LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 8196/2017 proposto da:
Forship s.p.a., nella persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente dagli Avv.ti Pierpaolo Curri, e Luca A. Centore, in forza di procura speciale apposta in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Confederazione Italiana Armatori (in forma abbreviata Confitarma), nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Stefano Zunarelli, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Piazza S.S. Apostoli, n. 66, come da procura speciale apposta in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di GENOVA n. 1231/2016, pubblicata il 28 novembre 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/07/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
Che:
1. Con sentenza del 28 novembre 2016, la Corte di appello di Genova, in totale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la Forship s.p.a. al pagamento, in favore della Confitarma, della somma di Euro 136.667,23, oltre interessi legali dalla diffida al saldo, nonché alla restituzione dell’importo di Euro 31.823,81, oggetto di rimborso per effetto della pronuncia di primo grado, oltre interessi legali dal pagamento al saldo e ha respinto l’appello incidentale condizionato proposto dalla società Forship s.p.a., con condanna di quest’ultima al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.
2. La Confitarma aveva ottenuto, con decreto ingiuntivo, il pagamento della somma di Euro 146.667,23, nei confronti della Forship s.p.a., a titolo di contributi associativi e distacchi sindacali relativi all’anno 2008; in sede di opposizione, il giudice di primo grado aveva ritenuto la legittimità del recesso operato dalla Forship s.p.a., ex art. 33, commi 2 e 3, dello Statuto ed aveva accolto la domanda riconvenzionale proposta da Forship s.p.a. di restituzione delle somme indebitamente corrisposte per contributi associativi in relazione alle navi *****, ***** e *****, ordinando la restituzione delle somme corrisposte in sede di provvisoria esecutorietà del titolo, oltre interessi legali e il rimborso dei contributi versati per le tre navi, rigettando la richiesta di rivalutazione monetaria per la mancanza di prova del maggior danno.
3. La Corte d’appello di Genova, dopo avere ritenuto tardiva la produzione di nove documenti da parte della Confitarma alla luce del disposto di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, applicabile ratione temporis, ha accolto l’appello principale e rigettato l’appello incidentale (fatta eccezione per il mancato riconoscimento degli interessi moratori sulla somma ingiunta e dovuta per l’anno 2008) ed ha affermato che:
l’art. 24 c.c., comma 2, era applicabile in via diretta anche alle associazioni non riconosciute ed anche in assenza di espressa previsione o di norma di richiamo nel capo III del titolo II del Libro primo del codice civile, in forza del quale il diritto di recesso spetta ad nutum a ciascuno degli associati se il vincolo associativo non è contratto a tempo determinato, se non diversamente disposto dalla volontà delle parti;
il diritto di recesso, nel caso in esame, era limitato, essendosi in presenza di un vincolo associativo “a tempo”, come confermato dall’art. 6, comma 2, dello Statuto, e perché riguardante un ente che svolgeva funzioni sindacali e di tutela anche economica dei propri associati e ciò fatto salvo, in ogni caso, il recesso per giusta causa avente efficacia immediata;
lo Statuto in questione prevedeva un’unica ipotesi di recesso, all’art. 33 dello Statuto, a favore degli associati che in sede di assemblea dissentivano dalle modifiche statutarie adottate, una volta ribadita, decorsi non più di trenta giorni dalla comunicazione, la loro volontà di uscire dall’associazione e che analoga facoltà non era concesso a coloro che avevano manifestato il loro espresso consenso, né a coloro che non avevano partecipato a formare la volontà assembleare perché assenti;
l’interpretazione di detta clausola era conforme al dato letterale (“in sede di assemblea”) e alla ratio della disposizione che era quella di premiare gli associati attivi e propositivi, tenuto anche conto che la clausola si poneva come eccezione al principio generale del diritto di recesso ad nutum in presenza di un vincolo associativo accordato a tempo determinato; né poteva essere equiparata al dissenso, la mancata presenza dell’associato in assemblea;
la Forship s.p.a. solo in sede di opposizione aveva invocato l’esistenza di “ulteriori giuste cause” e non anche prima della lite o nella lettera del 3 agosto 2007, dove palesa la volontà di recedere, richiamando l’art. 33 dello Statuto, per il solo fatto che erano state adottate modifiche allo Statuto ritenute rilevanti e non per altri motivi, né l’appellata aveva provato che dette modifiche avessero comportato mutamenti dello scopo dell’associazione e delle modalità con cui si esplicava la vita associativa, o delle condizioni di ammissione all’associazione stessa, tali che essa non le avrebbe approvate sin dall’inizio;
la Confitarma aveva quindi titolo a richiedere contributi associativi e distacchi sindacali, questi ultimi trovando causa nella Delib. Consiglio 6 dicembre 2001, non impugnata, né contestata, assunta ai sensi dell’art. 5, comma 1, dello Statuto; ma non potevano essere accordati gli interessi moratori di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5, per l’assenza dei presupposti di fatto ivi individuati, trattandosi di somme legate ad un vincolo associativo tra società ed associazione ed in assenza di una clausola dello Statuto di diverso segno;
tenuto conto degli artt. 4 e 5 dello Statuto del Regolamento di contribuzione di Confitarma, delle risultanze dei pubblici registri che riscontravano che le tre navi, *****, ***** e *****, erano riconducibili alla Forship s.p.a. ed al suo gruppo e, quindi, rientranti nell’espressione dell’art. 4 “o comunque gestite” e del Regolamento di contribuzione di Confitarma che prevedeva l’utilizzazione delle risultanze del “Lloyd’s Register of Ships” dove era riportata la composizione di tutti i gruppi armatoriali, la domanda riconvenzionale proposta e ribadita in sede di appello incidentale dalla Forship s.p.a. non poteva essere accolta, a nulla rilevando la formale intestazione delle navi a soggetti diversi, circostanza peraltro pacifica fra le parti;
era infondata anche la censura circa la non corretta applicazione da parte del Tribunale degli artt. 167 e 183 c.p.c., stante che la Confitarma non aveva sollevato alcuna eccezione in senso stretto, avendo soltanto argomentato le proprie difese nel solco della domanda svolta in sede monitoria, sulle quali il Tribunale poteva e doveva giudicare.
