LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5236/2016 proposto da:
Comune di Modica, in persona del sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato De Geronimo Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
G.G., + ALTRI OMESSI, domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Cavallo Vincenzo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
contro
S.E.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1572/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, pubblicata il 16/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 18.7.2008 il Tribunale di Modica accoglieva la domanda proposta in riconvenzione dagli attori, attuali controricorrenti in epigrafe indicati, e da S.E., condannando il Comune di Modica al pagamento in loro favore, a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c., della somma di Sterline 644.411,52, corrispondente all’importo di Euro 363.069,20, previsto nella Delib. Giunta Municipale 1 agosto 1988, n. 1530 per compensi relativi all’attività di redazione di piani particolareggiati di recupero degli agglomerati abusivi, importo rivalutato fino alla data della decisione, oltre interessi e spese del giudizio.
2. Con sentenza n. 1572/2015 depositata il 16-10-2015, la Corte d’Appello di Catania ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Modica avverso la citata sentenza del Tribunale. La Corte d’appello, per quanto ancora di interesse, ha ritenuto, nel condividere le argomentazioni espresse dal Tribunale, che: (i) il riconoscimento dell’utilitas di un progetto non potesse essere esclusa per il solo fatto che lo stesso progetto non fosse stato realizzato, nel caso in cui, come nella specie, con delibere consiliari i progetti erano stati adottati come piani particolareggiati e posti a fondamento di una richiesta di finanziamento regionale, di seguito non concesso a causa delle ridotte risorse finanziarie assegnate, non per inidoneità degli stessi progetti; (ii) nel caso di specie, la diminuzione patrimoniale subita dagli attori coincidesse con il mancato percepimento di quanto risparmiato dall’Ente, poiché i professionisti avrebbero svolto, nello stesso periodo dedicato alla redazione dei progetti per cui è causa, la loro attività professionale, guadagnando somme di danaro analoghe a quelle riconosciute dal Tribunale.
3. Avverso questa sentenza, il Comune di Modica propone ricorso affidato a tre motivi, resistito con controricorso dai controricorrenti indicati in epigrafe, mentre è rimasto intimato S.E..
4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. Le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il Comune ricorrente lamenta “Violazione degli artt. 112,115 e 345 c.p.c., nonché dell’art. 2042 c.c. e del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, commi 3 e 4 convertito nella L. 24 aprile 1989, n. 144, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per non avere i giudici di merito rilevato d’ufficio l’assenza del requisito della sussidiarietà nell’azione di arricchimento indebito proposta”. Deduce che l’azione di arricchimento indebito ha natura sussidiaria, come espressamente previsto dall’art. 2042 c.c., e che l’assenza di altra possibile azione costituisce un presupposto della domanda, richiesto dalla legge, la cui mancanza è rilevabile d’ufficio, come da giurisprudenza di questa Corte che richiama (Cass. n. 9486/2013; Cass. n. 529/2014 e Cass. n. 21786/2015). Poiché ai sensi del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, commi 3 e 4, convertito nella L. n. 144 del 1989, qualsiasi spesa degli enti comunali deve essere assistita da un conforme provvedimento dell’organo munito di potere deliberativo e da uno specifico impegno contabile registrato nel competente bilancio di previsione, costituendosi, in mancanza, il rapporto obbligatorio direttamente con il funzionario che ha consentito la prestazione, il professionista non può esperire nei confronti dell’ente pubblico l’azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., perché tale azione difetta del necessario requisito della sussidiarietà previsto dall’art. 2042 c.c. (Cass. 25.5.2015 n. 10735). Ad avviso del Comune ricorrente il citato art. 23 è applicabile nel caso di specie, atteso che occorre avere riguardo non alla data di adozione della Delib. Giunta Municipale 1 agosto 1988, ma a quella in cui è stata riconosciuta l’utilità della prestazione, come precisato nella pronuncia n. 12880/2010 di questa Corte, nella specie avvenuta con l’approvazione da parte del Consiglio Comunale dei progetti di recupero depositati dai professionisti, ossia con le Delib. 31 dicembre 1989, n. 450 e Delib. 19 marzo 1990, n. 54 in base a quanto dedotto dagli stessi professionisti.
