LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9565-2017 proposto da:
FRIUL CASSA, ORA CASSA DI RISPARMIO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA SPA, CARISBO CASSA RISPARMIO BOLOGNA SPA, CASSA DI RISPARMIO DI PADOVA E ROVIGO SPA, ORA CASSA DI RISPARMIO DEL VENETO, in persona dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’avvocato Ernesto Sparano, e con il medesimo elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato Salvatore Pesce, in Roma, via Enrico Fermi 80 ernestosparano39.avvocatinapoli.legalmail.it avv.salvatorepesce.legalmail.it;
– ricorrenti –
e contro
EQUITALIA SERVIZI RISCOSSIONE S.P.A., (già EQUITALIA SUD SPA, *****, EQUITALIA POLIS S.P.A. e GEST LINE S.p.A.) in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFONSO PAPA MALATESTA, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, P.ZA BARBERINI 12, pec:
a.papamalatesta.cert.vmassociati.it;
– resistente e ricorrente incidentale –
e contro
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. prof. Vito Bellini, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Roma, via Orazio n. 3;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1060/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.
FATTI DI CAUSA
1. Poste Italiane SpA, con atto di citazione del 5/6/2007, convenne davanti al Tribunale di Napoli la Gest Line SpA, la Cassa di Risparmio di Bologna, la Friul Cassa SpA, la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, quali concessionari del servizio di riscossione dell’ICI per le province di Rovigo, Bologna, Genova, Gorizia, Padova, Venezia e Prato, chiedendo l’accertamento del proprio diritto ad applicare, a carico dei convenuti, una commissione per ciascun versamento effettuato con bollettino postale sui conti correnti all’uopo intestati ai concessionari, in una misura indicata in Euro 0,05 per un certo periodo e da determinarsi per altro periodo, con condanna dei convenuti al pagamento delle relative somme o, in subordine, l’accertamento dei presupposti di un ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c.
Si costituirono in giudizio sia la Equitalia Polis SpA (già Gest Line SpA), sia le banche convenute, eccependo l’inammissibilità o l’infondatezza delle domande. Equitalia dispiegò altresì domanda riconvenzionale di risarcimento danni per abuso di posizione dominante.
2. Il Tribunale adito, con sentenza n. 9069 del 2012, accertò il diritto di Poste alla commissione e, pur indicandone la misura, rigettò la domanda di condanna, ritenendola non provata.
3. A seguito di appello principale di Equitalia Sud SpA ed incidentale di Poste Italiane, la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 1060 del 2016, ha disposto la condanna generica di Equitalia Sud SpA al pagamento delle commissioni maturate dal 1/4/1997 in poi nella misura unitaria di Euro 0,05 per ogni versamento, rinviando a separato giudizio la determinazione dell’ammontare complessivo; ha dichiarato le banche incaricate della riscossione tenute in solido con Equitalia al pagamento della commissione. Per quanto ancora qui di interesse la Corte territoriale ha invocato una pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, la n. 7169 del 2014, che ha sancito il principio dell’onerosità del servizio effettuato da Poste Italiane e l’obbligo, per i concessionari della riscossione, di versare l’importo su apposito conto corrente; ha statuito che tale onere sussiste sia per i servizi svolti da Poste Italiane in regime di monopolio legale, sia per quelli svolti in regime di libera concorrenza; che non sussiste alcun atto che possa essere interpretato quale rinuncia di Poste a riscuotere il corrispettivo; che le banche sono responsabili in solido con Equitalia non essendo l’alienante, ai sensi dell’art. 2560 c.c., liberato dei debiti aziendali sorti anteriormente alla cessione, non risultando che i creditori vi avessero acconsentito; ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalle banche; ha accolto il secondo motivo dell’appello incidentale di Poste ed ha per l’effetto ritenuto che la domanda di Poste fosse volta soltanto ad ottenere una pronuncia di condanna generica.
4. Avverso la sentenza le banche hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di nove motivi. Hanno resistito Equitalia Servizi Riscossione SpA – che ha proposto controricorso e ricorso incidentale sulla base di cinque motivi, contrastato da Poste Italiane con proprio controricorso – e Poste Italiane, che ha proposto controricorso avverso il ricorso principale delle Banche.
