Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27271 del 07/10/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33694/2018 proposto da:

F.R., D.F., F.M., rappresentati e difesi dall’avv.to Carmine Lattarulo, giusta procura speciale in atti, ed elettivamente domiciliati presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSNI Spa, in persona del legale rapp.te pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.to ANTONIO ALTAMURA, giusta procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Angelo Averni, in Roma, via Pietro Borsieri 12;

– controricorrente –

contro

P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2439/2018 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata il 03/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

RILEVATO

che:

1. F.M. e R. e D.F. ricorrono, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Taranto che aveva rigettato l’appello avverso la pronuncia del giudice di pace con la quale era stata respinta la domanda da loro avanzata, in via riconvenzionale, nei confronti di P.A. i che aveva agito in giudizio nei loro confronti per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell’incidente di cui riteneva responsabile il veicolo antagonista, condotto dal padre delle F. che era deceduto nel sinistro stradale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il Tribunale, condividendo le valutazioni del primo giudice, aveva escluso che, sulla base della valutazione delle prove assunte, potesse affermarsi la responsabilità della P. in ordine alla collisione dei veicoli, segnatamente rispetto all’eccesso di velocità che, in thesi, aveva caratterizzato la sua condotta di guida.

2. La Unipolsai Assicurazioni Spa ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 140,141 C.d.S. e art. 145 C.d.S., commi 1 e 2.

1.1. Assumono, al riguardo, che il tribunale aveva male interpretato le norme sopra richiamate che disciplinavano le regole della circolazione stradale e, specificamente, della condotta prudenziale che dovevano tenere i guidatori dei veicoli: lamenta che il giudice d’appello non aveva coerentemente ricostruito tutte le circostanze emerse nell’ambito della ricostruzione del fatto, e cioè la velocità tenuta dalla P., l’esistenza di un incrocio, la presenza di un segnale di “fine diritto di precedenza”, l’esistenza di una curva nella prossimità del luogo della collisione e la presenza di una zona abitata.

1.2. Deduce che la P. non aveva osservato il segnale di “fine diritto di precedenza” e che, anche per tale ragione, il giudice avrebbe dovuto ritenerla obbligata a ridurre la velocità ben al di sotto di quella da lei tenuta: in tal modo sarebbe stato evitato l’incidente letale, ascrivibile soltanto alle numerose violazioni da lei poste in essere e non alla condotta del congiunto, in quella circostanza deceduto.

2. Con il secondo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 2054 c.c., comma 2, nonché l’art. 1372 c.c., comma 2 e l’art. 232 c.p.c..

2.1. Deduce che il Tribunale aveva del tutto omesso di valutare la condotta di guida della P., limitandosi ad affermare che l’urto era stato violento; aggiunge che non aveva neanche tenuto conto che ella non si era presentata per rendere l’interrogatorio formale deferito.

2.2. Lamenta altresì che non era stata affatto considerata la presunzione ex lege prevista dall’art. 2054 c.c., affatto superata dalle emergenze istruttorie.

3. I motivi possono essere congiuntamente esaminati per la stretta interconnessione.

3.1. Essi sono entrambi inammissibili.

3.2. Più precisamente il secondo motivo rappresenta l’antecedente logico del primo, in quanto denuncia, in primis, la violazione della norma che sovraintende il principio dell’onere della prova e di quelle ad essa collegate.

3.3. Al riguardo, questa Corte ha affermato che la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura solo se “il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”” (Cass. n. 11892 del 2016).

3.4. Nel caso in esame il Tribunale ha correttamente applicato sia la ripartizione degli oneri probatori sia la valenza residuale dell’art. 2054 c.c., norma ritenuta superata dalla prova liberatoria in ordine alla responsabilità della parte appellata (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

3.5. Ne’ consente di giungere ad una diversa soluzione la censura secondo cui la P. non era comparsa a rendere l’interrogatorio formale: la critica, infatti, risulta del tutto priva di autosufficienza in quanto non è stato riportato il capitolato formulato, dovendosi anche tenere conto che le conseguenze della mancata comparizione sono liberamente valutabili dal giudice di merito (cfr. art. 232 c.p.c.).

4. Anche il primo motivo segue la stessa sorte del secondo.

4.1. La censura, infatti, prospetta la violazione di legge in relazione alle norme del C.d.S. indicate, ma articola un percorso argomentativo volto a criticare la motivazione della sentenza, contrapponendo una diversa tesi rispetto a quella che il Tribunale ha, invero, compiutamente articolato, esaminando tutte le censure proposte avverso la sentenza del giudice di pace e ricostruendo la dinamica del sinistro alla luce delle emergenze processuali, avvalorate anche dall’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, incentrata correttamente sulla valutazione della condotta di guida di entrambe le parti, rispetto alla quale è emerso che la P. non aveva compiuto alcuna violazione, rispettando il limite di velocità esistente nel luogo del sinistro.

4.2. Entrambi i motivi, quindi, si pongono in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, ove sia sostenuta, come nel caso in esame, da argomentazioni logiche e coerenti, a nulla rilevando che il compendio istruttorio possa essere valutato in ipotesi, anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, in quanto, diversamente, il giudizio di legittimità si trasformerebbe, in un non consentito terzo grado di merito (cfr. ex multis Cass. 18721/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Cass. Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019) 5. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in 2300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472