4. Forship s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
5. La Confederazione Italiana Armatori ha depositato controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 preleggi e dell’art. 1362 c.c., in quanto la Corte di appello avrebbe preso in considerazione solo le parole “in sede di assemblea”, senza considerare dell’art. 33, comma 1 dello Statuto secondo cui “Le modificazioni allo Statuto, al Regolamento di contribuzione, e lo scioglimento della Confitarma sono deliberati dall’Assemblea con il voto favorevole dei due terzi di voti spettanti al complesso degli Associati”, sia il prosieguo della proposizione di cui dell’art. 33, comma 2, che prevede che “Agli Associati che in sede di assemblea abbiano dissentito dalle modificazioni adottate è consentito il diritto di recesso, da notificare per lettera raccomandata entro trenta giorni dall’avvenuta comunicazione delle modificazioni statutarie”; la norma statutaria, nel suo complesso, andava interpretata, dunque, nel senso che, “laddove le parti hanno previsto che per la modifica di una norma statutaria sia necessario un quorum deliberativo dei 2/3 degli associati, è evidente che la mancata partecipazione all’Assemblea costituisca dissenso rispetto all’approvazione delle modifiche statutarie al pari della presenza con voto negativo” e “laddove le parti hanno previsto che il recesso dei dissenzienti debba essere notificato entro trenta giorni dalla avvenuta comunicazione delle modifiche statutarie approvate in assemblea, è chiaro che le parti hanno voluto consentire il recesso a chi (assente per espressione di dissenso) abbia conosciuto della proposta di modifica dello Statuto non immediatamente in assemblea ma mediante comunicazione successiva”.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all’applicazione dell’art. 1362 c.c., per mancanza assoluta di motivazione sulla correttezza del criterio ermeneutico utilizzato, avendo la Corte d’appello completamente ignorato sia dell’art. 33, comma 1, dello Statuto, che il prosieguo della norma, oltre che le argomentazioni difensive della società Forship s.p.a..
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1363 c.c., non avendo la Corte d’appello fatto ricorso al criterio ermeneutico dell’interpretazione complessiva delle clausole di cui all’art. 1363 c.c..
4. Con il quarto motivo si deduce il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla ratio della norma statutaria ex art. 33 dello Statuto, in quanto la motivazione della Corte d’appello era apparente, non consentendo di comprendere l’iter logico seguito dal giudice di merito e non potendosi ricostruire la ratio della norma senza considerare la previsione di un quorum deliberativo dei 2/3 degli associati.
5. Con il quinto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, comma 2, per errata non applicazione dell’analogia legis tra l’art. 2377 c.c. e lo Statuto della Confitarma, associazione non riconosciuta.
6. Con il sesto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1365,1366 e 1367 c.c., poiché la Corte d’appello aveva ritenuto prevalente e sufficiente il dato letterale, asseritamente chiaro, dell’art. 33 dello Statuto.
6.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché strettamente connessi, sono inammissibili.
6.2 Secondo il costante orientamento di questa Corte, nell’interpretazione del contratto, che è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (Cass., 28 giugno 2017, n. 16181; Cass., 26 luglio 2019, n. 2029; Cass., 2 luglio 2020, n. 13595).
Pertanto, se è vero che il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, è anche vero che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici soltanto quando il testo, anche se è chiaro, è incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti.