5. La causa è stata trattata in adunanza camerale, in vista della quale Equitalia, da un lato, Cassa di Risparmio di Bologna Friul Cassa Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia, dall’altro, nonché Poste Italiane SpA hanno depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 14081 del 2019 su tematiche in larga parte analoghe e sovrapponibili a quelle oggi in evidenza, questa terza Sezione ha formulato una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per l’interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario rilevanti per la definizione della fattispecie, disponendo la sospensione del processo e la trasmissione degli atti a quella Corte. Questa, con sentenza del 3/3/2021, ha pronunciato sull’interpretazione della normativa Eurounitaria direttamente coinvolta.
La causa è stata allora rimessa sul ruolo per la trattazione in adunanza camerale, per la quale tutte le parti hanno nuovamente depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Sul ricorso principale delle banche.
1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione degli artt. 100,112,324,327,333,334,339 e 343 c.p.c. non avendo la sentenza impugnata dichiarato l’inammissibilità dell’appello di Equitalia Sud SpA la quale ha proposto impugnazione senza essere stata soccombente in primo grado. Le ricorrenti censurano l’impugnata sentenza per non aver la medesima dichiarato l’inammissibilità dell’appello di Equitalia per difetto di legittimazione e di interesse, non essendo la stessa risultata soccombente in primo grado ma trovandosi soltanto in una condizione di soccombenza puramente teorica.
2. Con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione degli artt. 100,112,324,339 e 345 c.p.c. non avendo la sentenza impugnata rilevato e dichiarato l’inammissibilità del motivo di appello di Equitalia Sud SpA sub lett. d). Le ricorrenti censurano la sentenza per non aver dichiarato inammissibile l’appello di Equitalia in quanto prospettante censure del tutto nuove – volte cioè non come in primo grado al rigetto della domanda ma ad ottenere la condanna in solido con le banche.
1-2 I motivi, laddove non inammissibili per difetto di autosufficienza, sono infondati, in quanto la sentenza di primo grado aveva, sia accertato il diritto di Poste a riscuotere la commissione, sia dichiarato la carenza di legittimazione di tutti i convenuti salvo Equitalia, con il conseguente interesse di quest’ultima a contrastare entrambi gli accertamenti, sia con riguardo alla soggezione al diritto di Poste ad applicare la commissione sulle operazioni di pagamento ICI, sia con riguardo alla decisione di ritenere la sola Equitalia responsabile dei relativi debiti. Quindi la decisione della Corte territoriale di pronunciare nel merito dei motivi di appello senza affatto rilevare il difetto di interesse di Equitalia è del tutto corretta.
3. Con il terzo motivo si deduce Nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione degli artt. 163,112,278 c.p.c. avendo la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che le domande formulate da Poste Italiane SpA in prime cure fossero domande di condanna generica, anziché domande di condanna piena da decidere sia nell’an sia nel quantum. Omesso esame al riguardo, di un fatto decisivo e rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Le ricorrenti deducono che la sentenza abbia errato nel ritenere che le domande originariamente formulate da Poste fossero non domande di condanna “piena” ma domande di condanna generica, con ciò incorrendo in un evidente travisamento dell’atto di citazione introduttivo del giudizio. In particolare, la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda di pagamento della commissione per ciascun bollettino.
3.1 Il motivo è inammissibile: in primo luogo, per difetto di autosufficienza del ricorso (non essendo ammessa, per giurisprudenza consolidata, alcuna sua integrazione con atti successivi) sul preciso contenuto degli atti nella parte in cui le domande erano state articolate e di quelli coi quali la questione era stata via via sottoposta ai giudici del merito; in secondo, in quanto le ricorrenti, pur prospettando una cattiva interpretazione delle domande di Poste, non denunciano alcuna violazione delle norme sull’interpretazione ma si limitano a proporre una diversa e più appagante interpretazione dell’atto introduttivo. Le censure appaiono inoltre generiche e prive di specificità.
In ogni caso il motivo sarebbe, nel merito, infondato, in quanto, se non altro in base ai limitati elementi a disposizione e legittimamente esaminabili in questa sede per la conformazione del ricorso, nel petitum di primo grado vi era una domanda di condanna al pagamento della commissione “nella misura e decorrenza accertata e/o ritenuta per ciascun bollettino… con le maggiorazioni di interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di ciascuna operazione ovvero dalla richiesta ovvero, in ulteriore subordine, dalla domanda”. A fronte di tale domanda specifica le ricorrenti non hanno indicato se ed in quali eventuali termini, entro lo sbarramento delle preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c., la domanda di condanna sia stata modificata da generica a specifica.
