto: “A) La L. n. 124 del 2017, (art. 1, commi 136-140), non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore (previsti dal comma 137), non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell’utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest’ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all’art. 1526 c.c., e non quella dettata dalla L. Fall., art. 72-quater, rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso alla analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad una applicazione retroattiva della L. n. 124 del 2017; B) In base all’art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, L. Fall., ex art. 93, in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tal riguardo avendo l’onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa”.
3.2. E’ di tutta evidenza che tali principi (soprattutto il primo), che questo Collegio intende ribadire condividendone l’ampio excursus motivazionale che li sorregge (cui, per brevità, può farsi specifico rinvio), conducono a ritenere corretto l’operato del tribunale quanto all’avvenuta applicazione ai contratti di leasing in questione, evidentemente risoltisi prima del fallimento dell’utilizzatrice (come è dato desumere agevolmente dal tenore – riportato a pag. 8 e ss. dell’odierno ricorso – delle conclusioni della comparsa di risposta depositata dalla curatela costituendosi nel giudizio di opposizione L. Fall., ex art. 98, n. 20502/2017) della previsione di cui all’art. 1526 c.c..
4. Il terzo motivo del ricorso, infine, deve considerarsi inammissibile.
4.1. Si ascrive al tribunale di essere partito “dal presupposto che i beni oggetto dei contratti di leasing sarebbero stati riconsegnati. Tuttavia, si tratta di un fatto che non è mai stato dimostrato in corso di causa e che, con specifico riferimento al contratto n. ***** oggetto del giudizio n. RG. 20505117, neppure è mai stato dedotto…” (cfr. pag. 27 del ricorso).
4.2. Orbene, prescindendosi da qualsivoglia riferimento al giudizio di opposizione L. Fall., ex art. 98, n. r.g. 20505/17, – anch’esso deciso dal Tribunale di Napoli, tra le stesse parti, il 9 ottobre 2019, ma con il decreto n. 1560/2019, formalmente differente da quello impugnato in questa sede, benché di contenuto identico – trattandosi di un procedimento diverso rispetto a quello (n. r.g. 20502/17) da cui è scaturito il decreto n. 1561/2019 oggi all’attenzione di questa Corte, osserva il Collegio che la riportata affermazione della parte ricorrente si traduce, in realtà, in una contestazione di un accertamento di natura fattuale (l’avvenuta restituzione dei beni oggetto dei leasing qui in esame) operato dal tribunale, qui non ulteriormente sindacabile.
4.2.1. Peraltro, una volta esclusa l’applicabilità, nella specie, della L. Fall., art. 72-quater, non è chiara la rilevanza di una simile circostanza fattuale (l’essere avvenuta, o meno, la restituzione dei beni oggetto di leasing) nell’economia del presente processo, soprattutto alla stregua delle concrete argomentazioni utilizzate dal tribunale (correttamente applicando l’art. 1526 c.c., come si è detto disattendendosi il secondo motivo) per negare l’insinuazione dei crediti iva domandata dalle opponenti.
4.2.2. La corrispondente carenza di allegazione nemmeno può dirsi adeguatamente superata dalle osservazioni, affatto generiche, rinvenibili, sul punto, nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., di parte ricorrente. Dunque, anche sotto questo profilo, la censura è inammissibile, posto che la violazione delle regole processuali (quali sono innegabilmente quelle di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c.), ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecare un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (cfr. Cass. n. 11308 del 2020; Cass. n. 26087 del 2019; Cass. n. 22342 del 2017).
5. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, a carico delle ricorrenti, in solido tra loro, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la Comifin s.p.a. in liquidazione e la Selma BPM Leasing s.p.a., quest’ultima quale mandataria/sostituto servicer di Pharma Finance 4 s.r.l., in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021
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