6.3. Nella fattispecie, la Corte d’appello, interpretando la clausola 33 dello Statuto mediante il criterio letterale, ha ritenuto, motivatamente, che lo Statuto in questione prevedesse un’unica ipotesi di recesso, a favore degli associati che in sede di assemblea avessero dissentito dalle modifiche statutarie adottate; inoltre, ha affermato che lo Statuto richiedeva che gli associati, presenti in assemblea e dissenzienti, esprimessero la loro volontà di uscire dall’associazione decorsi non più di trenta giorni dalla comunicazione delle modificazioni statutarie, mentre analoga facoltà non era concessa a coloro che avevano manifestato il loro espresso consenso, né a coloro che non avevano partecipato a formare la volontà assembleare perché assenti, e che tale interpretazione era conforme al dato letterale (“in sede di assemblea”) e alla ratio della disposizione che era quella di premiare gli associati attivi e propositivi, tenuto anche conto – da un lato – che la clausola si poneva come eccezione al principio generale (ribadito nell’art. 24 dello Statuto) del divieto di recesso ad nutum in presenza di un vincolo a tempo determinato, e dall’altro che non poteva essere equiparata al dissenso la mancata presenza dell’associato in assemblea.
6.4 Orbene, nessun addebito può muoversi nella denunciata linea di diritto alla sentenza impugnata, che ha ricostruito la volontà delle parti, per come fatta palese dal ricorso al criterio dell’interpretazione letterale del testo al suo esame, giungendo alla conclusione da cui dissente ora la società ricorrente. La quale, peraltro, non ha esposto adeguata spiegazione del perché la Corte territoriale avesse deviato dalle regole di ermeneutica contrattuale e non avesse rispettato la volontà dei contraenti, prospettando solamente una diversa ed a sé più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, essenzialmente basata su un dato letterale (la previsione contenuta nell’art. 33 dello Statuto della decorrenza dell’esercizio del diritto di recesso entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della Delibera contenente le modifiche statutarie) che la Corte di merito, nella valutazione discrezionale ad essa riservata, non ha ritenuto di valorizzare, e che del resto non appare idonea a fornire inequivoca conferma della tesi interpretativa della ricorrente, ben potendo tale disposizione statutaria ricollegarsi, come efficacemente evidenziato dal P.G. nelle sue conclusioni, a ragioni affatto distinte da quella di consentire l’esercizio del diritto di recesso anche al socio che non partecipi all’assemblea, in contrasto con il dettato espresso dello Statuto sul punto. Ne’ vale al riguardo opporre il riferimento, espresso dalla ricorrente, alla disciplina del codice civile in tema di soci legittimati ad impugnare le delibere dell’assemblea della società per azioni. La esclusione della applicazione analogica nella specie del disposto dell’art. 2377 c.c., affermata dalla Corte di merito, merita condivisione non solo per la diversa natura della associazione, ma anche perché la materia regolata dall’art. 2377 c.c., è affatto distinta da quella attinente alla facoltà di recesso, consentita dallo Statuto della associazione in esame in deroga all’art. 24 c.c.. Sì che la equiparazione, nella facoltà di impugnare le delibere assembleari, che l’art. 2377 c.c., opera tra i soci assenti ed i soci dissenzienti – in tal modo, peraltro, confermando la distinzione tra le due situazioni giuridiche – non vale a fornire argomento per una applicazione analogica nel caso affatto diverso di esercizio della facoltà di recesso dalla associazione.
6.5 Sovviene, in ogni caso, il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass., 10 maggio 2018, n. 11254; Cass., 12 gennaio 2006, n. 420).
6.6 Non sussiste, quindi, il vizio di motivazione apparente dedotto dalla società ricorrente, poiché la motivazione dettata dalla Corte territoriale a fondamento della decisione impugnata e’, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, secondo quanto in precedenza diffusamente rilevato, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
6.6 In ordine al vizio di omesso esame delle argomentazioni difensive della società ricorrente, è utile precisare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, qui da applicarsi, prevede l’omesso esame circa “un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152), ciò che configura un ulteriore profilo di inammissibilità delle censure sollevate.
7. Con il settimo motivo si deduce il vizio di nullità della sentenza per error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte d’appello erroneamente aveva ritenuto non riproposta l’eccezione di invalidità dell’art. 6, commi 2 e 3, dello Statuto della Confitarma, in quanto, pur essendo vero che la Forship s.p.a. non aveva riproposto la domanda di accertamento e dichiarazione della nullità della clausola statutaria indicata per un mero lapsus calami, tuttavia aveva largamente argomentato sulla stessa sia in sede di appello incidentale condizionato, sia in sede di comparsa conclusionale in appello.
7.1 Il motivo è infondato, perché la Corte di appello, pur avendo affermato che l’eccezione di invalidità dell’appellata non era stata espressamente riproposta in grado di appello, ha comunque evidenziato, nel merito, che detta eccezione poteva ritenersi fondata soltanto laddove comportasse una lesione dei diritti della persona costituzionalmente protetti e come tali incomprimibili come in caso di associazioni di natura politica, religiosa o ideologica, escludendo, nel caso in esame, la sussistenza dell’ipotesi in questione, perché la Confitarma svolgeva funzioni sindacali e di tutela anche economica dei propri associati (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata).
8. Per quanto esposto, il ricorso va rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021
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