Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27075 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 23602 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:

B.G. (C.F.: *****) rappresentato e difeso dall’avvocato Iuspa Giovanni (C.F.: *****);

– ricorrente –

nei confronti di EQUITALIA SUD S.p.A (C.F.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Lecce –

Sezione distaccata di Taranto n. 223/2019, pubblicata in data 19 aprile 2019;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 6 maggio 2021 dal consigliere Tatangelo Augusto.

FATTI DI CAUSA

B.G. ha proposto opposizione avverso una cartella di pagamento notificatagli dal locale agente della riscossione.

L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Taranto – Sezione distaccata di Manduria.

La Corte di Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece rigettata. Ricorre il B., sulla base di tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa l’intimata.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione dell’art. 360 n. 3 “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 342 c.p.c.””.

Secondo il ricorrente, la corte di appello avrebbe dovuto accogliere la propria eccezione di inammissibilità del gravame dell’agente della riscossione, avanzata ai sensi dell’art. 342 c.p.c., eccezione invece rigettata, avendo i giudici di secondo grado ritenuto che il gravame contenesse, nella sostanza, “l’individuazione del petitum e del quantum devolutum, nonché del percorso argomentativo contrapposto a quello del Tribunale”.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Manca infatti nel ricorso un adeguato richiamo al contenuto dell’atto di appello di cui il ricorrente assume il difetto di specificità e, in particolare, alle parti di esso da cui dovrebbe eventualmente desumersi la fondatezza della suddetta censura e l’erroneità della decisione impugnata sul punto.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti””.

La corte di appello ha ritenuto infondata l’opposizione del B. sulla scorta delle risultanze dell’estratto di ruolo, da cui emergeva l’indicazione della “Corte di Appello di Bari, Campione Penale”, quale ente creditore, nonché quella del “recupero multe ed ammende”, quale oggetto della pretesa posta in riscossione, avendo esso opponente omesso di chiamare in giudizio l’ente creditore.

Il ricorrente non censura specificamente l’argomentazione giuridica posta dai giudici di secondo grado a fondamento della decisione, quella cioè per cui l’omessa chiamata in giudizio dell’ente creditore comporta il rigetto dell’opposizione.

Contesta invece l’avvenuta considerazione, da parte della corte territoriale, dei documenti prodotti dall’agente della riscossione a sostegno delle proprie ragioni, con particolare riguardo alle copie del ruolo (estratto di ruolo) e della relazione di notificazione della cartella di pagamento: sostiene infatti che l’agente avrebbe dovuto produrre gli originali di tali documenti o quanto meno copie autentiche o comunque certificate conformi agli originali degli stessi.

Anche questa censura è inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Nel ricorso, infatti, non solo non è riprodotto, né direttamente né indirettamente, il contenuto dei documenti di cui si assume l’omessa o erronea valutazione, ma nemmeno essi risultano adeguatamente localizzati nell’ambito del fascicolo processuale (né di quello del giudizio di merito, né di quello del giudizio di legittimità).

Risultano con ciò violati i principi espressi dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto; il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento; la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 22303 del 04/09/2008, Rv. 604828 – 01; Sez. U, Sentenza n. 28547 del 02/12/2008, Rv. 605631 – 01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 15628 del 03/07/2009, Rv. 609583 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 20535 del 23/09/2009, Rv. 613342 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 29 del 05/01/2010, Rv. 610934 – 01; Sez. U, Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109 – 01; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011, Rv. 616097 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17602 del 23/08/2011, Rv. 619544 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 124 del 04/01/2013, Rv. 624588 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 26174 del 12/12/2014, Rv. 633667 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016, Rv. 642130 – 01; Sez. 5, Ordinanza n. 14107 del 07/06/2017, Rv. 644546 – 01, in cui si specifica espressamente che il principio è valido anche ove il ricorrente intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, in relazione alla valutazione del documento; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27475 del 20/11/2017, Rv. 646829 01; Sez. L, Sentenza n. 20914 del 05/08/2019, Rv. 654796 -02). Va comunque aggiunto, anche per completezza espositiva, che, per quanto è possibile evincere dalla pur lacunosa esposizione operata dal ricorrente, le censure avanzate con il motivo in esame sono manifestamente infondate in diritto e, come tali, inammissibili anche ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, in quanto contrastanti con gli indirizzi consolidati di questa Corte, cui va certamente dato seguito (non offrendo del resto il ricorso argomenti idonei ad indurre alla loro rime-ditazione), in tema di oneri di allegazione e prova documentale gravanti sull’agente della riscossione, secondo i quali:

– l’estratto di ruolo è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, contenente tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (così Cass., Sez. 3, Sentenze n. 11141 e n. 11142 del 29/05/2015, non massimate; Sez. 3, Sentenza n. 11794 del 09/06/2016, Rv. 640105 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15315 del 20/06/2017, Rv. 644736 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11028 del 09/05/2018, Rv. 648806 – 01);

– precisamente, il ruolo è il titolo esecutivo in forza del quale l’agente della riscossione esercita il diritto di procedere in via esecutiva (arg. D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 49) ed il ruolo, in quanto posto a base della riscossione coattiva, fornisce il riscontro dei dati indicati nella cartella esattoriale; questa, infatti, in conformità al relativo modello ministeriale, contiene l’indicazione del credito così come risultante dal ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, (così Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24235 del 27 novembre 2015, in motivazione);

– l’estratto del ruolo non è una sintesi del ruolo operata a sua discrezione dallo stesso soggetto che l’ha formato, ma è la riproduzione di quella parte del ruolo che si riferisce alla o alle pretese impositive che si fanno valere nei confronti di quel singolo contribuente con la cartella notificatagli (così Cass. n. 11141 n. 11142 del 2015 e le ulteriori decisioni conformi sopra già citate);

– ne consegue che l’estratto di ruolo “costituisce idonea prova della entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale ivi indicata, anche al fine della verifica della natura tributaria o meno del credito azionato, e quindi della verifica della giurisdizione del giudice adito” (Cass. n. 11141 e n. 11142 del 2015 e le ulteriori decisioni conformi sopra già citate);

– in tema di esecuzione esattoriale, qualora la parte destinataria di una cartella di pagamento contesti di averne ricevuto la notificazione e l’agente per la riscossione dia prova della regolare esecuzione della stessa (secondo le forme ordinarie o con messo notificatore, ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento), resta preclusa la deduzione di vizi concernenti la cartella non tempestivamente opposti, né sussiste un onere, in capo all’agente, di produrre in giudizio la copia integrale della cartella stessa (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10326 del 13/05/2014, Rv. 630907 – 01); la cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte, ed il titolo esecutivo è costituito dal ruolo (così Cass. n. 12888 del 2015, nonché Cass. n. 24235 del 2015, già citata);

– in tema di notifica della cartella esattoriale D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data è assolta mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnata a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (così Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9246 del 07/05/2015, Rv. 635235; Sez. 3, Sentenza n. 24235 del 27/11/2015; Sez. 3, Sentenza n. 21803 del 28/10/2016, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 15795 del 29/07/2016, Rv. 641156 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 33563 del 28/12/2018, Rv. 652126 – 01).

Sulla base dei principi di diritto appena esposti, devono ritenersi manifestamente infondate le contestazioni in diritto del ricorrente sull’idoneità probatoria dei documenti presi in esame dalla corte di appello.

E’ infine appena il caso di osservare che il ricorrente, il quale sostiene di avere contestato la conformità agli originali dei documenti prodotti in copia dall’agente della riscossione, neanche indica specificamente – ancora in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – l’atto processuale in cui sarebbe avvenuto il suddetto disconoscimento, né richiama gli esatti termini dello stesso.

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 92 c.p.c.””.

Secondo il ricorrente la corte di appello avrebbe dovuto compensare le spese del giudizio, essendo stato accolto l’appello solo parzialmente e sussistendo, quindi, i presupposti della reciproca soccombenza parziale.

Il motivo è manifestamente infondato.

La corte di appello ha correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio infatti che, nella specie, la soccombenza dell’opponente sia stata integrale, essendo stata integralmente rigettata la sua opposizione. Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01).

4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva nella presente sede. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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