4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – le ricorrenti rilevano, quanto alla posizione della Cassa di Risparmio di Bologna, che la stessa sarebbe estranea al giudizio, non avendo svolto alcuna attività di riscossione dell’Icì per la zona di competenza della Provincia di Bologna.
4.1 Il motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza sulla concreta contestazione del presupposto del rigetto in primo grado, consistente nella qualità di cedente; pertanto, la questione è preclusa dall’avvenuta formazione del giudicato interno conseguente al richiamato rigetto, avendo il Tribunale affermato la qualità della Cassa di Risparmio di Bologna quale soggetto che aveva ceduto a Gerico il ramo di azienda per la riscossione dell’ICI per la Provincia di Bologna. In quanto cedente, il ramo di azienda la Cassa era certamente legittimata e sulla questione si è formato il giudicato, sicché la stessa non è più controvertibile.
5. Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per non aver esaminato un fatto decisivo per il giudizio e tralasciato le osservazioni svolte dalle convenute e richiamato erroneamente la disciplina dell’art. 2560 c.c. e per aver violato le norme sul contraddittorio e per non aver rilevato il giudicato formatosi sull’effetto liberatorio delle cessioni e l’esistenza di una clausola compromissoria per le controversie tra cedente e cessionario ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, 4 e 5.
Le ricorrenti, con riguardo alla posizione soggettiva di Friul Cassa e di Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, censurano la sentenza nella parte in cui la stessa ha ritenuto la loro responsabilità solidale con la cessionaria Gerico senza considerare che, in base all’art. 2558 c.c., il cessionario può liberare il cedente da ogni obbligo soprattutto alla luce degli atti di cessione del ramo di azienda intercorsi tra la Gerico e le due banche che la Corte avrebbe erroneamente interpretato.
5.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, perché si basa su un regolamento contrattuale il cui contenuto non è adeguatamente riportato in ricorso, né è localizzato nel giudizio di merito né in quello di cassazione. In secondo luogo, è inammissibile in quanto, pur prospettando un vizio di erronea interpretazione di atti negoziali, neppure indica quali disposizioni di ermeneutica contrattuale sarebbero state violate e le ragioni specifiche della loro violazione.
6. Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per non aver esaminato un fatto decisivo per il giudizio e tralasciato le osservazioni svolte dalle convenute e per aver violato le norme sul contraddittorio e fornito una errata ricostruzione della previsione dell’art. 2948 c.c., n. 4 per non aver rilevato il giudicato formatosi sull’effetto liberatorio maturatosi a favore delle Casse ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
Le ricorrenti censurano la sentenza sul capo relativo al rigetto dell’eccezione di prescrizione, ma in realtà il motivo difetta di specificità ed è pertanto inammissibile, rivelandosi molto confuso e riguardando, in particolare, il mancato esame di fatti decisivi, la violazione del contraddittorio, il mancato rilievo di un presunto giudicato attraverso tre distinte e disomogenee tipologie di vizi.
7. Con il settimo motivo di ricorso – omesso esame di un fatto decisivo e per aver tralasciato le osservazioni svolte dalle convenute e per aver violato le norme sul contraddittorio e l’art. 1292 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – le ricorrenti assumono che la Corte territoriale abbia violato le disposizioni in tema di solidarietà passiva ed abbia affermato la responsabilità solidale delle banche con Equitalia in assenza dei relativi presupposti.
8. Con l’ottavo motivo di ricorso – violazione dell’art. 163 c.p.c. e dell’art. 112c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – si eccepisce che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciare sulle conclusioni e di differenziare la responsabilità di ciascuna banca in relazione ai diversi periodi di riferimento.
