Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26503 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25441-2015 proposto da:

F. LINEADOLCE S.A.S. DI B.F. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE MARINI, che la rappresenta e difende assieme all’Avvocato CARLO AMATO, giusta procura speciale estesa a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 596/05/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 25/3/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/9/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO

che:

F. Linea Dolce s.a.s. di B.F. & C. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva accolto l’appello erariale avverso la sentenza n. 55/9/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso in accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente avverso avviso di liquidazione di imposta di registro relativo ad atti di vendita di macchinari e altri beni strumentali, caratteristici dell’attività di produzione di pasticceria conservata, riqualificati dall’Agenzia delle entrate come cessione di azienda;

l’Agenzia delle entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo mezzo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla “dedotta esistenza da parte della contribuente dell’accertamento contenuto nella sentenza 055/09/13 della C.T.P. di Treviso della insussistenza nella fattispecie di un atto di cessione d’azienda”;

1.2. con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione di norme di diritto (artt. 2555 e 2697 c.c.) nonché nullità della sentenza per motivazione apparente per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto quale prova idonea circa la sussistenza di un contratto di cessione d’azienda le sole “fatture di vendita di beni” senza verificare la sussistenza di elementi di prova sufficienti a dimostrare la contestata cessione d’azienda;

1.3. con il terzo motivo si lamenta violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51) in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto legittimo l’atto impositivo sul presupposto della cessione d’azienda in oggetto, quantificando il recupero d’imposta non sul valore complessivo dell’azienda ceduta ma sull’importo complessivo di una parte delle fatture di vendita dei beni;

1.4. con il quarto motivo si deduce violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19,21 e 30) per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso di dichiarare che la ricorrente, avendo ricevuto fatture per beni acquistati nell’esercizio dell’impresa, poteva esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in via di rivalsa, anche se trattavasi di fatture emesse per la cessione di un’azienda;

2.1. va accolta la seconda doglianza nei limiti di seguito illustrati con conseguente assorbimento delle rimanenti;

2.2. come leggesi nella sentenza impugnata la vicenda che ha dato luogo all’adozione dell’avviso di accertamento impugnato, è la seguente: con atti di vendita registrati in data ***** e ***** (fatture nn. *****) Arte del Dolce s.a.s. di B.F. & C. cedeva a F. Linea Dolce s.a.s. di B.F. & C. macchinari ed altri beni strumentali caratteristici dell’attività di produzione di pasticceria conservata;

2.2. alle suddette società contribuenti venivano notificati avvisi di liquidazione, con i quali l’Agenzia delle entrate, sulla premessa, come già enunciato, che gli atti negoziali in parola fossero stati posti in essere al solo scopo di una cessione d’azienda, recuperava la maggiore imposta di registro;

2.3. in particolare, l’Agenzia delle entrate, avendo riqualificato gli atti negoziali posti in essere come atto di cessione d’azienda, liquidava una maggiore imposta di registro in misura proporzionale, oltre sanzioni;

2.4. la contribuente ha contestato l’utilizzabilità per i fini di cui alla L. di registro di dati extratestuali, art. 20, e la stessa possibilità di valorizzare un eventuale collegamento funzionale tra più atti negoziali, per assoggettare a tassazione gli effetti giuridici finali in concreto conseguiti;

2.5. l’Ufficio, nei gradi di merito, ha contrastato il ricorso assumendo, al contrario, essere pienamente legittimo ricondurre ad unità un frazionamento negoziale di una pluralità di atti, per tassarne l’effetto finale, e che, se è vero che l’imposta di registro debba essere applicata in base alla “intrinseca natura” ed “agli effetti giuridici degli atti”, è altrettanto vero che è necessario tener conto dell’eventuale collegamento funzionale instaurato dalle parti tra più negozi giuridici (collegamento volontario);

2.6. la tesi, accolta dalla CTR, non è condivisibile e si pone in contrasto anche con la più recente elaborazione giurisprudenziale costituzionale in materia in riferimento all’interpretazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20;

