Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27208 del 06/10/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8460/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

La Termosanitaria di S.F.R. & C s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, e S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, n. 313/22/2014, depositata il 7 febbraio 2014;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 30 settembre 2021 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brindisi (n. 52/3/2009) che aveva accolto i ricorsi presentati dalla società La Termosanitaria di S.F.R. & C. s.a.s. e dalla socia S.F. (87,50%) contro gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società e della socia, per l’anno 2003, ai fini Irpef, dall’Agenzia delle entrate, sulla base di un precedente atto di rettifica notificato alla società il 27 settembre 2005, e definito con versamento del 23 novembre 2005, con il quale l’Agenzia aveva rettificato, ai fini dell’imposta di registro, il valore di una cessione a titolo oneroso di un esercizio commerciale (nella quale la contribuente era intervenuta in qualità di dante causa), elevandolo da Euro 23.390,00 ad Euro 112.390,00. In particolare, il giudice d’appello evidenziava che l’atto di rettifica “a monte” notificato alla società in data 27 settembre 2005, non era stato prodotto nel giudizio e che la plusvalenza accertata ai fini dell’imposta di registro non assumeva automatica efficacia ai fini delle imposte sui redditi, costituendo al più un utile elemento da utilizzare, quindi una presunzione semplice. Tuttavia, a fronte di tale presunzione, i contribuenti avevano fornito elementi idonei al suo superamento, dimostrando che l’attività della società era stata avviata da soli tre anni, che nell’anno oggetto di accertamento l’impresa aveva avuto una perdita di esercizio e, conseguentemente, era stata posta in liquidazione in data 16 dicembre 2003, come risultava dalla documentazione allegata ai ricorsi originari. La posizione del socio Sa.Fr. (al 12,5 %) era stata invece definita in secondo grado a seguito di presentazione di domanda di chiusura della lite fiscale pendente, ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 19.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Restano intimati la società e la socia S.F.R..

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. In particolare, la ricorrente rileva che sia il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, sia il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, ai fini dell’imposta di registro, tengono conto, in caso di cessione di azienda, del valore di avviamento, ossia dell’attitudine dell’azienda a produrre utilità economiche aggiuntive rispetto a quelle conseguibile attraverso l’utilizzazione isolata di ciascun bene facente parte dell’azienda. L’Amministrazione ha quantificato la plusvalenza relativa alla cessione d’azienda, compreso l’avviamento, facendo riferimento al valore definito per l’imposta di registro, e quindi presumendo la corrispondenza tra il prezzo percepito dal contribuente per tale cessione ed il relativo valore di mercato. In realtà, secondo la ricorrente in tema di accertamento del reddito di impresa, il valore di mercato determinato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro può essere legittimamente utilizzato dall’Amministrazione finanziaria come dato presuntivo ai fini dell’accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione d’azienda. Inoltre, il valore dell’avviamento resosi definitivo ai fini dell’imposta di registro assume carattere vincolante per l’Amministrazione finanziaria. Il giudice d’appello, invece, avrebbe erroneamente ritenuto che la plusvalenza accertata ai fini delle imposte di registro non assumerebbe automatica efficacia ai fini delle imposte di redditi.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Invero, deve tenersi conto dello ius superveniens costituito dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3.

1.3. Infatti, per questa Corte, nel giudizio di legittimità, lo “ius superveniens”, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perché, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; e, dall’altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni trattate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorché dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass., sez. 5, 2 agosto 2018, n. 19227; Cass., sez. L., 26 luglio 2011, n. 16266; Cass., sez. L., 1 ottobre 2012, n. 16642; Cass., sez. 5, 8 maggio 2006, n. 10547). Il giudizio di legittimità ha ad oggetto, del resto, non solo l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (Cass., sez. L., 28 febbraio 2017, n. 5226).

1.4. Nella specie, i contribuenti, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, hanno contestato che il contenuto dell’avviso di rettifica emesso nei confronti della società, ai fini della imposta di registro, per la cessione di azienda, potesse riverberare “automaticamente” i suoi effetti su un accertamento ai fini Irpef, per plusvalenza, in relazione alla medesima cessione.

1.5. Pertanto, poiché il ricorso per cassazione è stato spedito per la notifica dalla Agenzia delle entrate il 17 marzo 2015, con notifica del 24 marzo 2015, mentre lo ius superveniens è stato introdotto con il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, è possibile applicare alla fattispecie in esame la nuova normativa.