7-8 I motivi sono infondati. Avendo l’attrice chiesto la condanna dei convenuti in solido ovvero di ciascuno per quanto di ragione e di competenza, la Corte d’Appello, dopo aver approfonditamente esaminato gli atti e la documentazione, ha accolto la richiesta di condanna delle banche in solido con Equitalia “per il periodo compreso tra il 1/4/1997 e la data in cui sono state stipulate o hanno avuto effetto le cessioni di ramo d’azienda”: il meccanismo della solidarietà è stato dunque ben delimitato anche temporalmente ed è privo di ogni ambiguità, se del caso in tal senso interpretato correttamente il finale comando, quale risulta appunto dalla combinazione di dispositivo e passaggi motivazionali a suo sostegno.
9. Con il nono motivo di ricorso – violazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sul regolamento delle spese – censura la sentenza là dove ha ritenuto sussistente la reciproca soccombenza.
9.1 Il motivo è infondato, se non altro (e cioè a non volere considerare l’esito complessivo della lite) perché c’e’ soccombenza nei confronti di Poste per resistenza alla tesi della solidarietà.
Sul ricorso incidentale di Equitalia Servizi Riscossione SpA.
1.Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2203 e ss. in tema di rappresentanza commerciale. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c., comma 2 e art. 1366 c. c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Equitalia censura il capo di sentenza che ha rigettato la tesi dell’intervenuta rinunzia di Poste al compenso in ragione del fatto che la dichiarazione di esenzione era proveniente dalla individuale iniziativa di un funzionario di Poste non legittimato ad esprimere la volontà dell’ente.
Ad avviso della ricorrente la Corte territoriale, in applicazione dei principi di rappresentanza commerciale e di tutela dell’affidamento, avrebbe dovuto ritenere che l’espressione della volontà della parte fosse sufficiente a radicare l’affidamento della controparte sulla gratuità del servizio anche in ragione del fatto che per molto tempo il servizio aveva avuto caratteristiche di assoluta gratuità.
1.1 Il motivo è inammissibile, in quanto la Corte territoriale, nell’ambito del suo potere di apprezzamento, ha ritenuto che la dichiarazione contenuta nella nota del marzo 1997 provenisse da soggetto non legittimato e tale interpretazione non è censurabile in sede di legittimità. In ogni caso il motivo sarebbe infondato in quanto, essendo l’Ente Poste un Ente Pubblico Economico con organizzazione e competenze interne stabilite dalla legge, ai fini della esenzione del concessionario dal pagamento della commissione di incasso, occorreva sempre una delibera modificativa in tal senso da parte dell’unico organo competente dell’Ente Poste, cioè il Consiglio di amministrazione ai sensi della L. n. 71 del 1994, art. 3.
2. Con il secondo motivo di ricorso Equitalia deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 2, commi 18 e 20. Violazione dell’art. 2597 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere l’impugnata sentenza disatteso quanto previsto da questa Corte con la pronuncia a Sezioni Unite n. 7169/2014, che ha riconosciuto l’onerosità del servizio e la necessità del rispetto della parità di trattamento per i beneficiari del servizio stesso onerati del costo; e per aver altresì omesso di statuire in punto di parità di trattamento anche in forza della normativa di riferimento.
2.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto in ricorso (non essendone ammessa, come ricordato, alcuna sua integrazione con atti successivi) non riporta dove e come la questione sia stata posta nel giudizio di merito, così non consentendo a questa Corte di comprendere se essa sia stata introdotta per la prima volta in Cassazione.
3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale Equitalia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 278 c.p.c. e art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo al capo di sentenza che ha ritenuto che Poste avesse formulato una domanda di condanna generica. Ad avviso della ricorrente la Corte territoriale avrebbe, invece, dovuto riconoscere che la domanda fosse specifica in quanto corredata anche della quantificazione delle singole commissioni.
3.1 Il motivo è inammissibile, perché introduce per la prima volta una questione che non ha costituito oggetto del giudizio di merito e che anzi è smentita dalle conclusioni di Poste formulate in primo grado e in appello. In ogni caso è infondato per le stesse ragioni enunciate in relazione alla corrispondente censura delle ricorrenti principali.
