LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24651/2014 proposto da:
G.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREA ANFUSO ALBERGHINA, elettivamente domiciliato presso PEC andrea.anfusoalberghina.cert.ordineavvocaticaltagirone.it;
– ricorrente –
contro
G.A., rappresentato e difeso dagli Avvocati GAETANO BARONE, e ANGELA BARONE, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Carlo Cermignani, in ROMA, P.zza CAPPONI 16;
– controricorrente –
e nei confronti di:
G.G., e G.M.R.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 343/2014 della CORTE d’APPELLO di CATANIA pubblicata il 10/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione G.S. conveniva in giudizio il padre G.G. e i fratelli G.G., A. e M.R., in quanto in data 11.9.2000 decedeva ab intestato in ***** B.G., madre dell’attore e, rispettivamente, moglie e madre degli altri convenuti. L’attore deduceva che l’asse ereditario era costituito dagli immobili di proprietà della deceduta madre e dall’azienda agricola di cui la medesima risultava intestataria. Chiedeva che, dopo aver ricostruito l’asse ereditario della madre, fosse accertata la sua qualità di erede, che fosse reso il rendiconto della gestione del patrimonio e dell’azienda ex artt. 713 c.p.c. e segg. e che si procedesse alla divisione del patrimonio relitto.
Si costituiva G.G., contestando le domande dell’attore. Riteneva che il lavoro dell’attore fosse stato adeguatamente compensato dalla madre e che l’azienda agricola era stata avviata e creata dal fratello A. e che solo per ragioni di carattere affettivo non era stato mai chiesto di formalizzare i rapporti. Precisava che non fosse dovuta alcuna fruttificazione in quanto non era stato impedito il godimento pro quota dei cespiti ereditari.
Si costituiva G.A., quale titolare dell’azienda.
Si costituivano altresì i germani G.G. e M.R., i quali aderivano alle domande del fratello A., non opponendosi alla divisione, per l’esecuzione della quale si doveva tenere conto che essi avevano venduto al fratello A. tutti i loro diritti sugli immobili costituenti l’azienda agricola.
Nella memoria di replica ex art. 183 c.p.c., G.A. dichiarava di gestire di fatto l’azienda materna, ma d” non aver rivendicato la proprietà dell’azienda. Chiedeva che fosse accertato il valore dei suoi apporti e delle migliorie.
Era espletato interrogatorio formale dell’attore, prova per testi e C.T.U..
In data 9.10.2005 decedeva G.G., ma i procuratore costituito non ne dichiarava la morte, per cui il processo non veniva interrotto.
Con atto del 4.9.2006, l’attore evocava in giudizio le altre parti ponendo un’ulteriore serie di domande che in precedenza non potevano essere svolte.
Nell’udienza del 6.12.2006, il difensore dell’attore rilevava che, a seguito del decesso di G.G., il procedimento in corso si appalesava inutile in quanto tutte le domande dovevano essere riformulate a seguito della confusione del patrimonio ereditario derivante da tale fatto e che in ogni caso all’attore non era consentito introdurre domande nuove. Chiedeva, pertanto, la sospensione del procedimento ex art. 295 c.p.c. e in subordine la riunione. Il G.I., ritenuto che la causa era matura per la decisione, rigettava l’istanza di trasmissione al Presidente del Tribunale per la riunione e rinviava per la precisazione delle conclusioni.
Con sentenza n. 731/2008, il Tribunale di Ragusa rigettava la richiesta di sospensione (in quanto un’unificazione del e masse è possibile solo se tutti i compartecipi vi aderiscano, a differenza della fattispecie in esame) e quella di riunione (stante il diverso stato delle cause). Nel merito, dichiarava che nell’asse ereditario di B.G. non era compresa l’azienda agricola zootecnica solo fittiziamente intestata alla stessa; disponeva la divisione dei beni immobili caduti in successione con attribuzione a ogni singolo erede della proprietà esclusiva di singoli cespiti; rigettava le altre domande proposte dall’attore di fruttificazione, di rendiconto dell’azienda e di rimborso di pretese migliorie, mentre dichiarava assorbita la domanda riconvenzionale del convenuto A. diretta a ottenere la condanna pro quota dell’attore al rimborso dei miglioramenti apportati all’azienda agricola.
Avverso detta sentenza proponeva appello G.S. chiedendo che lo scioglimento delle comunioni avvenisse tenendo conto della modifica delle quote a seguito dell’intervenuto decesso del padre e comunque tenendo conto dell’azienda agricola (erroneamente ritenuta dal Giudice esclusa dalla massa) e dei diversi valori degli immobili dal medesimo indicati.
Si costituiva G.A. resistendo all’appello, mentre era dichiarata la contumacia di G.G. e M.R..
Disposto un supplemento di CTU anche in ordine alla regolarità edilizia dei beni, precisate le conclusioni, la causa era trattenuta in decisione.
Con sentenza n. 343/2014, depositata il 10.3,2014, la Corte d’Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava allo stato la domanda di scioglimento della comunione ereditaria di B.G., compensando le spese processuali di entrambi i gradi e lasciando le spese di CTU del grado di appello a carico dell’appellante.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione G.S. sulla scorta di tre motivi, illustrati da memoria. Resiste G.A. con controricorso depositando anch’esso memoria.