1.6. Quanto al merito, i fatti di causa possono così essere riassunti. L’Agenzia delle entrate ha emesso avviso di accertamento nei confronti della società (RF 6020100115/2008) e della socia (RF6010100116/2008), per l’anno 2003, notificato l’11 aprile 2008, a seguito di un precedente atto di rettifica, notificato alla società il 27 settembre 2005 e definito con il versamento del 23 settembre 2005, con cui l’Agenzia aveva modificato, ai fini dell’imposta di registro, il valore di una cessione a titolo oneroso di esercizio commerciale, elevandolo da Euro 23.390,00 dichiarati ad Euro 112.390,00 accertati. Avverso l’avviso di accertamento ai fini Irpef avevano presentato ricorso sia i due soci che la società. Il socio Sa.Fr. ha poi aderito alla definizione agevolata ai sensi della L. n. 98 del 2011.

1.7. La Commissione regionale, dunque, ha correttamente escluso che si potesse procedere alla determinazione della asserita plusvalenza da cessione del terreno, esclusivamente tenendo conto della rettifica del valore del terreno in sede di imposta di registro. Il giudice d’appello, del pari correttamente, ha anche precisato che la plusvalenza accertata ai fini dell’imposta di registro, pur non assumendo automaticamente efficacia ai fini delle imposte sui redditi, tuttavia poteva certamente costituire un utile elemento da utilizzare, congiuntamente ad altri elementi, per l’accertamento di un maggiore corrispettivo rispetto a quello contabilizzato, ma non poteva essere l’elemento fondante di tale accertamento.

2. In realtà, deve osservarsi che la tesi dell’Agenzia delle entrate, sconfessata dalla Commissione regionale, che ha respinto l’appello dell’Amministrazione, si fondava sul tralaticio orientamento giurisprudenziale (Cass., 16254/2015; Cass., 14485/2009), per cui il valore del bene determinato ai fini della imposta di registro, spiegava effetto anche sulla determinazione della plusvalenza generata dalla cessione del medesimo bene; sicché era onere del contribuente, al fine di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con quello coincidente con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrare di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore 2.1. Tale orientamento è stato, però, travolto dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3, in base al quale “Il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 58, 68, 85 e 86 e il D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5,5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”. Pertanto, per questa Corte, il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, che esclude l’accertamento induttivo della plusvalenza ricavata dalla cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, è una norma interpretativa e, come tale, retroattiva, in ragione del chiaro intento del legislatore, desumibile, peraltro, dal comma 4 del detto art. che contempla una disciplina transitoria solo per le disposizioni di cui al comma 1, senza nulla statuire per quelle contenute nei commi 2 e 3 (Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 12131; Cass., 18 aprile 2018, n. 9513; Cass., 17 maggio 2017, n. 12265; Cass., 2 agosto 2017, n. 19227).

2.2. La presunzione suindicata, quindi, non è più legittima, in base alla novella legislativa, solo sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass., n. 6135/2016; Cass., n. 11543 del 2016), posto che la base imponibile Irpef è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.

Pertanto, l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione Irpef, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo invece provvedere l’Ufficio a individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, che supportino adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente (Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 12131; Cass., sez.5, 30 gennaio 2019, n. 2610).

Nella specie, dunque, il giudice d’appello si è adeguato ai principi di diritto della giurisprudenza di legittimità, escludendo l’efficacia vincolante, ai fini dell’imposta sui redditi, di quanto già accertato ai fini dell’imposta di registro, pur pagata dalla contribuente, quale dante causa della cessione dell’azienda commerciale.

3. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 c.c. e ss., e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che le prove fornite dai contribuenti fossero idonee a superare la presunzione dell’Ufficio di vendita dell’azienda ad un prezzo superiore rispetto a quello indicato nel contratto di cessione. In realtà, seppure il contribuente può superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato definito in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore, è pur vero che, a tal fine, non possono essere sufficienti mere affermazioni di principio, ma occorrerebbe fornire “prove concrete” in grado di superare la presunzione. La ricorrente evidenzia che l’atto di rettifica n. 20032V000803 notificato alla società in data 27 settembre 2005, relativo all’imposta di registro, e definito con il versamento in data 23 novembre 2005, è stato depositato sin dal giudizio di primo grado, come risulta dalla ricevuta di deposito presso la Commissione tributaria provinciale di Brindisi e dall’elenco degli allegati presenti nel fascicolo processuale del ricorso. Nell’avviso di rettifica relativo all’imposta di registro l’Amministrazione aveva tenuto conto sia dell’avviamento dell’attività da soli tre anni, sia dell’esistenza di una perdita di esercizio nell’anno 2003. Pertanto, erroneamente l’Agenzia ha ritenuto che i contribuenti avessero dato la prova della congruità del prezzo di vendita dichiarato, avendo tenuto conto della durata dell’attività per soli tre anni e della perdita di esercizio nell’anno 2003, oltre che della messa in liquidazione in data 16 dicembre 2003. Tali elementi erano già stati presi in considerazione dall’Ufficio per rideterminare il valore dell’avviamento. Inoltre, il valore era stato definitivamente acclarato a seguito dell’intervenuto pagamento effettuato ai fini del calcolo dell’imposta di registro.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Anzitutto, si rileva, che la ricorrente, pur adombrando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., in realtà chiede una vera e propria rivalutazione degli elementi di fatto, già congruamente valutati dal giudice d’appello.

Invero, la sentenza della Commissione regionale è stata depositata in data 7 febbraio 2014, sicché il vizio di motivazione della sentenza, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere articolato tenendo conto delle modifiche apportate a tale norma dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012. La censura di motivazione, quindi, può essere costruita soltanto attraverso lo schema rigido dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti.

La ricorrente, invece, tenta di eludere la norma, così come declinata a seguito delle riforme, con una pretesa violazione di legge, fondata sull’erronea applicazione delle presunzioni, ai sensi dell’art. 2727 c.c. In realtà, però, la critica contenuta nel motivo di ricorso per cassazione non si limita ad evidenziare l’erronea applicazione delle presunzioni, nel senso che il giudice d’appello avrebbe applicato presunzioni non dotate dei requisiti di gravità, precisione concordanza, ma si incentra sulla fallacia delle argomentazioni e delle valutazioni della Commissione regionale, quindi sul ragionamento inferenziale del giudice, in tal modo entrando nel merito della controversia e chiedendo una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, in quanto correttamente compiuta dal giudice d’appello.

Ne’ sussiste la violazione del principio di distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in quanto correttamente il giudice d’appello ha ritenuto che il valore della cessione dell’azienda accertato in sede di imposte registro, costituisse comunque un indizio utilizzabile da parte dell’Amministrazione, ma che doveva essere accompagnato da ulteriori elementi di sostegno.

In realtà, quindi, la Commissione regionale, da un lato ha tenuto conto della plusvalenza accertata ai fini delle imposte registro, qualificandola come utile elemento da utilizzare, congiuntamente ad altri, per l’accertamento di un maggiore corrispettivo ai fini Irpef, ma, dall’altro, ha affermato l’esistenza di elementi di fatto, idonei a superare tale presunzione. Sono state, dunque, indicate circostanze di fatto specifiche, costituite dal fatto che la società era stata avviata da soli tre anni, che nell’anno 2003 aveva registrato una perdita esercizio e che, conseguentemente, era stata messa in liquidazione in data 16 dicembre 2003, come risultava dalla documentazione allegata, dando piena giustificazione al valore della cessione d’azienda indicato nell’atto di compravendita.

Ne’ rileva, in tale contesto probatorio, la circostanza che il giudice di appello, per errore, non abbia tenuto conto che l’avviso di rettifica ai fini della imposta di registro era stato ritualmente prodotto dall’Agenzia delle entrate, avendo tenuto conto il giudice di appello degli elementi di fatto contenuto in tale avviso. Invero, è vero che in motivazione la Commissione regionale ha erroneamente affermato che l’atto di rettifica “a monte” non era stato prodotto “né nel giudizio di primo grado né in questa sede”, tuttavia i fatti indicati nell’avviso di rettifica ai fini dell’imposta di registro sono stati tutti esaminati dal giudice di appello (cfr. pagina 5 della motivazione “a fronte della presunzione semplice…i contribuenti hanno fornito elementi idonei per superarla. In particolare, essi hanno provato…che l’attività della società era stata avviata da soli tre anni e che, nell’anno oggetto di accertamento, l’impresa aveva registrato una perdita di esercizio e, conseguentemente, era stata messa in liquidazione in data 16.12.2003, come risulta dalla documentazione allegata ai ricorsi di prime cure”).

4. L’assenza di attività difensiva da parte degli intimati comporta che non si debba provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

5. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., 890/2017; Cass., 5955/2014).

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472