4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione dell’art. 108 in combinato disposto con l’art. 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – la ricorrente assume che la normativa italiana che obbliga la società ricorrente ad aprire un conto corrente postale e i soggetti beneficiari del servizio a pagare una commissione sarebbe contraria alla normativa Europea in tema di aiuti di stato. A confermare questa tesi si porrebbe, da un lato, la natura di monopolio legale del servizio, configurabile quale servizio di interesse economico generale affidato in via esclusiva all’Ente Poste, l’utilizzo di risorse statali, la mancanza di negoziazione del quantum della commissione che risulta imposta quale compensazione per lo svolgimento di obblighi di servizio pubblico. Ricorrerebbero anche le altre caratteristiche degli aiuti di stato quale l’incidenza sugli scambi tra Paesi membri nella misura in cui la normativa nega ad altre imprese anche Europee la possibilità di concorrere nello svolgimento del servizio falsando la concorrenza; il carattere selettivo della misura che favorisce una sola impresa a discapito di tutte le altre.
4.1. Ancora la ricorrente chiede – in subordine disapplicazione della normativa italiana in contrasto con la normativa Europea. Violazione degli artt. 102 e 106 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Chiede di riconoscere che, in ragione della posizione dominante di Poste nel segmento di mercato rappresentato dal servizio dei bollettini ICI, occorrerebbe disapplicare la normativa italiana in quanto contrastante con la disciplina Europea del divieto di aiuti di stato.
4-4.1 L’interpretazione del diritto Eurounitario (o unionale) adottata dalla Corte di Giustizia ha efficacia “ultra partes” sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali che emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito della Comunità (Cass. 03/03/2017, n. 5381).
La sentenza della Corte di Giustizia 3 marzo 2021, nelle cause riunite C434/2019 e C-435/19, ha affermato che l’art. 107 TFUE deve essere interpretato nel senso che costituisce un “aiuto di Stato”, ai sensi di detta disposizione la misura nazionale con la quale i concessionari incaricati della riscossione dell’imposta comunale sugli immobili sono tenuti a disporre di un conto corrente aperto a loro nome presso Poste Italiane SpA per consentire il versamento di detta imposta da parte dei contribuenti e a pagare una commissione per la gestione di detto conto corrente, a condizione che tale misura sia imputabile allo Stato, procuri un vantaggio selettivo a Poste Italiane mediante risorse statali e sia tale da falsare la concorrenza e gli scambi tra gli Stati membri, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare.
In via assorbente rispetto all’apprezzamento della sussistenza delle altre condizioni elencate dalla Corte di Giustizia manca, secondo questa Corte, ai fini dell’integrazione dell’aiuto di Stato, la condizione dell’acquisizione del servizio da parte del concessionario non mediante risorse finanziarie proprie ma mediante risorse statali. L’acquisizione mediante risorse statali si verificherebbe nell’ipotesi di esistenza di un meccanismo di compensazione integrale dei costi aggiuntivi risultanti dall’obbligo di disporre di un conto corrente aperto presso Poste Italiane. Per risorse statali si intendono “tutti gli strumenti pecuniari di cui le autorità pubbliche possono effettivamente servirsi per sostenere imprese, a prescindere dal fatto che tali strumenti appartengano o meno permanentemente al patrimonio dello Stato”. La Corte di giustizia dubita dell’esistenza del meccanismo di compensazione in discorso.
Al riguardo va richiamato il passaggio rilevante. “50. Certamente dalle ordinanze di rinvio emerge che, in forza del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 3 i Comuni impositori hanno l’obbligo di pagare una commissione ai concessionari per l’attività di riscossione dell’ICI da loro assicurata. Tuttavia, se è vero che tali somme sono palesemente di origine pubblica, nulla indica che esse siano destinate a compensare i costi aggiuntivi che possono risultare, per i concessionari, dal loro obbligo di disporre di un conto corrente aperto presso Poste Italiane e che lo Stato garantisca in tal modo la copertura integrale di tali costi aggiuntivi. Spetta al giudice del rinvio appurare una tale circostanza. 51. Occorre inoltre rilevare che né dalle ordinanze di rinvio né dal fascicolo di cui dispone la Corte emerge che l’eventuale costo aggiuntivo generato dall’obbligo di acquisizione di servizi presso Poste Italiane, di cui trattasi nei procedimenti principali, debba essere integralmente sopportato dai contribuenti o che sia finanziato da un altro tipo di contributo obbligatorio imposto dallo Stato. 52. Ciò posto, anche se non sembra, prima facie, che le commissioni versate dai concessionari a Poste italiane, in relazione all’apertura e alla gestione dei conti correnti che essi sono tenuti a possedere presso Poste italiane, possano essere considerate concesse direttamente o indirettamente mediante risorse statali, spetta al giudice del rinvio verificare tale circostanza, non potendo la Corte effettuare un esame diretto dei fatti relativi alle controversie oggetto dei procedimenti principali”.
