Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27251 del 07/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 925-2020 proposto da:

N. MILANO SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 71, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO DANIELE MOSE’ MORPURGO;

– ricorrente –

contro

N.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 63, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO ALIBERTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO VILLANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 612/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

RILEVATO

che:

1. con sentenza 28 giugno 2019, la Corte d’appello di Milano condannava N. Milano s.p.a. in liquidazione al pagamento, in favore di N.P. a titolo di compensi di amministratore per gli anni da 2009 a 2011 e di quote di trattamento di fine mandato (anni da 2006 a 2011), delle rispettive somme di Euro 96.398,00 e di Euro 58.125,00: così riformando la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato le domande, per ritenuta rinuncia agli emolumenti richiesti;

2. sulla base delle scrutinate risultanze documentali, diversamente dal Tribunale, essa attribuiva significato negoziale ai soli atti deliberativi del C.d.A. relativi agli esercizi 2009 (due) e 2010 (uno), in funzione del ripristino di un efficace stanziamento dei compensi agli amministratori con la Delib. del C.d.A. 12 maggio 2009, nuovamente dal 2011 ed escludeva la valenza probatoria di ogni altro indice (in particolare, delle risultanze dei bilanci): così riconoscendo all’amministratrice gli emolumenti suindicati;

3. con atto notificato il 27 dicembre 2019, la società ricorreva per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., cui l’amministratrice resisteva con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1236,1324,1362,1366 c.c., per il riconoscimento di compensi all’amministratrice in base ad una non corretta valutazione delle sue tacite rinunce in sede di approvazione dei bilanci (unico motivo);

2. esso è inammissibile;

3. è risaputo che la rinuncia a un diritto, se pure non possa essere presunta, possa tuttavia desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare; e che la valutazione in concreto di tali comportamenti formi oggetto di un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per contraddittorietà intrinseca della motivazione o per sua carenza o illogicità (Cass. 13 gennaio 2009, n. 460; Cass. 14 giugno 2019, n. 16061): tanto meno, alla luce del più circoscritto ambito devolutivo del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 7 aprile 2014, n. 8053);

3.1. l’interpretazione del comportamento negoziale dell’amministratrice della società N., compiuta dalla Corte territoriale scrutinando le risultanze documentali (a pg. 3 della sentenza) con argomentazione congrua (dal primo all’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), neppure è stata correttamente censurata con indicazione dei canoni interpretativi violati né tanto meno di specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350), sicché è insindacabile in sede di legittimità, in quanto riservata al giudice di merito;

3.2. la ricorrente si limita a contrapporre la propria interpretazione di parte a quella giudiziale (Cass. 25 ottobre 2006, n. 22889; Cass. 4 giugno 2010, n. 13587), così la doglianza traducendosi in una critica inammissibile alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito (Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136);

4. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

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