2. Con il secondo motivo il Comune denuncia “Violazione dell’art. 2041 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere riconosciuto i giudici di merito agli attori il lucro cessante”. Rileva che il Tribunale di Modica, con statuizione confermata dalla Corte territoriale, aveva riconosciuto ai professionisti la somma prevista nella Delib. n. 1350 del 1988 quale compenso per i tecnici incaricati di redigere i Piani particolareggiati e ciò in quanto corrispondente al risparmio della spesa valutata dallo stesso ente per ottenere quel tipo di prestazione, così determinando l’indennizzo spettante agli attori in Euro 363.069,20. Ad avviso del ricorrente, i giudici di merito avevano attribuito un risultato premiante per i professionisti, disattendendo i criteri di liquidazione dell’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c. come precisati dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 23385/2008 e successive conformi), dovendosi, cioè, escludere dal calcolo dell’indennità richiesta per la “diminuzione patrimoniale” subita dall’esecutore di una prestazione in virtù di un contratto invalido quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace.
3. Con il terzo motivo denuncia “Violazione degli artt. 2041 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 per inesistenza del riconoscimento dell’utilità della prestazione e dell’utilità stessa”. Rimarca che secondo i Giudici di merito l’implicito riconoscimento dell’utilità della prestazione era desumibile, quale dichiarazione di scienza, dall’adozione dei piani di recupero contenuta nella Delib. Consiglio Comunale 31 dicembre 1989, n. 450, non avendo rilievo la successiva inefficacia della suddetta delibera perché mancante delle prescritte formalità o delle approvazioni e dei controlli necessari per farne un atto amministrativo valido ed efficace. Ad avviso del ricorrente, come da giurisprudenza di questa Corte che richiama (Cass. n. 6555/2014) l’azione ex art. 2041 c.c. ha natura e funzione diverse rispetto a quella risarcitoria prevista dall’art. 2043 c.c. e nella specie l’utilità era inesistente, considerato che i piani di recupero degli agglomerati abusivi non erano stati pacificamente né finanziati, né realizzati.
4. In via pregiudiziale, deve rilevarsi che il ricorso per cassazione è procedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., avendo l’Ente prodotto in allegato a detto ricorso le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione della pec di notifica della sentenza impugnata, di data 19-12-2015, nonché avendo il Comune provveduto, prima dell’adunanza camerale, al deposito ex art. 372 c.p.c., notificato sia all’intimato S., sia ai controricorrenti, dell’attestazione di conformità delle suddette copie (cfr. Cass. S.U. n. 8312/2019 e Cass. n. 19695/2019). Inoltre il ricorso è stato tempestivamente notificato il 17-2-2015, entro sessanta giorni dalla notifica a mezzo pec della sentenza impugnata.
Sempre in via pregiudiziale, deve essere disattesa l’eccezione, sollevata dai controricorrenti, di nullità della procura alle liti rilasciata dall’Ente ricorrente, in persona del Sindaco pro tempore, per non essere stato indicato il nome di chi ha conferito la procura, per essere la firma illeggibile, nonché per essere stati erroneamente indicati i controricorrenti. Nella specie, nell’atto processuale al quale accede la procura alle liti, ossia nell’intestazione del ricorso, risulta indicato il nominativo di colui che ha rilasciato la procura ( A.I.), facendosi ricorrente in nome del Comune, giusta autorizzazione della Giunta del 12-2-2016 n. 34, depositata ex art. 372 c.p.c., con atto notificato alle controparti il 15/16-4-2019, sicché è stato reso possibile alle altre parti e al giudice l’accertamento della sua legittimazione e dello ius postulandi del difensore (Cass. n. 7765/2021). Inoltre, pur se effettivamente non è precisa e corretta l’indicazione delle parti controricorrenti, la procura contiene chiaro ed espresso riferimento alla sentenza impugnata e al procedimento in Cassazione ed è pertanto sicuramente riferibile al presente giudizio (Cass. n. 2813/2018).
5. Ciò posto, i motivi primo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, involgendo entrambi, sotto distinti ma collegati profili, la rilevanza, nel caso di specie, del requisito del riconoscimento dell’utilitas, sono infondati.
