LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17777-2020 proposto da:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
D.I.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANLUCA CLARY;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2506/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/05/2020.
RILEVATO
Che:
con sentenza resa in data 25/5/2020, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da D.I.C., e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni sofferti dalla D. in conseguenza del mancato recepimento, da parte dello Stato italiano, delle Dir. comunitarie 75/363/CEE e Dir. 82/76/CEE, avendo la D., dopo il conseguimento della laurea in medicina, frequentato il corso di specializzazione in Pediatria Preventiva e Puericoltura (tra il 1987 e il 1991), senza percepire l’equa remunerazione al riguardo prevista dalla disciplina comunitaria a carico di ciascuno Stato nazionale;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale – sottolineato, preliminarmente, come l’amministrazione appellata non avesse mai rilevato in fatto una non corrispondenza tra le specializzazioni in esame – ha evidenziato come il corso di Pediatria Preventiva e Puericoltura dovesse ritenersi compreso tra le specializzazioni legittimanti il conseguimento dell’equa remunerazione sopra indicata, a nulla rilevando la relativa mancata inserzione nelle direttive comunitarie, atteso che l’ordinamento italiano aveva riconosciuto detta equivalenza con il decreto del Ministero della Sanità del 30/1/1988, e dovendo in ogni caso trovare applicazione, al caso di specie, il consolidato orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mancata previsione di un corso di specializzazione tra quelli testualmente previsti dalla disciplina comunitaria non è di ostacolo al riconoscimento del diritto rivendicato dallo specializzando quando si tratti di specializzazione analoga a quelle istituite in almeno altri due Stati membri;
avverso la sentenza d’appello, la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione, illustrato da successiva memoria;
D.I.C. resiste con controricorso;
a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
Considerato
che:
con l’unico motivo di impugnazione proposto, la Presidenza del Consiglio ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione delle Dir. 82/362/CEE, Dir. 75/363CEE, Dir. 75/362/CEE, Dir. 93/16/CEE, nonché dell’art. 11 preleggi e dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente affermato l’equipollenza del corso di Pediatria Preventiva e Puericoltura a quello di Pediatria (il solo espressamente previsto nelle richiamate direttive continentali), non potendo ritenersi tempestivo il riconoscimento normativo di detta equipollenza nell’ambito dell’ordinamento italiano, siccome avvenuto solo successivamente all’immatricolazione della D. al corso di specializzazione dalla stessa frequentato;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia riconosciuto il diritto della D. al conseguimento dell’equa remunerazione connessa alla frequentazione del corso di specializzazione in Pediatria Preventiva e Puericultura sulla base di una ‘triplice’ ratio decidendi: sottolineando, preliminarmente, come l’amministrazione appellata non avesse mai rilevato in fatto una non corrispondenza tra le specializzazioni in esame (v. pag. 3 della sentenza d’appello, là dove si afferma che la difesa erariale non ha “mai rilevato in fatto una non corrispondenza tra l’organizzazione del corso di pediatria preventiva e puericultura frequentato dalla Dott.ssa D. e quella in Pediatria contemplato dalla direttiva 75/362/CEE”); evidenziando, di seguito, l’avvenuto riconoscimento di detta equipollenza mediante l’emanazione del decreto del Ministero della Sanità del 30/1/1998; e richiamando, infine, il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte ai sensi del quale, in tema di trattamento economico dei medici specializzandi, il mancato inserimento di una scuola di specializzazione in medicina e chirurgia, attivata presso un’Università, nell’elenco delle specializzazioni di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie, non è di ostacolo al riconoscimento, in favore dello specializzando, del diritto alla borsa di studio quando si tratti di specializzazione del tutto analoga a quelle istituite in almeno altri due Stati membri (Sez. 3, Ordinanza n. 19730 del 23/07/2019, Rv. 654776 – 01);
ciò posto, essendosi l’odierna amministrazione ricorrente limitata a censurare solo la seconda ratio decidendi (quella relativa alla pretesa intempestività del riconoscimento formale nell’ordinamento italiano dell’equipollenza, rispetto alla frequentazione del corso di specializzazione da parte della D.), senza nulla dedurre circa l’affermata (dalla corte d’appello) mancata contestazione dell’equipollenza tra le specializzazioni, nonché circa l’effettiva sussistenza di corsi di specializzazione del tutto analoghi a quella in esame in almeno due Stati membri dell’Unione Europea, l’odierna impugnazione deve ritenersi inammissibile, dovendo trovare sul punto applicazione l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata (Sez. 3, Sentenza n. 13880 del 06/07/2020, Rv. 658309 – 01) o, in ogni caso, per carenza di interesse (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16602 del 08/08/2005, Rv. 582945 – 01 e succ. conf.);
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della Presidenza del Consiglio ricorrente al rimborso, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 6 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021