Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27061 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1068-2020 proposto da:

R.A. e Z.F., elettivamente domiciliati in ROMA, alla piazza del FANTE, n. 2, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PALMERI, rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO SIAGURA;

– ricorrenti –

contro

P.T. e D.G., elettivamente domiciliati in ROMA, al viale REGINA MARGHERITA n. 1, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO DE STEFANO, rappresentati e difesi dall’avvocato FILIPPO TORTORICI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1006/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 17/05/2019;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021, dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano Valle, osserva quanto segue.

FATTO E DIRITTO

Z.F., tenuto al pagamento, in forza di sentenza passata in giudicato, in favore di P.T. quale tutrice del figlio minorenne D.G., di oltre quarantacinquemila Euro (Euro 45.000,00), dopo l’inizio dell’esecuzione forzata e il rigetto di un’opposizione esecutiva, costituì un fondo patrimoniale nel quale conferì il suo bene immobile di maggior valore economico, costituito da un appartamento sito in *****.

La P. (e il D.) esperirono azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., che ebbe esito favorevole in primo grado, venendo la loro domanda accolta dal Tribunale di Palermo.

La Corte di Appello competente, adita dallo Z. e da R.A., ha con sentenza n. 1006 del 17/05/2019, rigettato l’impugnazione.

Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono, con atto affidato a due motivi, lo Z. e la R..

Resistono con controricorso la P. e il D..

Il ricorso è stato avviato alla trattazione alla stregua degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

A seguito della rituale comunicazione della proposta di definizione, formulata dal Consigliere relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., non sono state depositate memorie.

Il primo motivo del ricorso deduce violazione degli art. 345 e 112 c.p.c., nonché omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte d’Appello di Palermo avrebbe affermato che la deduzione difensiva dello Z. relativa all’accantonamento della somma di oltre Euro ventunomila 21.623,25) era stata proposta soltanto in fase d’impugnazione e pertanto non poteva essere esaminata.

L’affermazione contenuta nel motivo è veritiera (in quanto la circostanza dell’accantonamento della somma di oltre ventunomila Euro risultava dedotta dallo Z. già nel primo grado di giudizio, come da richiamo specifico dell’atto difensivo in quella sede), tuttavia la Corte di Appello di Palermo afferma – nel secondo periodo, seconda parte, di pag. 3 – anche, in punto di fatto, e l’affermazione non è adeguatamente contrastata e costituisce un’autonoma ragione del decidere, che il debito dello Z., comprensivo degli interessi, ammontava non più a oltre Euro quarantacinquemila, ma a oltre Euro cinquantatremila (Euro 53.000,00), con la conseguenza che anche la somma già accantonata dal debitore, di oltre ventunomila Euro, non poteva oramai più ritenersi idonea a far ritenere garantita l’obbligazione. In tal modo la Corte dimostra di avere valutato la censura. Detta affermazione decisoria non è adeguatamente censurata dal primo motivo di ricorso, che si limita a contrapporre una prospettazione di parte ricorrente a quella contenuta nella sentenza in esame, che con idoneo ed autonomo accertamento di fatto ha escluso che l’importo accantonato, pari a meno della metà della somma complessivamente dovuta, fosse sufficiente a garantire l’adempimento dell’obbligazione portata dal titolo esecutivo giudiziale.

Il secondo motivo censura la sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2740 e 2901 c.c. in quanto mancherebbe la prova, nel ragionamento della Corte d’Appello, dell’incapienza del patrimonio dello Z. non avendo la motivazione della sentenza impugnato considerato il prossimo maturarsi del diritto alla percezione del trattamento di fine rapporto in favore dello Z., in considerazione dei limiti di età per il conseguimento di pensione, più basso per gli appartenenti alle Forze Armate, quali lo Z., colonnello dell’esercito.

Il motivo è infondato in quanto la Corte territoriale, nella pur concisa motivazione, afferma che ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria è sufficiente che l’adempimento dell’obbligazione divenga più difficile e che in ogni caso le circostanze relative al percepimento del t.f.r. non erano supportate da adeguata allegazione, non conoscendosi la data del pensionamento né l’ammontare del t.f.r.

Il secondo motivo non consente di ritenere incrinato il ragionamento decisorio del giudice d’appello, conforme alla giurisprudenza di questa Corte in punto di presupposti dell’azione di cui all’art. 2901 c.c.: (Cass. n. 16221 del 18/06/2019 Rv. 654318 – 01) “Il presupposto oggettivo revocatoria ordinaria (cd “eventus damni”) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.” nonché (Cass. n. 13343 del 30/06/2015 Rv. 635807 – 01) “In tema di revocatoria ordinaria nei confronti di fondo patrimoniale costituito successivamente all’assunzione del debito, è sufficiente, ai fini della cd “scientia danzai”, la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.”.

Il ricorso e’, pertanto, infondato e deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza di parte ricorrente e sono liquidate, come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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