All’esito dell’udienza pubblica del 6 luglio 2013, la Seconda Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 25836 del 6 ottobre 2018, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando come il ricorso presentasse una “questione di massima di particolare importanza” in tema di divisione ereditaria. La causa veniva rinviata a nuovo ruolo (6 luglio 2018; 20 novembre 2018; 19 settembre) in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite; ed infine fissata nella odierna Camera di consiglio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, nonché D.P.R. n. 380 del 2001, art. 40 (che riproduce il testo del prima citato art. 17). Contestuale violazione degli artt. 713,720,726,757 c.c., nonché dell’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla CEDU. Violazione dell’art. 2 Cost., sotto il profilo della manifesta irragionevolezza e disparità di trattamento”.
1.1. – Il motivo è fondato.
1.2. – Il menzionato orientamento interpretativo, seguito dai giudici Catanesi è stato radicalmente superato dalla contraria giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, in forza di una più ampia rivisitazione letterale e teleologica riferita dapprima alla affermazione della natura dell’atto di scioglimento della comunione ereditaria, costituente un negozio inter vivos, allo stesso modo dell’atto di scioglimento della comunione ordinaria – hanno negato la sussistenza di valide ragioni per differenziare il trattamento normativa in base ai tempo di edificazione dell’immobile abusivo, e quindi per escludere la nullità dello scioglimento della comunione relativa ad edificio irregolare sol perché questo sia stato costruito anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985 (Cass., sez. un., n. 25021 del 2019). La qual cosa neutralizza la sussistenza di una asserita violazione dell’art. 2 Cost. (recte: art. 3) sotto il profilo della manifesta irragionevolezza di situazioni che, dopo l’intervento giurisdizionale, sono pervenute ad un trattamento omogeneo della materia, con vicende analoghe trattate in modo uguale.
Pertanto, gli atti di scioglimento delle comunioni relative ad edifici, o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della detta legge, ove dagli atti non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria, ovvero ad essi non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell’opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967.
1.3. – Sicché, quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (id est: ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dal D.P.R. 5 giugno 2001, n. 380, art. 46 e dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziate. Peraltro, nella ipotesi in cui tra i beni costituenti l’asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell’art. 713 c.c., comma 1, di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l’intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli atti condividenti. Laddove, la mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Così pure l’accoglimento delle domande relative alla assegnazione degli immobili compresi nella eredità, nonché alla rideterminazione dei conguagli, è precluso dall’accertameto della natura abusiva dei vani costruiti sulla terrazza di copertura del fabbricato in oggetto. E nella ipotesi in cui tra i beni costituenti l’asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell’art. 713 c.c., comma 1, di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l’intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, pur senza il consenso degli altri condividenti.
2.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 47 del 1985, artt. 7, 8 e 17”, poiché la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni del CTU, calle quali emergeva che la costruzione degli immobili di cui ai lotti 11) e 12) era iniziata prima del 1985, per cui esse esulavano dall’ambito di applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 17.
2.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e omesso esame circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, sottolineando che l’attore aveva esercitato un’azione di petizione ereditaria ex art. 533 c.c. e che era suo onere dimostrare la qualità di erede, peraltro non contestata, nonché l’appartenenza dei beni all’asse ereditario.
2.3. – Data la loro stretta connessione logico-giuridica, secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno esaminati e decisi congiuntamente. Essi sono inammissibili.
2.4. – In termini generali si rileva che nel ricorso per cassazione, non è consentita la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione tra loro eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, non essendo permessa la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e la insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa, palesemente mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).
2.5. – Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti de paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).
2.6. – Sotto altro profilo, costituisce principio altrettanto consolidato che il novellato paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consenta di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
Detto controllo concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dai testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dai giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014; Cass. sez. un. 8053 del 2014; coni. Cass. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
2.7. – Quanto alle residue censure, si rilevano quelle di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che non hanno ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo, quanto la critica del ragionamento che il Giudice di rinvio ha effettuato sulle risultanze della CTU, per cui la censura è del tutto inammissibile. Parimenti, è inammissibile l’indicazione della violazione delle norme di legge, senza argomentazioni che colleghino i passi delle sentenze e le norme asseritamente violate.
Con riferimento, poi, all’asserita contrarietà della sentenza impugnata con la CTU, è evidente che vi sia un travisamento della funzione propria del CTU, che è quella di ausiliario del Giudice e non certo quella di pronunciarsi sulla sufficienza probatoria dei documenti, né di valutare le risultanze processuali, compiti propri del Giudice, che decide senza poter essere sindacato nel merito innanzi a questa Suprema Corte.
2.8. – Nella sostanza dette censure si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).
Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
3. – Inammissibili il secondo ed il terzo motivo, va accolto il primo motivo, nei limiti di cui in motivazione. Va cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili secondo e terzo motivo. Accoglie i primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte di Cassazione, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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