5.1. Occorre premettere che, secondo l’innovativo criterio di cui alla sentenza della Sezioni Unite di questa Corte n. 10798/2015 (pubblicata il 26 maggio 2015, ossia in data anteriore alla decisione e pubblicazione della sentenza d’appello oggetto di impugnazione del presente giudizio), la fattispecie di cui all’art. 2041 c.c., quando l’azione venga promossa contro la P.A., si perfeziona non con il requisito del riconoscimento dell’utilitas, ma con quello dell'”oggettivo arricchimento”. Dunque il privato contraente ha l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento in correlazione con il depauperamento dell’amministratore, senza che l’ente possa opporre il mancato riconoscimento della utilitas, salva la possibilità per l’ente medesimo di dimostrare che l’arricchimento sia stato non voluto, non consapevole o imposto (così, tra le tante conformi alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2015, Cass.n. 6970/2018).
5.2. Premesso, altresì, che non è in discussione, nella specie, l’assenza di titolo contrattuale dei professionisti nei confronti del Comune per il credito di cui trattasi, la questione concernente il difetto di sussidiarietà dell’azione ex art. 2041 c.c. (primo motivo), per essere nella specie, ad avviso del Comune, applicabile la L. n. 144 del 1989, art. 23 in vigore dal 27-4-1989, pur essendo rilevabile d’ufficio, come da giurisprudenza di questa Corte richiamata in ricorso, è stata posta per la prima volta nel presente giudizio e presupporrebbe un accertamento di fatto sul momento in cui si era verificato l'”oggettivo arricchimento”, ossia un accertamento fattuale che avrebbe dovuto effettuato anche d’ufficio ed anche in appello (cfr. Cass. n. 2046/2018), dando applicazione al più recente e innovativo orientamento di questa Corte di cui si è detto e al quale il Collegio intende dare continuità.
Tanto precisato, si basa sul criterio ormai superato (a cui dà applicazione Cass. n. 12880/2010 citata in ricorso) la ricostruzione prospettata dal Comune, secondo cui, per stabilire se trovi o meno applicazione, nella specie, la nuova disciplina del citato art. 23, occorre avere riguardo al requisito del riconoscimento dell’utilitas, che si assume avvenuto dopo il 27-4-1989 (entrata in vigore della nuova norma), mediante l’inserimento del progetto nei piani particolareggiati nel dicembre 1989 e nel marzo 1990.
Invece non è stato accertato nel giudizio di merito, e non vi è censura al riguardo, né risulta dalla stessa sentenza o dall’esposizione e illustrazione degli atti difensivi (i controricorrenti non precisano in che data i progetti sono stati depositati – cfr. pag.3 controricorso) in quale momento l’arricchimento sia divenuto oggettivo, indipendentemente dall’utilitas.
Alla stregua di quanto sopra, poiché nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 2193/2020), e poiché l’accertamento fattuale di cui si è detto, indispensabile per stabilire se debba applicarsi la nuova disciplina, non è stato effettuato, la doglianza espressa con il primo motivo è priva di pregio.
5.3. Infondata è anche la censura espressa con il terzo motivo, atteso che, in base al citato orientamento innovativo di questa Corte, l’obbligo dell’Amministrazione sorge in virtù del dato oggettivo dell’utilizzazione della prestazione, e non con la compiuta realizzazione dell’opera in conformità al progetto (cfr. Cass. n. 11803/2020).
6. Il secondo motivo è fondato.
6.1. Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide ed intende ribadire (cfr. Cass. n. 13967/2019; Cass. n. 14526/2016), l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita da chi ha eseguito la prestazione, con esclusione di quanto questi avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace.
La Corte d’appello non si è attenuta a detto principio, poiché, nel confermare la liquidazione effettuata dal Tribunale, ha riconosciuto l’indennità nell’importo previsto nella Delib. n. 1350 del 1988 quale compenso per i tecnici incaricati di redigere i Piani particolareggiati, ossia esattamente quanto i professionisti avrebbero percepito ove l’incarico fosse stato loro conferito in modo valido ed efficace.
7. In conclusione, va accolto il secondo motivo, rigettati il primo e il terzo, va cassata la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigettati il primo e il terzo, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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