2.7. va, invero, preliminarmente rilevato che, con la sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, la Corte Cost. ha analizzato la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, c.d. TUR), nella parte in cui, nella sua attuale formulazione, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi””;

2.8. la questione era stata sollevata da questa Corte, con ordinanza del 23 settembre 2019 n. 212, sul presupposto che tale formulazione del citato art. 20, sarebbe lesiva: a) dell’art. 53 Cost., sotto il profilo dell’effettività dell’imposizione, in quanto – in contrasto con il principio “imprescindibile ed anche storicamente radicato” della prevalenza della sostanza sulla forma – “l’esenzione del collegamento negoziale dall’opera di qualificazione giuridica dell’atto produce l’effetto pratico di sottrarre ad imposizione una tipica manifestazione di capacità contributiva”; b) dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’eguaglianza e ragionevolezza, dal momento che “a pari manifestazioni di forza economica (e quindi di capacità contributiva) non possano corrispondere imposizioni di diversa entità (…) a seconda che (…) le parti abbiano stabilito di realizzare il proprio assetto di interessi con un solo atto negoziale piuttosto che con più atti collegati”, non essendo il collegamento negoziale un indice di diversificazione di fattispecie legittimante un trattamento non omogeneo delle situazioni prese a comparazione;

2.9. nel ritenere non fondata la questione di incostituzionalità, la Corte Costituzionale ha evidenziato come il legislatore, con la denunciata norma, ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal Testo Unico;

2.10. in tal modo risulta rispettata la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, coerenza sulla cui verifica verte il giudizio di legittimità costituzionale (su tale esigenza, cfr., ex multis, sentenze n. 10 del 2015, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997);

2.11. ne consegue che le questioni prospettate con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., sono state ritenute non fondate, in quanto si basano sull’assunto del rimettente che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri;

2.12. tale assunto è stato invece respinto dalla Consulta sul rilievo che tali parametri, sul piano della legittimità costituzionale, non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte del legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” dello stesso testo unico;

2.13. in tal modo, del resto, il criterio di qualificazione e di sussunzione in via interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo le regole del Testo Unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata;

2.14. la pronuncia evidenzia, pertanto, che non può ritenersi manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la ratio dell’imposta di registro in sostanziale conformità alla sua origine storica di “imposta d’atto” nei sensi sopra precisati in caso di collegamento negoziale, atteso che, sul piano costituzionale, l’interpretazione evolutiva del D.P.R. n. 131 del 1986, detto art. 20, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, consentendo, infatti, all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea);

2.16. anche nella presente sede vanno dunque ribaditi i principi di seguito illustrati;

2.17. in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali;

2.18. esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva (cfr. Cass. S.U. n. 30005/2008; Cass. nn. 34595/2019, 31772/2019, 3938/2014, 2011/21782);

2.19. tuttavia il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta, e la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (cfr. Cass. nn. 439/2015, 3938/2014);

2.20. in particolare, il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali (cfr. Cass. nn. 869/2019, 4604/2014, 1372/2011);

2.21. nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale, nel riformare la sentenza di primo grado, ha affermato che gli avvisi di liquidazione vengono fondati dall’Ufficio finanziario sulla Legge di registro, art. 20, mediante riqualificazione dell’operazione contrattuale in cessione d’azienda;

1.25. l’Agenzia delle entrate sostiene, invero, nell’atto impositivo, trascritto in ricorso, che la riqualificazione degli atti di vendita di beni strumentali, posti in essere dalle parti, in “cessione di ramo di azienda” troverebbe il suo fondamento nell’art. 20 T.U.R. (rubricato “interpretazione degli atti”) ai sensi del quale, l’imposta, prescindendo dal titolo o dalla forma apparente deve essere applicata tenendo conto dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti, e si fa riferimento a quell’indirizzo interpretativo per il quale l’amministrazione sarebbe legittimata a disconoscere gli effetti tributari e civili tipici degli atti o negozi posti in essere dalle parti, ogni qual volta tali effetti non appaiono conformi alla “causa reale” dell’operazione economica complessivamente realizzata e, dunque, prescindendo dal nomen iuris attribuito all’atto, impostazione che si fonderebbe sulla valorizzazione dell’art. 20 T.U.R., come norma generale antielusiva per l’imposizione di registro;