La commissione che i comuni impositori hanno l’obbligo di pagare ai concessionari per l’attività di riscossione dell’ICI non è destinata a compensare i costi aggiuntivi derivanti, per i concessionari, dall’obbligo di disporre di un conto corrente postale perché la commissione è corrisposta anche per il caso di versamento diretto dell’imposta da parte del contribuente al concessionario. Va rammentato che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 3, prevede quanto segue: “L’imposta dovuta ai sensi del comma 2 deve essere corrisposta mediante versamento diretto al concessionario della riscossione nella cui circoscrizione è compreso il comune di cui all’art. 4 ovvero su apposito conto corrente postale intestato al predetto concessionario, con arrotondamento a mille lire per difetto se la frazione non è superiore a 500 Lire o per eccesso se è superiore; al fine di agevolare il pagamento, il concessionario invia, per gli anni successivi al 1993, ai contribuenti moduli prestampati per il versamento. La commissione spettante al concessionario è a carico del comune impositore ed è stabilita nella misura dell’uno per cento delle somme riscosse, con un minimo di Euro 1,81 ed un massimo di Euro 51,65 per ogni versamento effettuato dal contribuente”.
Come si evince chiaramente dalla disposizione citata, la commissione grava sul Comune in misura percentuale sulle somme riscosse, indipendentemente dalle modalità di riscossione, e dunque anche nel caso di versamento diretto al concessionario. Trattasì quindi di commissione che già sul piano normativo è configurata in modo indipendente dal costo risultante dall’obbligo di disporre di un conto corrente. In linea ipotetica potrebbe in concreto verificarsi una riscossione esclusivamente mediante versamento diretto, e ciò nondimeno permarrebbe l’obbligo di pagamento al concessionario della commissione. Trattasi pertanto di commissione che sul piano finanziario esula del tutto dai costi sopportati per la tenuta del conto corrente postale.
Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: “non costituisce “aiuto di Stato” ai sensi dell’art. 107 TFUE la misura nazionale con la quale i concessionari incaricati della riscossione dell’imposta comunale sugli immobili sono tenuti a disporre di un conto corrente aperto a loro nome presso Poste Italiane s.p.a., per consentire il versamento di detta imposta da parte dei contribuenti, e a pagare una commissione per la gestione di detto conto corrente, perché la commissione che i comuni impositori hanno l’obbligo di pagare ai concessionari per l’attività di riscossione dell’ICI da loro assicurata non è destinata a compensare i costi aggiuntivi che i concessionari sono tenuti a sopportare per l’obbligo di disporre del conto corrente presso Poste Italiane”.
Quanto alla sussistenza di un abuso di posizione dominante, considerata quale seconda ipotesi di non conformità della normativa interna (che assoggetta i concessionari al pagamento della commissione fissata unilateralmente da Poste Italiane) a quella dell’Unione Europea di cui all’art. 102 (che vieta ogni comportamento di abuso di posizione dominante), risulta prioritario osservare che la Corte di Giustizia, nella decisione in commento, ha indicato che il giudice del rinvio avrebbe dovuto fornire informazioni precise sulle caratteristiche del mercato rilevante, sulla sua estensione geografica e sull’eventuale esistenza di servizi equivalenti (V. p. 79 della decisione).
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.
Anche in questo caso deve preliminarmente osservarsi che la censura, al pari dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, non contiene informazioni che consentano di identificare che siano stati tempestivamente e ritualmente sottoposti ai giudici del merito gli elementi costitutivi di una posizione dominante, ai sensi dell’art. 102 TFUE, in quanto non è dato conoscere con sufficiente precisione il mercato rilevante a livello di servizi di cui trattasi e della sua estensione geografica, nonché le quote di mercato detenute dalle diverse imprese operanti nel suddetto mercato; né può assumersi che già solo il fatto di obbligare i concessionari a disporre di un conto corrente per la riscossione dell’Ici conferisca a Poste italiane una posizione dominante su una parte sostanziale del mercato interno.