1.26. si richiama, peraltro, anche il costante indirizzo di questa Corte secondo cui, in tema di interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, impone di privilegiare l’intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusive poste dalla norma, a semplici elementi della fattispecie tributaria, per ricostruire la quale dovrà, dunque, darsi preminenza alla causa dei negozi giuridici (cfr. Cass. nn. 13610/2018, 1955/2015, 3481/2014, 17965/2013, 6835/2013, 23584/2012);

1.27. il Collegio ritiene, tuttavia, che se è indubitabile che l’Amministrazione in forza di tale disposizione non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella “forma apparente” al quale lo stesso art. 20, fa riferimento, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici;

1.28. come ribadito anche dalla Consulta, non deve ricercare pertanto un presunto effetto economico dell’atto tanto più se e quando – come nel caso di specie – lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici che si vogliono realizzare;

1.29. infatti, ancorché da un punto di vista economico si possa ipotizzare che la situazione di chi ceda l’azienda sia la medesima di chi cede tutti i beni strumentali all’attività d’impresa, posto che in entrambi i casi si “monetizza” il complesso di beni aziendali, si deve riconoscere che dal punto di vista giuridico le situazioni sono assolutamente diverse;

1.30. così posta la questione, pertanto, priva di rilievo risulta la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell’operazione in quanto, una volta riconosciuto, alla luce dei principi innanzi enunciati, che ci si trova di fronte ad un caso di vendita di beni mobili (come nella fattispecie in esame ritenuto dall’Agenzia delle Entrate), pur a fronte della cessione di tutti i beni strumentali all’esercizio dell’attività produttiva della cedente, oggetto di rilievo da parte dell’Erario, non è richiesta alcuna valutazione circa l’esistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare l’operazione medesima, per come strutturata, né tantomeno incombe sull’Ufficio alcun onere probatorio al riguardo;

1.31. l’esaminata disposizione non richiede invero l’intento elusivo, che può esserci ma non deve necessariamente esserci, sicché il tema d’indagine non consiste nell’accertare cosa la parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale, e tanto non discende dal contenuto delle peculiari dichiarazioni delle parti medesime;

1.32. come pure evidenziato da autorevole dottrina, il tributo del registro può atteggiarsi come imposta, quando è rapportato, in misura proporzionale, al valore dell’atto registrato (contratto, sentenza, ecc.) a contenuto economico, assunto dal legislatore come indice di capacità contributiva, e come tassa, quando è dovuto in misura fissa, in tal caso trovando come presupposto e giustificazione la prestazione di un servizio, cioè la registrazione (e conservazione) di un atto;

1.33. va quindi, ribadito che “l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano” (Cass. n. 3562/2017; conf. Cass. n. 5748/2018);

1.34. peraltro, come precisato dalla Corte Costituzionale, ritenere irrilevanti sia gli elementi extratestuali che gli atti collegati, non significa favorire l’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali, sottraendo all’imposizione l’effettiva ricchezza imponibile, atteso che tale sottrazione “potrebbe rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto”, ipotesi che avrebbe tuttavia richiesto la previa instaurazione del contraddittorio endo-procedimentale, circostanza neppure dedotta nel caso in esame;

1.35. da ultimo è opportuno anche precisare che la Consulta con la sentenza n. 39 del 16 marzo 2021, ha confermato che il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 ha effetto retroattivo dichiarando, in linea con la sentenza n. 158 del 2020, nuovo art. 20, e condividendone le argomentazioni, infondate e inammissibili le questioni di legittimità costituzionale di entrambe le disposizioni normative;

2. il ricorso va dunque accolto sotto il profilo evidenziato, con assorbimento di tutte le rimanenti censure, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente;

3. visto il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento giurisprudenziale in materia, si ritiene che le spese dell’intero giudizio debbano essere compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini indicati in motivazione, assorbiti i rimanenti motivi; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente; compensa le spese dell’intero procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 22 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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