Ne’, infine, la censura chiarisce le ragioni per le quali la normativa italiana potrebbe condurre Poste italiane ad abusare della sua posizione (v. p. 80 della decisione della Corte di Giustizia).
Pertanto, anche in questo caso, in tale sede di giudizio di legittimità, non è possibile svolgere un vaglio delle circostanze di cui sopra, trattandosi di questioni fattuali non evincibili ex actis e comunque non rinvenibili nella censura.
Oltretutto, dalle argomentazioni difensive delle parti risulta che Poste Italiane è libera di fissare le proprie tariffe e, a parte detto obbligo di contrarre con i concessionari, non viene allegato nessun elemento specifico idoneo a differenziare il suo rapporto con questi ultimi da quello che essa intrattiene con gli altri suoi clienti titolari di conti correnti postali.
Poste italiane, sul punto, ha indicato che nei confronti dei concessionari essa intrattiene un comune rapporto di conto corrente e che fornisce da sempre l’unico conto corrente postale, la cui offerta di base è la stessa per tutti i clienti. L’Agenzia delle entrate ha altresì confermato che Poste italiane applica ai conti correnti le stesse condizioni economiche che applicava in generale a tutte le altre persone giuridiche.
Pertanto, per quanto il motivo sia lacunoso sul punto, dalle stesse argomentazioni delle parti non è arguibile alcuna deduzione in concreto dell’abuso.
5. Con il quinto motivo si denuncia in via subordinata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10,L. n. 662 del 1996, art. 2, commi 18, 19 e 20, D.P.R. n. 144 del 2001, art. 3 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché l’illegittimità costituzionale del combinato disposto di tali norme per violazione dell’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, nonché artt. 3 e 41 Cost. Osserva la ricorrente che ove si intenda il diritto sovranazionale non dotato di effetto diretto si impone l’instaurazione dell’incidente di costituzionalità per violazione dell’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, in riferimento agli artt. 102,106,107 e 108 TFUE e che, anche a voler prescindere dalla violazione delle dette disposizioni costituzionali, la costrizione del concessionario, obbligato per legge a stipulare un contratto di conto corrente postale, a subire le incondizionate determinazioni di quest’ultima è in contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. e che ad essere in violazione dell’art. 3 Cost. è anche il potere di determinare unilateralmente l’imposizione di una controprestazione anche sotto il profilo del mancato rispetto della parità di condizioni, a parità “di volumi trattati” e di “categorie di clienti”, per avere Poste trattato il concessionario alla stregua di un qualsiasi correntista, senza tener conto delle caratteristiche del rapporto e dei volumi di traffici realizzati. Aggiunge che mentre un comune correntista può convenire condizioni più favorevoli in ragione dei propri volumi di traffico, al concessionario è impedito dal fatto che non ha possibilità di scelta di apertura del conto.
5.1 Il sollevato dubbio di costituzionalità è privo di pregio.
In primo luogo, quanto alla denunciata violazione degli artt. 11 e 117 Cost., la rilevata assenza dell’aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107 TFUE, in disparte la questione della diretta efficacia del divieto di dare esecuzione all’aiuto, determina la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità. Con riferimento alla violazione degli ulteriori parametri costituzionali (artt. 3 e 41 Cost.), va evidenziato che, per un verso, la questione di legittimità costituzionale non è rilevante per la definizione del giudizio perché muove da un presupposto di fatto, l’avere Poste Italiane trattato il concessionario senza tener conto delle caratteristiche del rapporto e dei volumi di traffici. realizzati, non accertato dal giudice di merito, per l’altro è manifestamente infondata, avuto riguardo alla scelta discrezionale del legislatore circa le modalità di versamento dell’imposta da parte dei contribuenti.
6. Conclusivamente la Corte rigetta entrambi i ricorsi. La soccombenza delle ricorrenti principali e della ricorrente incidentale rende di giustizia la compensazione delle spese del giudizio di cassazione nei loro rapporti, con loro solidale condanna alle spese in favore della vittoriosa controricorrente Poste italiane spa. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e di quella incidentale del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Dispone la compensazione delle spese tra i ricorrenti principale ed incidentale. Condanna entrambi i ricorrenti in solido a pagare, nei confronti di Poste Italiane, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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